Ho letto tutto ciò che di Louis-Ferdinand Céline è stato pubblicato, e non solo nella nostra lingua, tranne alcune ultime cose edite postume. Perciò nessun pregiudizio da parte mia verso il dottor Destouches, tuttavia non sono tra i suoi adoratori incondizionati, che pensano di dover salvare interamente l’uomo per salvare l’opera nella sua interezza.
Mi trovo invece in sintonia con Hanns-Erich Kaminski, il quale nel 1938 sosteneva che Bagatelles pour un massacre, pubblicato da Céline nel dicembre 1937, non è solo un testo antisemita, ma una vera e propria propaganda hitleriana (la parola “strage” non è usata come figura retorica). Soggiungo: tutto il libro è un incitamento all’omicidio, ma di questo m’importa fino a un certo punto. Resta il fatto che dal punto di vista letterario è una merdata illeggibile.
Kaminski era uno scrittore e giornalista ebreo tedesco rifugiatosi a Parigi nel 1933. Dopo aver detto che gli sarebbe piaciuto continuare ad ammirare l’autore del Viaggio al termine della notte, scrisse che non era difficile prevedere cosa Céline sarebbe diventato una volta che la Francia fosse stata occupata dai nazisti. Sappiamo che aveva ragione.
Questi i fatti accertati da archivi aperti di recente: Céline non si accontentò di essere il capo degli scrittori antisemiti dell’epoca. Durante l’occupazione divenne un agente dell’SD, il Sicherheitsdienst, un servizio segreto tedesco. In quanto tale, Céline fu responsabile di diverse deportazioni, e quindi di omicidi, svolse anche missioni per la Gestapo, ad esempio a Saint-Malo, dove partecipò alla caccia a un giovane combattente della resistenza.
Nell’inserto domenicale del Sole 24ore di ieri, si può leggere una recensione di Ernesto Ferrero, autore da me del resto apprezzato, all’edizione postuma di un manoscritto céliniano Guerra (Adelphi). Le considerazioni di Ferrero mi hanno richiamano alla mente un giudizio appropriato espresso nell’aprile 2020 da Pierluigi Pellini sul Manifesto: «[...] dell’abiezione senza limiti dell’uomo Céline non è più lecito dubitare dopo la requisitoria di Annick Duraffour e Pierre-André Taguieff in Céline, la race, le Juif. Légende littéraire et vérité historique (Fayard, Paris 2017): grosso tomo quanto mai sgradevole alla lettura, per l’ostentata indifferenza alle qualità estetiche e alla complessità della parola letteraria, ma d’impianto probatorio documentatissimo e schiacciante – sarebbe tempo, anche in Italia, di non prender più per oro colato biografie datate e vagamente apologetiche come quella di François Gibault (1985).
Leggerò Guerra? Certo, non ho nulla da obiettare alla pubblicazione degli scritti inediti céliniani (tanto ai neonazisti non interessa Céline, hanno altre fonti cui attingere), purché si tratti di edizioni che presentino tutte le garanzie di un lavoro scientifico svolto da specialisti nei vari campi richiesti per questo formidabile compito. Spero di trovare nel nuovo opuscolo tutta l’inventiva, la violenza, il genio di Céline, non indebolito da ripetizioni e dal moralismo nero di questo grande scrittore. Tuttavia, trattandosi di una prima bozza abbandonata, è forte il sospetto che si tratti prevalentemente di un’operazione editoriale per fare cassa senza versare diritti a chicchessia.
Buona lettura!
RispondiEliminaBuona lettura a tutti, grazie
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