Washington, che ha istituito una rete mondiale di basi militari, usa la propria potenza militare come minaccia e non di rado l’impiega (vedi Vietnam, Iraq, Afghanistan, ecc.). Naturalmente in nome della libertà e della democrazia, tanto che la maggior parte degli statunitensi, con la mano nel cuore e la bandiera a stelle strisce nel giardino di casa, pensa che il loro Paese non sia imperialista e dunque di non avere un impero e alcunché da rimproverarsi.
Vai a spiegare che tutto l’imperialismo poggia, storicamente, su un rapporto di stretta dipendenza tra i potenti e i deboli, e che qualsiasi Stato forte che cerchi di ridurre l’indipendenza di uno Stato più debole a proprio vantaggio può essere definito imperialista.
Poco importa che le finalità perseguite o i mezzi impiegati differiscano: dalla pressione economica al puro e semplice sfruttamento, dalla collaborazione politica alla sottomissione totale, dall’assimilazione culturale fino all’annientamento delle culture locali.
Va ricordato che si può essere imperialisti senza un impero coloniale costituito, poiché l’imperialismo coloniale rappresenta solo una delle possibili forme di imperialismo, peraltro obsoleta e superata in gran parte nella seconda metà del XX secolo. Inoltre l’imperialismo nella varietà delle sue forme dipende anche da un certo profilo politico della potenza dominante così come da altre causalità (*).
Infatti, diversamente dal secolo XIX e dalla prima metà del XX, quando principalmente vigeva dell’imperialismo britannico, la spartizione del mondo tra potenze non comporta una divisione territoriale tra Stati, ma è sufficiente la condivisione degli interessi tra le società o imprese interessate senza doversi preoccupare dell’effettivo possesso dei territori. È il caso, tra l’altro, della dominanza degli interessi economici statunitensi, tedeschi e francesi in Europa, specie ora che la concorrenza russa è stata eliminata con sanzioni e sabotaggi.
Un Paese può dipendere dalle agevolazioni per l’acquisto o la vendita concesse da un altro Paese, o può essere tenuto ai margini dalle condizioni dei prestiti, in particolare quando questi sono legati a impegni di approvvigionamento dal creditore per la fornitura di prodotti industriali, oppure si può ancora ottenere la dipendenza con concessioni di usufrutto tecnologico.
Un sistema imperiale forte può permettersi di applicare regole di concorrenza con gli Stati più deboli, a condizione che industriali, commercianti e banchieri di questi Stati o aree economiche non formino a loro volta monopoli di valore concorrente per spartirsi i mercati esteri attraverso cartelli, accordi, sindacati bancari (in tal caso si ricorre ai dazi o forti agevolazioni fiscali per le proprie imprese, come l’Inflation Reduction Act of 2022, cui flebilmente risponde la UE con il Temporary Crisis and Transition Framework, eccetera).
Pertanto, l’imperialismo non è semplicemente il mandato di una politica estera tesa ad estendere la propria influenza, bensì una necessità insopprimibile del processo di accumulazione capitalistico: la contraddizione tra forze produttive illimitate e limitata capacità di consumo sociale spiega, in prima battuta, la necessità del grande capitale di controllare i mercati, le fonti di approvvigionamento delle materie prime e, non ultimo, lo sfruttamento di forza-lavoro a basso prezzo. In buona sostanza l’obiettivo è sempre quello: aumentare le quote di plusvalore.
Il ruolo degli Stati, per superare la tendenza al ribasso del saggio di profitto e aprire nuovi mercati, completare lo sfruttamento del pianeta e spartirselo, è fondamentale. Un intervento non privo di problemi e contraddizioni che riflette la natura gerarchica del sistema capitalista globale e il divario tra vincitori e vinti, dove i perdenti sono, in particolare, le popolazioni povere dei paesi del Sud, ma anche i paesi poveri dell’Europa, come l’Ucraina.
Per l’appunto veniamo agli avvenimenti odierni, alle relative considerazioni prettamente politiche e ispirate alle idee dominanti nell’opinione pubblica, in linea con i punti di vista espressi e veicolati dall’imperialismo occidentale e da quello statunitense in particolare. Dunque parliamo dell’invasione russa dell’Ucraina in un contesto di conflitto bellico latente da anni ai confini tra i due paesi.
Il fatto che l’imperialismo americano, in nome dei diritti umani, della libertà, della democrazia e di qualsiasi altro motivo pretestuoso, abbia portato guerra e distruzione ai quattro angoli del pianeta, non giustifica l’aggressione russa sul piano formale del diritto. Tuttavia quanto valga il diritto internazionale sul piano dei rapporti di potenza lo sappiamo bene: poco o nulla. A farne le spese sono sempre i poveracci dell’una e dell’altra parte.
La Russia, seriamente minacciata ai suoi confini ha reagito, e non c’era da aspettarsi altro perché strade diplomatiche percorribili erano precluse in partenza dal fatto che la provocazione e la minaccia erano state pianificate a tavolino, come ammesso dalla stessa controparte. I nostri democratici a 24 carati strepitano per l’invasione russa, e come damine di san Vincenzo di fronte alla miseria di un sistema di cui esse stesse sono parte integrante, offrono il loro obolo “per la giusta causa”.
(*) Tra il 1898 e il 1930, quando passavano per “isolazionisti”, gli Stati Uniti intervennero militarmente: 31 volte, ovvero mediamente una volta all’anno. Si trattava di interventi militari diretti, non sempre senza la formazione di insediamenti (Filippine, Porto Rico, Guam). Eppure passavano per “isolazionisti”.
Anche dopo la seconda guerra mondiale, soprattutto in America Latina, sostennero con aiuti finanziari e militari i tiranni locali e una classe di intermediari al servizio degli interessi e della politica estera di Washington: “Potrebbe essere un bastardo, ma è il nostro bastardo”.
Ciò che è avvenuto dal secondo dopoguerra non è molto diverso da ciò che accadde alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo, quando gli imperi europei, gli stessi Stati Uniti e il Giappone inflissero con interventi militari gravissimi danni alla Cina, con la firma di “trattati ineguali”, associati al controllo dei dazi e dei bilanci doganali.
Come si vede la politica estera statunitense nel tempo muta solo per le sfumature, ma la sostanza resta la stessa: l’imperialismo. E, quando non si esercita direttamente la coercizione militare, si esercita quella economica: “O adotti questa politica o strangoliamo la tua economia”, ossia misure chiamate “aggiustamento strutturale” che attraverso le istituzioni internazionali, dominate da Washington, sono imposte alle economie periferiche.
nient'altro che il "normale sfruttamento" di vite e risorse dei vari vincitori da 12.000 anni
RispondiEliminaLa “normale” cattiveria di scimmie egoiste e aggressive da millenni in qua? Oppure c’è qualche altro motivo se ogni mattina continuiamo a scendere dagli alberi e a incoronare leader politici, re e regine?
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