giovedì 29 giugno 2023

Un sistema senza fiato

 

Stamane un albergatore mi faceva notare che per molti italiani la preoccupazione principale sembra riguardare la scelta tra brioches alla crema e quelle alla marmellata. Nel caso uno dei due gusti non sia più disponibile, monta la protesta che quasi volge in rivolta. E dire che ormai la brioche è un dolce surgelato che viene riscaldato al bisogno. Insomma, una schifezza che ti rimane sullo stomaco mezza giornata. Per tacere della crema, e quanto alla marmellata è sempre scadente e di albicocca o di ciliegia.

Guardavo ieri sera due bambini ai quali i genitori servivano una varietà e quantità di cibo da ingozzarli. Se fin da piccoli si fanno l’idea che la disponibilità di cibo è pressoché illimitata, libera e gratuita, che razza di adulti ne verranno? Ai miei tempi il massimo della leccornia era costituito da una fetta di pane con un sottilissimo strato di burro, a volte con l’aggiunta di zucchero, oppure di un’acciughina. Merende e sapori che non si possono dimenticare. Il necessario non mancava, ma la parsimonia era la regola.

Libertà, per cosa? Questo era il titolo di una raccolta degli ultimi testi di Georges Bernanos, morto nel 1948. Profetizzava il disastro della società industriale: anime vuote, meccanizzazione dei corpi, controllo delle menti. All’epoca lo prendevamo per un vecchio scoreggione, realista e per di più cattolico. Che direbbe oggi dei supermercati, che quando entriamo rimaniamo sbalorditi dalle migliaia di cose che non compreremo mai? Ma evidentemente c’è chi compra quella “roba”.

Ogni anno un terzo della produzione alimentare mondiale va sprecato. Perché aumentare la produttività dell’agricoltura visto che un terzo della sua produzione finirà in discarica? Un’economia che non ha più senso, che inventa sempre nuovi prodotti, nuovi lavori per produrre l’inutile.

Ora il cibo viene consegnato a domicilio a qualunque ora di qualsiasi giorno. Li chiamano “rider“, alias fattorino della pizza, ma tutti sappiamo che è un altro “lavoro di merda”. Piace soprattutto a quelli che hanno eretto il liberalismo totale a forma ultima di democrazia. L’importante è che non siano loro a doverlo fare (*).

È l’intera economia liberale che è diventata un “lavoro di merda”. Poi trovi sempre il pirla che obietta: preferivi l’Unione sovietica?

L’economia liberale è diventata assurda come l’economia sovietica. Per soddisfare un’accumulazione fine a sé stessa, produciamo tonnellate di prodotti totalmente inutili, che ci inquinano e con spreco di materie prime sempre più rare e care. Crediamo di vivere in un’economia liberale, mentre siamo in un’economia sovietica soggetta alle stesse esigenze produttivistiche: fabbricare qualsiasi cosa per alimentare e giustificare un sistema che è senza fiato.

(*) “Cosa si nasconde negli zaini dei rider?”, titolavano i giornali qualche giorno addietro. Che cazzo vuoi si nasconda negli zaini in generale e in quelli per il trasporto del cibo in particolare? Norme igieniche inesistenti.

La pizza la consumo solo in pizzeria. Una delle peggiori ho tentato di mangiarla a Napoli, la migliore sempre a Napoli nel 2019, che ricorderò fin che campo. In Veneto non sanno nemmeno che cos’è la pizza, spesso la scambiano per la cosiddetta “battuta”. Si fa buon viso, ma quella non è “pizza”. Figuriamoci poi una pizza che ti viene consegnata a casa su un cartone prodotto con sbiancanti florurati (i famigerati PFAS, in particolare l’acido perfluoroottanoico).

Pare che già i pompeiani avessero rapporti con la pizza, ma questa è solo una trovata dei giornali per fare un titolo e rubarti un clic. Il pane con condimenti vari è antico quanto i Flintstones.

11 commenti:

  1. INTANTO IN FRANCIA

    (ANSA) - PARIGI, 29 GIU - Il governo ha annunciato che schiererà un totale di 40.000 poliziotti e gendarmi questa sera, di cui 5.000 soltanto a Parigi e nella banlieue, di fronte al rischio di nuovi disordini legati all'uccisione di un diciassettenne di Nanterre, due giorni fa, da parte di un agente. Le forze dell'ordine - ha indicato il ministro dell'Interno, Gérald Darmanin - saranno "il quadruplo" rispetto alla notte scorsa, durante le quali scontri e danneggiamenti si sono estesi a tutto il Paese e in alcuni casi sono stati particolarmente gravi.
    P. S: bel post!

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    1. Emarginazione e disperazione, ma sostanziale sottomissione ai meccanismi alienanti.

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    2. Eh... dici bene tu. 40000 poliziotti e gendarmi. Se non ti sottometti tu ci pensano loro

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  2. in GOLD we trust:
    https://www.epicentro.iss.it/obesita/Usa09

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  3. “Ogni anno un terzo della produzione alimentare mondiale va sprecato. Perché aumentare la produttività dell’agricoltura visto che un terzo della sua produzione finirà in discarica?” Il fatto, in apparenza paradossale, è in realtà conforme alla logica che guida l’attuale ‘sistema globale’, logica per cui ogni anno un quarto di tutta la raccolta cerealicola del mondo viene utilizzato per nutrire i buoi dei paesi ricchi e dominanti: il che dà luogo alla spettacolare contraddizione per cui, mentre in tali paesi le malattie cardiovascolari causate dalla sovralimentazione mietono sempre più vittime, nel resto del mondo gli esseri umani muoiono per denutrizione. Tutto ciò accade come se non esistesse una rivoluzione tecnico-scientifica che permette di produrre una maggiore ricchezza con meno lavoro. Sennonché occorre ricordare: 1) che nel ‘sistema globale’ il lavoro continua ad essere utilizzato dal capitale, che lo domina in quanto ne trae un profitto; 2) che un simile meccanismo, escludendo dal lavoro una proporzione crescente di lavoratori potenziali (e quindi privandoli di qualsiasi reddito), condanna il sistema produttivo a svilupparsi a un ritmo di crescita largamente inferiore a quello che permetterebbe la stessa rivoluzione tecnico-scientifica. Da questo punto di vista, l’attuale strategia dell’‘agribusiness’ è significativa: le imprese transnazionali si sono arrogate il diritto, cui l’OMC fornisce la propria sanzione, di appropriarsi dei saperi collettivi del mondo rurale, per riprodurli sotto forma di sementi industriali e poi rivenderli ai contadini, privati del libero uso delle loro stesse conoscenze. Si assiste pertanto al caso paradossale del riso basmati, rivenduto da un’impresa americana ai contadini indiani! In altri termini, giacché il mercato, conoscendo solo la domanda solvibile, emargina sistematicamente chi è senza reddito, appare difficile contestare un fatto di palmare evidenza, e cioè che il mercato, nel ‘sistema globale’, opera escludendo. Lo scarto fra sviluppo e sottosviluppo nasce così dal ‘modus operandi’ che è proprio di questo meccanismo, il quale colpisce non solo individui, ma territori, regioni, nazioni e interi continenti. Si tenga presente che in un altro rapporto la FAO afferma che la Terra, in base all’attuale stato della capacità produttiva agricola, potrebbe nutrire il doppio della popolazione attuale: il che significa, assommando oggi la popolazione mondiale a poco meno di otto miliardi di individui, sedici miliardi di esseri umani. Di fronte a queste proiezioni della FAO è difficile non trarre la conclusione che, fin quando il mercato conoscerà come criterio di inclusione soltanto la domanda solvibile, “la merce non potrà mai sfamare il mondo”.

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  4. Invece di Bernanos citerei Pasolini. Non ho mai capito perché Pasolini sta sul cazzo agli ortodossi. Non ti spiace se ti do dell'ortodoss*, vero?
    Anche tu mi hai dato del Goldmansaxo.

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    1. discorso lungo (che riprenderemo), e poi era ricchione e sai come erano visti nel Pci.

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  5. Essendo un "ortodosso", mi sono sentito chiamare in causa dall'appunto critico di Erasmo, e perciò dico la mia. Pier Paolo Pasolini è stato un tipico rappresentante - forse il maggiore - della cultura antimodernista che, sotto vari emblemi e diverse forme, vigoreggia nel nostro paese e che, non per caso, intorno a lui ha costruito un vero e proprio culto. Con le sue radici ben affondate negli anni Cinquanta, 'età d'oro' di quel mondo popolare premoderno puro e incorrotto pósto ai confini tra le borgate e la campagna, e da lui sempre vagheggiato, lo scrittore friulano elevò a paradigma antropologico e poetico un sogno personale che nasceva dalle sue "buie viscere", esprimendo, in nome di quel paradigma, una negazione, tanto impietosa quanto disperata e tanto accusatoria quanto nostalgica, di tutto ciò che sarebbe accaduto dopo, dai moti del Sessantotto, allorquando esaltò i poliziotti "figli del popolo" e denigrò gli studenti "figli di papà", al 'doppio potere' incarnato dal Palazzo, di cui còlse, con simpatetica intuizione, il volto demonìaco e perverso. La sua opera di poeta, di romanziere, di critico e di regista cinematografico, tra le "Ceneri di Gramsci" e la "Religione del mio tempo", tra "Ragazzi di vita" e una "Vita violenta", tra la rivista "Officina" e il film "Accattone", ebbe sempre come oggetto e come soggetto lo stesso mondo di esperienze e di memorie, un 'tempo perduto' trasfìgurato miticamente in elegia e in tragedia. Uomo di successo, 'compagno di strada' del Partito Revisionista Italiano in cui vedeva, sospinto da un populismo romantico e decadente, una sorta di 'città di Dio' operante su questa terra, intellettuale raffinato cui piaceva giocare a pallone con i ragazzini, sempre, come ìndicano i titoli delle sue stesse opere, alla ricerca della Vita, diventò con il suo indimenticabile 'j'accuse' al gruppo dirigente della Democrazia Cristiana, lui che ebbe a definire sé stesso "riformista luterano", la coscienza critica del nostro paese nella prima metà degli anni Settanta. Fu così che in questo paese che si sforzava di coniugare modernizzazione e modernità Pasolini assunse la parte del fustigatore dei peccati del mediocre consumismo italico. Se Marx avesse potuto conoscere la polemica pasoliniana contro la "nuova cultura" e contro i tratti criminali e criminogeni della "mutazione antropologica" indotta dal consumismo, avrebbe classificato il suo autore tra gli esponenti del “socialismo feudale”, categoria che annovera nella letteratura del Novecento non pochi esemplari di alto livello: da Eliot a Pound, da Gide a Céline. Tuttavia, occorre riconoscere che, a quasi mezzo secolo di distanza dalla sua morte, oggi anche noi "ortodossi" fatichiamo a dare risposta alla domanda che, nella chiusa della lunga poesia sulle “Ceneri di Gramsci”, il testimone, il profeta e, da ultimo, la vittima di un destino tragico pose a se stesso e a tutti noi: "Ma come io possiedo la storia, essa mi possiede; ne sono illuminato: ma a che serve la luce?".

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    1. Avrei varie osservazioni, ma mi limito a due. La prima riguarda la citazione secondo la quale Pasolini si sarebbe autodefinito “riformista luterano”. La parola “luterano” è terreno di titolisti. Una sola volta, che io sappia, Pasolini la scrisse, pochi giorni prima di morire. Si inquadra in una stucchevole polemica sull’essere Pasolini cattolico o meno, definizione che giustamente Pasolini rigettava perché tendeva a minimizzare, squalificare ed evitare il merito delle sue idee sociologiche. Ecco il brano, inserito in una lettera aperta a Italo Calvino:
      “Io sono più di due anni che cerco di spiegarli e volgarizzarli questi perché. E sono finalmente indignato per il silenzio che mi ha sempre circondato. Si è fatto solo il processo a un mio indimostrabile refoulement cattolico. Nessuno è intervenuto ad aiutarmi ad andare avanti ed approfondire i miei tentativi di spiegazione. Ora, è il silenzio, che è cattolico. Per esempio il silenzio di Giuseppe Branca, di Livio Zanetti, di Giorgio Bocca, di Claudio Petruccioli, di Alberto Moravia, che avevo nominalmente invitato a intervenire in una mia proposta di processo contro i colpevoli di questa condizione italiana che tu descrivi con tanta ansia apocalittica: tu, così sobrio. E anche il tuo silenzio a tante mie lettere pubbliche è cattolico. E anche il silenzio dei cattolici di sinistra è cattolico (essi, dovrebbero avere finalmente il coraggio di definirsi riformisti, o con più coraggio ancora luterani. Dopo tre secoli sarebbe ora).”
      Quindi: per prima cosa non è un’autodefinizione. Per seconda, il termine “riformisti”, che ha acquisito una potente valenza politica nel secolo XX, qui è impropriamente usato al posto di “riformati”, ossia protestanti.
      Perciò, usarlo a proposito di Pasolini è doppiamente fuorviante.
      La seconda osservazione è riferita a quell’elenco di letterati che un Marx redivivo assimilerebbe a Pasolini. Penso che risalga a una considerazione abbastanza diffusa all’epoca, che univa gli organici del PCI e le frange alla sua sinistra: “Pasolini fa il gioco delle destre, perciò è di destra”. Verrebbe da dire che è archeologia, o per meglio dire paleoantropologia, se non trovassimo gli stessi archetipi nelle discussioni politiche attuali.

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    2. Non vi è proprio nulla di fuorviante, poiché chi si è autodefinito in quei termini è lo stesso Pasolini, ossia l'autore delle "Lettere luterane", una raccolta di articoli che questi pubblicò sulle colonne del "Corriere della Sera" e del settimanale "Il Mondo" nell'ultimo anno della sua vita. Dopodiché osservo soltanto che a molti non sfugge l'uso ideologicamente e politicamente grottesco che si fa da tempo, e spesso impunemente, dell'eredità di Pasolini, in Italia e fuori. E che per esempio, se i resti di quella sinistra che un tempo giudicava discutibile la visione pasoliniana del cosiddetto «Sessantotto» continuano a giudicarla tale, fanno semplicemente il loro dovere.

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    3. Caro amico, apprezzo il suo senso del dovere, ma temo che le sue informazioni non siano accurate, e ripeterle non le renderà più vere.

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