Ieri, in una bancarella dell’usato ho acquistato per cinque euro (il pane qui prezza 5,20, dopo essere stato per un ventennio a 4,60: l’euro ha indiscutibilmente disintegrato il potere d’acquisto dell’ex classe media arricchendo certe categorie commerciali) un libro: Carlo Darwin, Diario di un naturalista giramondo, con Prefazione di Luigi Montemartini, prof. di botanica nella R. Università di Pavia (un luogo per certi aspetti incantevole). È datata 1° maggio 1925, ma il libro fu editato per i tipi della Gamma Editrice, Milano, 1945 (purtroppo non è indicato il mese di stampa, tanto per sapere se a guerra ancora in corso o subito dopo).
Montemartini è un nome che non mi suona nuovo (non solo per l’omonima centrale elettrica romana riconvertita in museo della grande statuaria antica, che non può mancarsi per una visita), ed infatti digitandolo compare la sua biografia, che conferma lo spessore dell’uomo e il valore dello studioso che fu.
A pagina 465 del libro (Charles Darwin è a Sant’Elena, nel viaggio di ritorno) c’è un passaggio che già mi colpì quando lo lessi (praticamente identico) nell’edizione einaudiana (alle pp. 455-56): «La mia guida era un uomo attempato, il quale da ragazzo pascolava le capre, e conosceva passo a passo tutte le roccie [sic]. Egli era di razza molto incrociata, e sebbene avesse una pelle bruna, non aveva la sgradevole espressione del mulatto. Era un vecchio garbatissimo, tranquillo, e questo sembrava il carattere della maggior parte delle persone di classe inferiore. Mi pareva strano udire un uomo, quasi bianco e vestito pulitamente, parlare con indifferenza del tempo in cui era schiavo».
Immaginiamoci oggi qualcuno che pubblicasse, di ritorno da un viaggio, espressioni del genere riferite alle persone di colore e via discorrendo. L’editore, e prima ancora il curatore dell’editing, lo sconsiglierebbe (per usare un eufemismo). Mi chiedo spesso chi lanci certe mode, tipo la cancel culture, o anche altre sia pure di segno opposto, tipo la pagliacciata del cosiddetto gay pride (spero tanto che questa mio giudizio tranchant venga frainteso e assimilato a quello dei “benpensanti”).
Che bella cosa la convivenza, ma è la paura e la convenienza che sta alla sua base (ma non solo). Su una grande spiaggia deserta le persone si siedono vicine le une alle altre, così come preferiscono andare in un bar affollato quando quello accanto è vuoto. Il successo dei social non è solo per masochismo, ma perché è utile. Anche molte altre specie hanno capito che l’unione fa la forza: pesci che vivono in branchi, leoni che cacciano assieme, uccelli e topi che avvertono la colonia del pericolo, eccetera. E però, che ci piaccia o no, gli esseri umani sono animali sociali, e questo comporta qualche differenza (leggi più avanti).
Contrariamente a una credenza diffusa, la selezione naturale non implica necessariamente la competizione. La traduzione della selezione naturale, come sopravvivenza del più “adatto”, spacciata sotto il nome di “darwinismo sociale”, conviene ai capitalisti e ai loro corifei, agli eugenetisti e nazisti, che pretendono di giustificare l’eliminazione dei più deboli in nome della “lotta per la vita” (che pure esiste in natura e che l’umanità solo in parte ha saputo superare) o di una presunta “purezza”. Darwin non ha nulla a che fare con queste perversioni ideologiche.
Anche l’altruismo, l’aiuto reciproco e la cooperazione sono comportamenti scelti durante l’evoluzione, perché sono utili alla sopravvivenza: io ti aiuto oggi, ma tu mi aiuterai la prossima volta.
Certo, l’umana società non è fatta solo di altruisti, ma anche di parassiti e profittatori. Abbiamo però un vantaggio rispetto alle altre specie che usano socializzare: la nostra convivenza non è biologicamente determinata. Possiamo farne quello che vogliamo, ed è questo che ci differenzia da aringhe, formiche o macachi. Tra l’ingenuità del volersi bene e il cinismo del fottersi, bisogna solo imparare a convivere con gli idioti, visto che sono la maggioranza. E sapere che sei sempre il coglione di qualcun altro che può aiutarti.
https://tinyurl.com/2mycy3ju
RispondiEliminaDalla “saggezza” della complessità ambientale, alla “stoltezza” dell’evoluzione culturale.
Dico sempre che è stucchevole fare complimenti per un post, ma cazzo, mi tocca fartene ancora una volta, e me ne dispiace.
RispondiElimina:)
Eliminadomani il nuovo post sarà molto più prosaico
scrivendo l'ultima frase pensavo a cosa m'è successo in un parcheggio di Innsbruck
EliminaCi son quelli che non bastandogli di essere diamentralmente all'opposto si ritrovano all'opposizione dell'opposizione, cioè al punto di partenza.
RispondiEliminaPietro