Per prima cosa va rivelata la fonte dell’articolo del New York Times: l’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina tramite Associated Press. Va da sé che la fonte non è una parte terza, tanto più vigente la legge marziale.
Scrive il Times: «Alle 2:35 e alle 2:54 del 6 giugno, i sensori sismici in Ucraina e Romania hanno rilevato i segni rivelatori di grandi esplosioni. I testimoni nell’area hanno sentito grandi esplosioni tra le 2:15 e le 3:00 circa. E poco prima che la diga cedesse, i satelliti dell’intelligence americana hanno catturato segnali di calore a infrarossi che indicavano anche un’esplosione».
Tutto ciò non significa ancora nulla in riferimento all’individuazione dei responsabili della distruzione della diga di Kakhovka. Ad ogni modo va notata la discrepanza degli orari tra chi ha registrato strumentalmente le esplosioni e chi le ha sentite in loco.
«Dopo che la prima sezione della diga ha ceduto, i video suggeriscono che la forza dell’acqua impetuosa ha aperto uno squarcio sempre più grande nella diga».
Anche questo non prova alcunché, ma costituisce semplicemente la dinamica presunta di ciò che è accaduto in seguito all’esplosione. Così il seguito di questa ricostruzione: «I livelli dell’acqua sono scesi ulteriormente questa settimana, al di sotto della sommità delle fondamenta in cemento. La sezione che è crollata non era visibile al di sopra della linea di galleggiamento: una forte prova che la fondazione aveva subito danni strutturali, hanno detto gli ingegneri».
Secondo la ricostruzione proposta dal Times: «La diga è stata costruita con un enorme blocco di cemento alla base. L’attraversa un piccolo passaggio, raggiungibile dalla sala macchine della diga. È stato in questo passaggio, suggeriscono le prove, che una carica esplosiva è esplosa e ha distrutto la diga».
Posto che tutto ciò sia vero, resta da stabilire chi effettivamente ha piazzato l’esplosivo. Il Times: «Nelle caotiche conseguenze, con ciascuna parte che incolpa l’altra per il crollo, sono teoricamente possibili molteplici spiegazioni. Ma le prove suggeriscono chiaramente che la diga sia stata danneggiata da un’esplosione provocata dalla parte che la controlla: la Russia».
Le prove a cui allude il Times, riprese e fatte proprie da Repubblica e che su di esse non avanza alcun dubbio, sono in buona sostanza delle congetture testualmente riassunte così: «poiché la diga è stata costruita in epoca sovietica, Mosca aveva i disegni tecnici e sapeva dov’era il tallone d’Achille della diga stessa. Ed è lì che i russi hanno piazzato l’esplosivo».
Qui di seguito i diagrammi pubblicati dal Times:
Salvo poi dire che: «La diga è stata visibilmente segnata dai combattimenti nei mesi precedenti la breccia. Gli attacchi ucraini avevano danneggiato una parte della carreggiata sopra la diga e le truppe russe in ritirata ne fecero successivamente esplodere un’altra. Il mese scorso, le immagini satellitari hanno mostrato che l’acqua scorreva incontrollata da alcune paratoie. Ciò ha portato a suggerire che la diga potrebbe essere semplicemente vittima del danno accumulato, di cui la Russia si è avvalsa per negare la responsabilità».
Oh porca sozza, come spiegare i rilevamenti sismografici e satellitari delle asserite esplosioni? Ovvio che il Times tiene conto di questo fatto, che viceversa smentirebbe i sismologi ucraini e rumeni (notizia data da Ben Dando, sismologo della Norsar, un’organizzazione norvegese specializzata in sismologia), oltre ovviamente a sbugiardare il satellite spia americano e i suoi sensori a infrarossi (manco fosse l’unico in orbita). Ed infatti scrive Times:
«Dati i rilevamenti satellitari e sismici delle esplosioni nell’area, la causa di gran lunga più probabile del crollo è stata una carica esplosiva collocata nel passaggio di manutenzione, o galleria, che attraversa il cuore di cemento della struttura, secondo due ingegneri americani».
Uno di loro, “in pensione”, si chiama Michael W. West (laureato alla US Army Engineer School, corso base per ufficiali di ingegneria, 1971, già capo del gruppo sui pericoli dei terremoti presso il Bureau of Reclamation degli Stati Uniti), l’altro è “un ingegnere ucraino esperto di esplosivi” che dice: “La galleria è il luogo ideale per mettere quella carica esplosiva”.
Un’ultima chicca del Times a riguardo di queste schiaccianti “prove”: secondo Ben Dando, il norvegese di cui è detto sopra, «la posizione delle esplosioni è meno certa. Ad esempio, Norsar ha individuato il segnale delle 2:54 del mattino, con origine all’interno di una zona di 20 o 30 chilometri di diametro che include la diga».
Altre “prove”: «Non era disponibile un timestamp specifico per il segnale a infrarossi, ma un alto funzionario militare statunitense ha affermato che è stato rilevato poco prima del crollo della diga. Un alto funzionario militare americano ha affermato che gli Stati Uniti avevano escluso un attacco esterno alla diga, come un missile, una bomba o qualche altro proiettile, e valuta che l’esplosione provenisse da una o più cariche piazzate al suo interno, molto probabilmente da parte russa».
L’importante è che i funzionari americani siano “alti”, che poi ci pensa il Times (figuriamoci poi Repubblica) a fare titolo e articolo di basso profilo, di condanna dei russi sulla base di sedicenti “prove” che prove non sono.
Sia chiaro, personalmente non escludo nulla, ma nemmeno posso prendere per oro colato quanto racconta il Times sulla base delle congetture dell’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina divulgate tramite Associated Press.
mi ricorda qualcosa:
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