venerdì 16 giugno 2023

Quella volta che esplose il gasdotto siberiano

 

Rochefoucauld: “Ci sono eroi nel male come nel bene”. Non solo eroi.

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Quando la “controffensiva” ucraina è iniziata la scorsa settimana, è stata salutata dai media americani come un punto di svolta decisivo nella guerra Usa-Nato contro la Russia.

Dieci giorni dopo, l’offensiva si è trasformata in un bagno di sangue per i soldati ucraini, molti dei quali nuove reclute con poco o nessun addestramento. Il governo ucraino afferma di aver catturato poche decine di kilometri quadrati di territorio nell’ultima settimana, a costo di migliaia di vite. Si è arrivati al punto in cui i media statunitensi descrivono come un enorme trionfo la capacità delle forze ucraine di prendere per alcune ore dei minuscoli villaggio anonimi, fatti passare per fondamentali capisaldi strategici.

Lo stato attuale della guerra ricorda i massacri della prima guerra mondiale. Tutta colpa di Putin? D’accordo, mettiamola pure così. Ma a nessuno importa delle centinaia di migliaia di vite, prevalentemente di giovani, stroncate da una guerra che non porterà, al punto in cui è giunta, da nessuna parte se non a coinvolgerci tutti ancora più pesantemente?

Con totale indifferenza, le potenze degli Stati Uniti e della Nato, insieme ai loro portavoce dei media, trattano la vita degli ucraini come carne da macello. Fossero giovani tedeschi, francesi, italiani o statunitensi a morire a migliaia? E invece sono ucraini (e russi), dunque che importa. Si combatte da oltre un anno attorno alla centrale atomica più grande d’Europa, ma che importa, è colpa dei russi.

Domani il segretario di Stato Antony Blinken sarà a Pechino. Il portavoce del dipartimento di Stato ha spiegato che a Pechino «incontrerà alti funzionari per discutere l’importanza di mantenere aperte le linee di comunicazione per gestire in modo responsabile le relazioni» Ovvio che si parlerà anche dell’Ucraina. Ma chi è Blinken?

Si legge su Wikipedia: “Blinken è nato il 16 aprile 1962 a Yonkers, New York, da genitori ebrei, Judith (Frehm) e Donald M. Blinken, che in seguito ha servito come ambasciatore degli Stati Uniti in Ungheria. I suoi nonni materni erano ebrei ungheresi”.

Si omette di dire che il nonno paterno, Maurice, impiantò una fabbrica a New York dopo aver lasciato Kiev e fu tra i finanziatori del sionismo israeliano.

Donald, il padre di Antony Blinken, fu un importante collezionista dell’astrattista Mark Rothko, partecipò alla fondazione della banca di investimenti Warburg Pincus e fu presidente dell’Università di New York (1970-1990). Con il fratello Alan, Donald fu finanziatore del partito democratico e furono nominati da Bill Clinton ambasciatori in Belgio e Ungheria (pensiamo se diventasse prassi in Italia e in Europa quella di nominare ambasciatori i finanziatori dei partiti!).

Donald, nel 1999, intervenne a favore dell’allargamento a est della Nato, considerando “fortemente esagerato” il timore di urtare la Russia. Il figlio Anthony ha ricordato il padre come suo personale “modello di eroe” (NYT, 23 settembre 2022).

La madre di Anthony, Judith, in seguito al divorzio (1971) si trasferì a Parigi, dove divenne presidente dell’American Center, fondazione artistica. Anthony studiò fino al liceo nella capitale francese, vivendo con la madre e il suo secondo marito Samuel Pisar (1929-2015).

Pisar, ebreo di origini polacche, sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti, visse di contrabbando nella Germania occupata, poi una zia parigina lo mandò a studiare prima ad Harward e quindi alla Sorbona. Cittadino statunitense dal 1961, fu amico e consigliere di Francois Mitterand e Valéry Giscard d’Estaing, speechwriter di politica estera del presidente Clinton, frequentò la Casa Bianca durante la presidenza Obama e fu ambasciatore UNESCO. La figlia che ebbe da Judith, Leah, lavorò alla Casa Bianca sotto Clinton.

Questo l’ambiente sociale e culturale di formazione dell’attuale segretario di Stato statunitense Anthony Blinken, il quale dalla Francia rimpatriò negli Usa per laurearsi nel 1984. Spinto dei suoi professori di Harvard e dal politologo Robert Putnam e dall’economista Richard Cooper, già sottosegretario di Stato di Jimmy Carter e futuro consigliere d’intelligence del presidente Clinton, Blinken approfondì gli studi sull’Europa e si interessò in particolare alla frizione tra Washington e gli alleati del vecchio continente, appena culminata nel 1982 nella crisi del gasdotto siberiano (*).

Blinken, autore nel 1987 di Ally versus Ally (Alleati contro Alleati), beneficiò di conoscenze influenti.aveva lavorato per Marty Peretz, zar di The New Republic, nello studio di Daniel Moyniham, potente senatore di New York. Oltre, grazie all’europeista Jean-Jacques Serva Schreiber e altri, incontrò alcuni protagonisti della crisi del 1982 (quella del gasdotto siberiano). Tra questi anche l’ex cancelliere Helmut Schmidt. Proprio da un colloquio con quest’ultimo, Blinken ricava conclusioni ispirate alla Realpolitik: Washington doveva accettare che l’Europa occidentale non avrebbe rinunciato ai rapporti energetici e commerciali con l’Est, “a meno di condizioni di guerra o acuta tensione”.

(*) È il caso di ricordare che quel gasdotto poteva trasportare fino a 40 miliardi di metri cubi di gas. Dieci di questi sarebbero andati alla Germania dell’ovest, 8 alla Francia e all’Italia, 5 al Belgio, 4 all’Austria, 4 ai Paesi Bassi e 1 alla Svizzera. La negoziazione sul prezzo fu invece molto più complicata.

La Cia raccolse informazioni sulla reazione da parte degli alleati alle pressioni per abbandonare il progetto. Il quadro non era confortante: gli europei non ritenevano credibili le alternative suggerite dagli Stati Uniti, soprattutto quelle relative all’assistenza alla costruzione di centrali nucleari oppure all’aiuto nel cercare fonti alternative di energia in Algeria, mare del Nord o in Nigeria.

Il presidente Reagan definì i leader europei “little chickens“ aggiungendo: “Dovremmo far sapere ai nostri alleati che anche loro pagheranno un prezzo se non si allineano. Abbiamo la memoria lunga”. Ordinò a tutte le società americane di abbandonare ogni iniziativa legata al gasdotto siberiano. La Commissione europea emanò dei “blocking statutes” che minacciavano sanzioni alle società europee che avessero seguito l’ingiunzione americana.

Nel giugno 1982 Reagan e Giovanni Paolo II s’incontrarono a Roma nella biblioteca vaticana. Nessuno sa cosa si siano detti ma Richard Allen, il primo National security advisor di Reagan, disse che si era creata la “più grande alleanza segreta di tutti i tempi”. In luglio

Reagan emise la direttiva segreta NSDD32 con la quale autorizzava misure diplomatiche, politiche e di qualsiasi altra natura per isolare l’Unione sovietica.

Nell’estate del 1982 una tremenda esplosione della forza di tre chilotoni colpì il gasdotto. La forza d’urto fu tale che le stazioni di rilevamento americane in Alaska pensarono si fosse trattato di un test nucleare sovietico. L’esplosione fu visibile anche dallo spazio. Il gasdotto fu, però, riparato in breve tempo e gli europei continuarono a ignorare le sanzioni dei loro alleati americani.

Il gasdotto russo non fu altro che un’operazione commerciale, profittevole per tutte le parti coinvolte, e non una minaccia per l’equilibrio dei poteri tra est e ovest.

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