lunedì 8 maggio 2023

Propaganda di destra e realtà storica

 

L’ascesa di Hitler non dipese dalla austerità conseguente al pagamento dei debiti di guerra, ma gli servì come cavallo di battaglia propagandistico (*).

Va ricordato che già nel 1914, allo scoppio del conflitto, c’era stata la corsa agli sportelli bancari, tanto che la Germania dovette sospendere i prelievi e abolì la convertibilità aurea del marco. Dopo la grande inflazione (1921-1923), quando solo il 19,62% delle spese del Reich era coperto dalle entrate e il resto era finanziato dalla stampa di moneta, la repubblica di Weimar si riprese: la moneta fu stabilizzata collegando il Reichsmark al gold standard.

Nel 1928, la Germania aveva quasi raggiunto il pieno impiego, il volume reale delle importazioni, consentito dal crollo globale dei prezzi delle materie prime, era superiore del 50% a quello su cui sopravviveva la Germania nel 1933 (Adam Tooze, Il prezzo dello sterminio, p.77).

Pertanto, che cosa determinò un’involuzione tanto radicale da consentire a Hitler e al suo partito di aspirare al potere per via elettorale? Prendiamo in considerazione due aspetti, quello economico (e del debito) e quello politico.

La Germania non poteva alimentare 19 milioni di famiglie tedesche di carne, latte e burro attingendo unicamente a fonti domestiche. Aveva un immenso fabbisogno di mangimi ad alto potenziale energetico che poteva solo importare. L’industria tessile dipendeva totalmente dall’importazione di lana e cotone. Gli altiforni della Ruhr venivano alimentati da minerali ferrosi provenienti dalla Scandinavia, una dipendenza acuita dalla perdita dell’Alsazia-Lorena. L’unica risorsa che disponeva la Germania in abbondanza era il carbone, ma la sua sempre più numerosa flotta di automobili, camion e aerei bruciava petrolio e impiegava pneumatici fabbricati con gomma di importazione.

Per finanziare le importazioni la Germania doveva contrarre cospicui debiti. Il ritorno del Reichsmark al gold standard fu facilitato dal prestito Dawes emesso per un importo di 960 milioni di marchi d’oro e contemporaneamente il mercato dei capitali americano fu aperto alla domanda tedesca (i prestiti erano concessi dalle banche private di Wall Street). Negli anni che seguirono, il settore pubblico, le banche e gli imprenditori privati in Germania contrassero prestiti esteri per un totale di 24,576 miliardi di Reichsmark, sei volte quanto il Reich stava pagando in riparazioni fino al 1931.

Dunque solo nel 1924 per la prima volta alle potenze europee vittoriose furono pagate regolari rate per le riparazioni, e tuttavia, come detto, l’economia tedesca diventava sempre più indebitata. La Germania aveva sempre più bisogno di esportare, e per qualche anno registrò un buon andamento delle sue esportazioni. Sennonché arrivo la crisi economico- finanziaria globale degli anni 1930.

L’export tedesco fu duramente penalizzato dall’abbandono della parità aurea da parte del governo britannico nel 1931 e dalla conseguente rinascita del protezionismo globale, di modo che la sterlina fu fortemente deprezzata. I dazi e la svalutazione del dollaro operata nell’aprile 1933 da Roosevelt peggiorò ulteriormente la situazione (Smoot-Hawley Tariff Act). Tali svalutazioni, com’è facile intuire, alleggerivano il carico debitorio della Germania (peraltro i debiti di guerra erano stati molto più convenientemente ricontrattati), ma ne rendeva molto più care le merci, tanto che nel 1934, dunque dopo l’ascesa di Hitler, la bilancia commerciale iniziò a pendere inesorabilmente verso il deficit (**).

In prevalenza il successo elettorale del nazionalsocialismo dipese dalla crisi economica del 1929, che all’inizio degli anni Trenta colpì l’Europa provocando milioni di nuovi disoccupati, e dalle conseguenti svalutazioni competitive della sterlina e del dollaro.

Il padronato tedesco contestava le spese sociali spingendo invece per la “formazione di capitale”. I sindacati, per contro, rivendicavano la “forza d’acquisto di massa”, ossia la difesa dei salari per sostenere i consumi, pur riconoscendo l’esigenza di “creare capitale”. Le solite ricette illusorie. Hjalmar Schacht, governatore della Banca centrale, impose “una drastica riduzione delle spese pubbliche, l’alleggerimento fiscale e l’accantonamento di una somma destinata all’estinzione dei debiti statali”, costringendo il ministro delle Finanze Hilferding (autore del celebre Il capitale finanziario) alle dimissioni.

Da un punto di vista politico, il successo delle destre nazionaliste dipese essenzialmente dalla legislazione elettorale tedesca e dall’impossibilità di dare stabilità al sistema. Nel settembre 1930 vi era stata l’avanzata elettorale dei partiti nazionalisti e antisemiti di destra, il NSDAP di Hitler e il DNVP (Partito popolare nazional-tedesco) del magnate dei media Alfred Hugenberg. Questi partiti, tuttavia, pur disponendo della maggioranza relativa dei voti al Reichstag, non avevano una forza parlamentare sufficiente a formare una coalizione di governo. Per contro, i socialdemocratici e i comunisti, i centristi ed i cattolici, non riuscivano a trovare un accordo per opporsi validamente ai nazionalisti con un fronte unico.

Il cancelliere Hermann Muller cadde sullo scoglio dell’assicurazione contro la disoccupazione e fu sostituito dal cattolico Heinrich Bruning, sostenuto dall’esterno dai socialdemocratici, al quale dal maggio del 1932 subentrò quell’anima bella del cattolico Franz von Papen, che non trovò una maggioranza che lo sostenesse. Si arriva così alle elezioni legislative del luglio 1932, nelle quali i nazisti ottennero il 37,3% dei voti, non abbastanza per formare un governo con a capo Hitler, semmai Hindenburg avesse consentito di affidare l’incarico di cancelliere al “caporale boemo”, capo di un partito di “delinquenti”.

A novembre 1932, in nuove elezioni, i nazisti, che pagavano sfiducia e stanchezza nel proprio elettorato, persero due milioni di voti e 34 seggi, ottenendo il 31,1 (il Partito popolare nazional-tedesco ebbe solo l’8,5). A Monaco e in Franconia erano il più forte partito, ma in tutti gli altri distretti erano stati battuti dal Centro cattolico. Complessivamente potevano contare 247 seggi su 584, cioè ancor meno che nel luglio precedente (267 su 608). Per il partito nazista l’esito delle elezioni significò il disastro, la spinta propulsiva che aveva portato il NSDAP di vittoria in vittoria fin da 1929 si era ormai esaurita.

All’indomani della sconfitta elettorale del novembre, le divisioni tra l’ala destra e sinistra del partito nazista, che avevano afflitto il nazionalsocialismo negli anni Venti, riemersero improvvisamente. Scrive Joachim Fest: «Hitler avrebbe potuto divenire cancelliere soltanto di un governo che avesse dalla sua la maggioranza parlamentare; e poiché il capo dello NSDAP evidentemente non era in grado di assicurarsela, il segretario di stato di Hindenburg, Meissner, gli indirizzò una lettera» nella quale liquidava ogni velleità del «Signor Hitler» alla nomina a cancelliere. Nella lettera si diceva testualmente: «il Signor Presidente del Reich non può non temere che un gabinetto del genere da Lei guidato si trasformi inevitabilmente nella dittatura di un partito».

Sul fronte finanziario, con migliaia di funzionari di partito e le SA, che da sole costavano due milioni e mezzo di marchi alla settimana, il NSDAP era alla bancarotta. Eloquente in tal senso l’annotazione nel diario di Goebbels secondo cui Hitler, in dicembre, se ne uscì con questa frase: «Se il partito va a pezzi, tempo tre minuti e la faccio finita con un colpo di pistola».

Ai primi di dicembre Hindenburg, anche sotto la pressione di parte delle forze armate di cui il generale Kurt Schleicher era ministro, diede l’incarico di formare il nuovo governo proprio a quest’ultimo, il quale considerava Hitler come “un pericoloso maniaco”. Ciò avvenne con grave scorno del suo rivale, von Papen. Il 31 dicembre Goebbles scrive: «sparite interamente ogni prospettiva e ogni speranza».

Assunti i pieni poteri, Schleicher fece una mossa popolare tentando di aprire ai sindacati (questi peraltro in profonde divergenze con i socialdemocratici) avviando la prima iniziativa nazionale per la creazione di lavoro. «Gustav Stolper ricordò poi una scherzosa colazione tenutasi presso la cancelleria del Reich nel gennaio 1933, in cui Schleicher e i suoi collaboratori fecero a gara nel prevedere quanti voti avrebbero perso i nazisti nelle elezioni che Schleicher intendeva indire nella primavera successiva. Gli editoriali di capodanno della stampa berlinese erano ottimisti. Vorwats, il quotidiano socialdemocratico, salutò il nuovo anno con il titolo: «Ascesa e caduta di Hitler».

La domanda da porsi è: che cosa successe davvero tra le elezioni di novembre e la fine di gennaio 1933 che portarono lo sconfitto Hitler al cancellierato e ai pieni poteri? Hitler arrivò al cancellierato per vie legale, ma in realtà si trattò di un colpo di mano delle classi padronali tedesche dopo l’avanzata comunista nelle elezioni del novembre 1932, unitamente al desiderio di mettere fine all’anomalia democratica.

(*) L’importo totale delle riparazioni non era specificato nel trattato di Versailles del 1919, ma doveva essere fissato da una commissione per le riparazioni dotata di grandi poteri. Dopo una serie di conferenze internazionali, un importo totale definitivo di riparazioni di 132 miliardi di marchi, negoziato a Londra, fu trasmesso per la prima volta al Reich tedesco nel maggio 1921.

Nel 1924, con il piano Daves, per la prima volta le riparazioni furono adeguate alla capacità economica del Reich senza determinare l’importo totale o un limite di tempo. L’onere annuale per la Germania doveva ammontare a un miliardo di Reichsmark e aumentare a 2,5 miliardi di Reichsmark dopo cinque anni. Il Piano stabiliva la fine dell’occupazione della Ruhr (1925). Il 29 agosto 1924 al Reichstag metà dei deputati del Partito popolare nazionale tedesco (DNVP) votò a favore del Piano.

Quando il Piano Dawes fu sostituito dal Piano Young nel 1929, il volume della produzione tedesca era aumentato del 50% dal 1924. I 132 miliardi di marchi, il 200 per cento del Pil tedesco di prima della guerra, scesero a 112 miliardi di marchi oro nel 1929, fissando il periodo dei risarcimenti a 59 anni (cioè fino al 1988).

La destra cercò di impedire il Piano Young con un referendum. Il plebiscito aiutò Adolf Hitler a tornare in politica e guadagnare popolarità tra la popolazione, sebbene il plebiscito stesso alla fine non ebbe successo.

Con la crisi finanziaria post 1929, i creditori privati stranieri, soprattutto americani e inglesi, si resero conto che l’unica possibilità di rivedere i miliardi che avevano prestato alla Germania era l’annullamento delle riparazioni. Nel giugno 1931, con la “Hoover Moratorium”, tutti gli obblighi internazionali di pagamento furono sospesi e le riparazioni tedesche furono differite di un anno.

Nella conferenza di Losanna del 1932, di fronte all’evidenza che le riparazioni non potevano essere pagate ed erano diventate il cavallo di battaglia di Hitler, fu proposto di abbatterne il valore di un ulteriore 90 per cento, fino quasi ad annullarle. In buona sostanza ai tedeschi veniva concesso a fronte di tutte le riparazioni un pagamento finale una tantum di tre miliardi di marchi oro.

Anche se l’accordo di Losanna non fu ratificato né dalla Germania né dalle potenze vincitrici della guerra, Berlino l’8 giugno 1933 approvò una moratoria unilaterale sui debiti esteri di lungo termine della Germania con decorrenza dal 30 giugno.

La ricerca storica fino ad oggi non è d’accordo sull’ammontare delle riparazioni effettivamente pagate dalla Germania fino alla fine della Repubblica di Weimar. Alcune stime fissano il totale a circa 25 miliardi di marchi d’oro.

Quanto esposto fin qui suggerisce che le riparazioni hanno contribuito più politicamente che economicamente all’instabilità della repubblica di Weimar e all’ascesa di Adolf Hitler. Infatti, la questione delle riparazioni e con essa quella delle colpe di guerra fu utilizzata dall’estrema destra dopo il 1918 accanto alla leggenda della cosiddetta “pugnalata alle spalle” come strumento centrale per mobilitazione politica interna delle forze reazionarie e conservatrici per combattere il nuovo ordine della repubblica di Weimar, nascondendo deliberatamente il fatto che nello stesso periodo in cui la Germania ha pagato alcuni miliardi di riparazioni, sono affluite in Germania, nell’ambito di varie obbligazioni pubbliche e private, ingenti somme di capitali stranieri che hanno innescato importanti impulsi economici.

(**) Nel 1934, la Germania diede avvio a un imponente programma di spesa per gli armamenti, 35 miliardi di Reichsmark, un budget da spalmare in otto anni. Si trattava di una spesa, facendo il confronto con la realtà attuale, che corrisponderebbe a due volte i bilanci militari di quasi tutti i paesi occidentali!

Il problema era come trovare tutti quei soldi. Già nell’aprile del 1933 il governo aveva deciso di inaugurare un sistema di finanziamento dei lavori civili e della spesa militare fuori badget, esentando le forze armate dai normali controlli budgetari, creando degli uffici appositi attraverso i quali incanalare i fondi extra destinati all’apparato militare. Restava il problema di come pagare i fornitori. Come in una qualsiasi truffa commerciale il sistema fu escogitato. A partire dall’aprile 1934 i fornitori di armamenti sarebbero stati pagati in buoni emessi per conto della Mefo GmbH, una società misteriosa che era stata costituita con un capitale di appena un milione di marchi (anche questo anticipato dalle maggiori industrie tedesche).

Grazie al coinvolgimento delle maggiori industrie tedesche, le attestazioni di pagamento (espresse in buoni) sostenute per il riarmo divennero garanzia accettabile per la Reichbank (controllata dagli stessi nazisti). In tal modo i fornitori e gli appaltatori potevano cambiare i buoni presso la banca centrale (pagando una piccola percentuale) e infine quei buoni rimanevano in circolazione. In sostanza fu creata una moneta interna sganciata da qualsiasi reale garanzia. In questo consisteva il “miracolo” di Hitler. Chiaro che un simile raggiro non avrebbe potuto durare all’infinito, di questo i più alti gerarchi tedeschi erano ben consapevoli, ma a questo avrebbe provveduto la guerra. La guerra fu una necessità economica inderogabile per la Germania.

2 commenti:

  1. Leggere i suoi approfondimenti storici è sempre un grande piacere (oltre che di indubbia utilità).
    Un saluto,
    Dario

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