venerdì 9 giugno 2023

La storia sarebbe potuta finire lì

 

Nove anni prima di via Fani diede la "notizia" che Valpreda era il colpevole della strage di P.za Fontana.

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Quando si citano le parole di Putin, secondo il quale l’Ucraina non esiste dal punto di vista storico, bisogna considerare che l’Ucraina orientale, industriale, di lingua russa, è appartenuta alla Russia per molto tempo e fino all’altro ieri. La parte occidentale, con la Galizia, di lingua ucraina, è appartenuta all’Austria-Ungheria fino al 1920, poi alla Polonia tra il 1920 e il 1940. La Crimea, che non era una provincia ucraina come le altre, ma una “repubblica autonoma” con la quasi totalità di cittadini di etnia e lingua russa, fu annessa amministrativamente dall’ucraino Kruscev nel 1954.

Il Paese, fin dall’indipendenza, presentava una fortissima corruzione. Nel 2014, il reddito pro capite ucraino era inferiore quattro volte a quello di un russo, da otto a dieci volte inferiore a quello di un italiano, e del 40% inferiore a quello di un abitante della Namibia o dell’Iraq. Con uno stipendio minimo mensile di cento euro, lo stipendio di un ucraino era inferiore del 30% a quello di un cinese!

Pertanto, l’Ucraina era (ed è) un paese molto eterogeneo, fragile, pronto a disgregarsi.

Il suo principale partner commerciale – quasi il 50% del commercio – era la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI, ex URSS), con la quota dell’Europa in calo. L’Ucraina aveva scelto di integrare la zona di libero scambio della CSI, in procinto di evolversi in un’unione doganale sul modello della CEE. Ma gli oligarchi ucraini hanno usato la loro influenza per indurre il presidente Yanukovich a favorire invece un accordo di associazione con l’Ue.

L’oligarca Petro Poroshenko (presidente dell’Ucraina dal 2014 al 2019, già ministro degli affari esteri dal 2009 al 2010 e ministro del commercio e dello sviluppo economico nel 2012, nonché dal 2007 al 2012 a capo del Consiglio della Banca Nazionale dell’Ucraina) ha svolto un ruolo importante. Considerato il settimo più ricco in Ucraina, come ministro del commercio ha elaborato il progetto di accordo di associazione con l’UE, che includeva un accordo di libero scambio UE-Ucraina, mai sottoscritto dall’UE, che ha portato a una riduzione del 99% dei dazi doganali a tutto vantaggio della UE.

Mi pare evidente l’assurdità della cosa, sia per l’economia ucraina che per i lavoratori europei, messi in concorrenza con i dipendenti ucraini a cento/duecento euro al mese, salvo nuove tirate sulla perdita di competitività dei nostri Paesi e sull’urgenza di “riformare” il nostro mercato del lavoro.

Alla fine del 2013, con il deterioramento dell’economia ucraina, Yanukovich ha chiesto un’assistenza di venti miliardi di euro all’anno; ma l’UE gli ha concesso solo seicento milioni di euro. Il FMI subordinò l’erogazione di un prestito non solo a una forte riduzione della spesa sociale, in particolare per quanto riguarda il sussidio per le bollette del gas, ma anche alla privatizzazione delle aziende pubbliche (un film visto innumerevoli volte).

Il 21 novembre, Yanukovich dichiarò che stava rinviando la firma e che voleva un accordo trilaterale che includesse la Russia. Proposta sensata, ma brutalmente respinta da Barroso: “Quando firmiamo un accordo bilaterale, non abbiamo bisogno di un trattato trilaterale”. La risposta di Vladimir Putin: “Un accordo di libero scambio Ucraina-UE rappresenterebbe una grande minaccia per noi. [Questo] porterebbe a un aumento della disoccupazione in Russia. [...] Dobbiamo strangolare interi settori della nostra economia in modo che piacciamo all’Europa?”.

L’arroganza europea è inquietante nel suo modo di ignorare gli interessi delle altre parti. La Russia accettò di iniettare venti miliardi di euro all’anno in Ucraina, Yanukovich firmò un accordo con Mosca il 17 dicembre 2013.

La storia sarebbe potuta finire lì, per il meglio dell’Ucraina: Crimea conservata, bancarotta evitata, benefici sociali per gli ucraini preservati, altri rischi per il Paese evitati, per l’UE nessuna competizione tra lavoratori da cento/duecento euro al mese, nessun sostegno finanziario da fornire.

Ma venne EuroMaidan, un movimento in parte finanziato da Washington e in parte da Petro Poroshenko! Maïdan è il nome dato al movimento di protesta (inizialmente alcune centinaia di persone) iniziato il 21 novembre 2013 nella piazza centrale di Kiev, chiamata Piazza dell’Indipendenza (Maidan Nezalezhnosti ), per protestare contro la decisione del presidente Viktor Yanukovych di sospendere la firma dell’accordo di associazione con l’Unione Europea, previsto per la settimana dopo.

Non che gli ucraini non avessero motivo di protestare, ma credere che un accordo con la Ue risolvesse i loro problemi interni era pura illusione, come la realtà ha confermato in seguito. Infine il colpo di Stato fatto passare per una “rivoluzione” di libertà e la democrazia. 

Fu formato un governo comprendente un terzo di liberali, finanza e affari esteri (la maggior parte di Lviv) e un terzo di neonazisti (Svoboda e altri piccoli gruppi), comprese le cariche di vice primo ministro, ministri della difesa, dell’istruzione, agricoltura, e della “depurazione” (sic!). Il co-fondatore di Svoboda, Andriy Parubiy, fu posto a capo dell’importantissimo Consiglio di sicurezza e difesa nazionale, e il suo partito rivendicava il ruolo di procuratore di Kiev ...

L’Occidente ha riconosciuto subito la legittimità di questo governo, che avrebbe dovuto durare fino alle elezioni presidenziali del 25 maggio. Lungi dall’occuparsi degli affari correnti in attesa delle elezioni, il nuovo governo ha approvato una legge che aboliva il russo, l’ungherese e il rumeno del loro status di lingue regionali e, il 6 marzo, Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, dichiarava che l’Ucraina avrebbe firmato l’accordo di associazione con l’UE prima delle elezioni (che si sono svolte il 21 marzo).

Date queste premesse, la Crimea ha organizzato un referendum di autodeterminazione, stravinto dai sostenitori di un ritorno alla Russia. Il fatto si può discutere, ma non il risultato: le folle esultanti in Crimea sono state eloquenti. E questi sono gli unici ucraini che hanno votato fino ad oggi in merito al loro destino. Tra l’altro, l’80% dei soldati ucraini rifiutò l’ordine di tornare in patria e scelse di arruolarsi nell’esercito russo (dei 18.800 soldati di stanza in Crimea, solo 4.300 hanno scelto di rimanere nell’esercito ucraino).

Questa scelta referendaria avveniva prima ancora che il nuovo governo di Kiev abbassasse le pensioni (che erano già ottantasei euro al mese), su richiesta del Fmi, e aumentasse del 50% il prezzo del gas.

Oggi l’Occidente vorrebbe prendere spunto dall’esempio sovietico del 1968, quando i carri armati andarono a impedire al popolo cecoslovacco di modificare i confini della cortina di ferro!

Viene quindi da chiedersi il perché di tanto risentimento. Il tema non è semplice, ma perché ci dà fastidio che la Crimea russa ritrovi la Russia, che non voglia restare in un Paese dove aumenta l’odio delle bande neonaziste e di gran parte degli ucraini nazionalisti nei loro confronti? (*).

La propaganda anti-russa nei nostri media rasentava il delirio. La Russia non è certo un paradiso di libertà in termini assoluti, ma non lo è di meno a tanti Paesi, e non mi riferisco solo ai nostri “amici” in Arabia Saudita, Qatar o Turchia.

Diamo la colpa a Putin per aver difeso gli interessi della Russia piuttosto che i nostri, questa è la semplice verità.

Tutto ciò sta avvenendo mentre l’Europa indipendente, democratica e sociale viene soggiogata da una banda di delinquenti.

(*) L’Ucraina è stata uno dei cuori della Shoah: circa 1,5 milioni di ebrei ucraini furono sterminati dai nazisti e dai loro ausiliari locali, la maggior parte dei quali nazionalisti della Galizia, violenti antisemiti, anche se consideravano come nemici principali i russi e i polacchi. Il più famigerato fu Stepan Bandera e la sua Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini. Altre migliaia di nazionalisti si unirono all’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), un’organizzazione paramilitare nazionalista ucraina nata nel 1942 e responsabile di spaventosi massacri di decine di migliaia di persone, oppure alla divisione Ss Galicia.

È vero che questi estremisti ucraini rappresentano una minoranza, ma spesso si dimentica che la destra reazionaria ha più facce, tanto è vero che, per esempio, essa è al governo in Italia, paese sicuramente democratico, ma la sua leader e il suo parterre non hanno mai preso le distanze dal fascismo, da CasaPound e simili. In una situazione di crisi e confusione sociale, sempre possibile, chi ci garantirebbe da questa destra?

4 commenti:

  1. Un gran bel post, esaustivo direi.
    Quello che ho letto, dovrebbe essere scritto su tutti i giornali, ma lo sappiamo, i giornalisti sono pennivendoli.
    Felice di abbeverarmi da questo blog.
    Saluti!

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  2. Vabbè tutto vero, ma Putin oltrepassando i confini di un paese sovrano è passato dalla parte del torto complicando irragionevolmente tutto. Avrebbe dovuto attivare interventi diplomatici affinché i trattati precedentemente sottoscritti si realizzassero evitando azioni di forza così compromettenti…

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    1. mi secca prendere le difese di Putin, ma il richiamo ai trattati, alle "linee rosse", eccetera, non sono serviti a nulla. pensava che la cosa si risolvesse con un atto quasi dimostrativo, e qui si sbagliava.

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