martedì 20 giugno 2023

Strategic sequencing

 

Repubblica, quotidiano beniamino del Dipartimento di Stato statunitense, se ne esce con la notizia, desunta ovviamente dal NYT, che invece di armi l’Ucraina ha ricevuto rottami, specie dall’Italia. Armi e mezzi “incapaci di muoversi o di sparare, così logori da servire a stento per recuperare qualche pezzo di ricambio”, per la manutenzione dei quali le società private americane si sono fatte pagare a caro prezzo.

A dire il vero il NYT non parla solo di armi vecchie (“Quasi il 30 percento dell’arsenale del paese è in riparazione”), ma anche di armi acquistate e non consegnate (fonte: Volodymyr Havrylov, viceministro della difesa). Vatti a fidare degli amici. Tutto ciò serve ovviamente a Kiev per giustificare il fallimento della tanto strombazzata “controffensiva” ucraina che è ormai un fatto.

A mio avviso tale fallimento è da mettere in relazione con la visita, dapprima annullata e poi avvenuta nello scorso week-end, del segretario di Stato americano Antony Blinken in Cina, dove ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping e il ministro e i funzionari degli affari esteri del Paese.

Per quale motivo? Il viaggio di Blinken, snobbato dalla stampa americana, è un cinico tentativo di allentare momentaneamente le crescenti tensioni con Pechino mentre si prepara, visto il flop ucraino, una drastica escalation militare USA-NATO nella guerra contro la Russia in Ucraina. Naturalmente si tratta di una mia supposizione, ma a pensar male spesso si pensa il giusto (vedi alla fine del post).

Da quando è entrata in carica, l’amministrazione Biden ha solo intensificato le misure diplomatiche, economiche e militari prese sotto Obama e Trump per contenere e indebolire la Cina in preparazione del conflitto. Il deterioramento delle relazioni degli Stati Uniti con la Cina è stato sottolineato a febbraio, quando, come detto, la prevista visita di Blinken a Pechino era stata annullata dopo che l’aeronautica americana aveva abbattuto un pallone cinese sopra lo spazio aereo statunitense sulla base di affermazioni infondate secondo cui stava spiando basi militari.

Nei due giorni della visita è stato mantenuto un minimo di decoro diplomatico. Secondo il Sole 24ore, Blinken «ha precisato poi che Washington sostiene il principio di una “un’unica Cina”, considerando l’isola “parte inalienabile” del territorio cinese». L’isola è ovviamente Taiwan. A dire il vero ciò fa parte di accordi sottoscritti decenni or sono e che sono il fondamento delle relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino.

Tuttavia devono essere avvenuti degli scambi rabbiosi a porte chiuse tra le parti, che Blinken ha descritto in linguaggio diplomatico come «discussioni sincere, sostanziali e costruttive». Lunedì, per tre ore, il consigliere di Stato cinese, Wang Yi, secondo una nota del ministero degli Affari Esteri, aveva «chiesto agli Stati Uniti di smetterla di esaltare la “teoria della minaccia cinese”, di revocare sanzioni unilaterali illegali contro la Cina, di abbandonare l’ostruzionismo allo sviluppo tecnologico cinese e di astenersi da interferenze arbitrarie nell’ambito interno della Cina affari».

A ben vedere sono tutte cose che Pechino si guarda bene dal fare contro Washington, eppure anche in tema di diritti umani ci sarebbe da discutere a lungo su come questi siano violati sistematicamente negli Stati Uniti. Wang Yi ha detto che i rapporti blaterali stanno vivendo “un momento critico, ed è necessario per Washington fare una scelta tra dialogo o confronto, cooperazione o conflitto». Ha invitato gli Stati Uniti a fermare «il declino vertiginoso delle relazioni Cina-USA per riportarlo su un binario sano e stabile».

Cinque ore di colloqui tra Blinken e il ministro degli Esteri cinese Qin Gang. Poca roba: un accordo per incontrarsi di nuovo e organizzare incontri su sfide specifiche. Qin ha affermato che si è discusso di aumentare i voli passeggeri tra la Cina e gli Stati Uniti e di incoraggiare maggiori scambi di studenti, studiosi e uomini d’affari. Qin ha accettato l’invito a visitare Washington nel corso dell’anno. Successivamente Xi ha indicato che potrebbe incontrare Biden durante un vertice dei leader della cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) a San Francisco a novembre.

Fumogeni. La strategia dell’imperialismo statunitense rimane focalizzata sulla Cina come principale minaccia al suo dominio economico e militare globale, mentre il potenziamento militare statunitense nell’Indo-Pacifico continua a ritmo sostenuto. Sulla scacchiera geopolitica in questo momento l’obiettivo è quello di mettere la Russia in condizioni di non nuocere e prendere il controllo dell’Asia centrale.

Mie fantasie? La pensa così anche l’ex vicesegretario di Stato A. Wess Mitchell in un suo articolo su Foreign Policy della settimana scorsa. Si chiama “strategic sequencing”: prima la sconfitta militare e la subordinazione della Russia, “il più debole dei suoi due grandi avversari”, e poi una guerra per schiacciare il suo principale rivale, la Cina.

Quanto all’Europa, essa è incapace di un reale smarcamento dagli interessi delle parti in causa, incapace insomma di darsi un ruolo e  dimensione di potenza autonoma. Una Europa miope e divisa da troppi egoismi.

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