martedì 16 maggio 2023

Il ritorno del fascismo

 

Dieci e più anni fa era estremamente difficile dare risposte chiare alle domande: “che cos’è il fascismo oggi?” e “si può parlare di un ritorno del fascismo in Italia e in Europa?”.

In un post del 10 giugno 2010, dal titolo Il fascismo non marcia più in orbace, scrivevo: «La ex sinistra di lotta e di governo ha sposato, fin che morte non li separi, i principi del neoliberismo fallito: tagli alla spesa sociale, cuneo fiscale a favore delle imprese e incrementi demenziali per quella militare. La sinistra vetero, invece, è ancora ferma allo statalismo cialtrone e inefficiente del secolo scorso e al programma “anche i ricchi piangono”. Poveri illusi. [...] Tutto il peso della crisi è sulle spalle di chi lavora e ha meno, rilevando che non c’è nulla di democratico in questa politica economica. La classe dirigente sfrutta la crisi mondiale per arricchirsi sempre di più. Il fascismo non marcia più in orbace, ma con il passo felpato dei banchieri».

Il 24 agosto 2012: «Non c’è più bisogno della camicia nera o dell’orbace, delle adunate di massa. Il fascismo trionfa ovunque, ci solletica in tutti i modi, conosce le nostre debolezze e blandendoci e terrorizzandoci ci convoca plebiscitariamente a tutte le ore davanti a uno schermo per dire: Sì! Senza una continua campagna diffamatoria contro il passato delle lotte sociali e senza scatenare una continua tensione mediatica sulle questioni del debito sarebbe impossibile condurre l’offensiva economica contro di noi e raggiungere determinati scopi».

Quei miei timori di allora potevano sembrare esagerati ai miei lettori, sparuti ma saldi come rocce, e tuttavia nel frattempo non c’è stata un’inversione di rotta, tutt’altro. Relegato per decenni ai margini del dibattito politico a causa del suo apparente anacronismo, il neofascismo è tornato alla ribalta della scena politica italiana e tornerà sempre più inesorabilmente alla ribalta europea.

Se si può considerare che le ideologie del Novecento sono definitivamente esaurite (il marxismo-leninismo per ciò che è stato, specie nella sua versione stalinista), e con esse il fascismo nelle sue concretizzazioni storiche (lo spettro mussoliniano o franchista, per esempio), tuttavia ovunque in Europa l’estrema destra reazionaria e fascista, mutevole e proteiforme, facendo leva sul malcontento sociale e guadagnando nuovi e inaspettate forme di legittimazione, ha preso piede e in tanta parte governa o governerà (in Francia, tra quattro anni, per esempio).

Prevalentemente due termini sono usati oggi per caratterizzare l’emergere e il rafforzarsi di vecchi e nuovi movimenti di estrema destra: neofascismo e postfascismo. Lo si declini nominalmente come si vuole ma ciò non ha impedito e non impedirà domani lo spostamento a destra della popolazione e della classe politica, confermando l’inesorabile regressione dei partiti tradizionali e la spinta verso una riformulazione culturale e antropologica di un fascismo che si presenta oggi in forme aggiornate.

Pensare che si tratti solo dell’effetto della crisi economica (pur importante) e della crisi del tradizionale sistema democratico, significa sottovalutare altri fattori decisivi che segnano il cambio d’epoca al quale stiamo assistendo.

Lo vediamo bene in Polonia e in Ungheria, dove le libere elezioni ci sono ancora e dove rimane almeno formalmente la libertà di stampa (nel post di ieri ho cercato di chiarire in che cosa consista in generale la libertà di stampa). Dunque non si tratta del rifiuto della libertà di stampa laddove i media sono proprietà di famiglie e di gruppi, né del rifiuto della democrazia rappresentativa in un sistema dominato da “un’oligarchia dinamica incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali” (Luciano Canfora, La democrazia, p. 331).

Il forte ritorno alla questione dell’identità e delle preoccupazioni sulla sicurezza (per quanto gonfiate dai media, ma non a caso), la promozione del nazionalismo su base etnica e una certa convergenza tra xenofobia e rifiuto della “contaminazione”, la denuncia del “complotto ambientale”, eccetera, eccetera. Sono motivi, sfrondati dalle mitomanie, che hanno una loro ragione d’esser (se non altro come fenomeno sociale) e sui quali la sinistra non vuol farsi ragione e risponde in modo stereotipato e sbagliato, in buona sostanza irridendoli tout court.

Ciò vale anche per le altre questioni sociali, del lavoro, delle tutele e dei redditi, che la sinistra governativa negli anni non ha fatto altro che inasprire con la sua aperta e totale adesione ai principi del neoliberismo. La destra reazionaria e fascista è stata invece capace, con un messaggio politico e mediatico accattivante (si pensi al cosiddetto “anticapitalismo dei poveri” che però non mette in discussione i grandi interessi, tipo i “balneari” per citare cosa nota a tutti), di guadagnare e incanalare il malcontento popolare allargando la propria base elettorale facendo leva proprio su quelle questioni sociali un tempo appannaggio della sinistra. Poi non deve stupire che ai nostalgici venga anche facile il rimando a un mitico passato (i treni in orario e le “cose buone”).

La solita domanda: che fare? Non si può certo invertire un processo storico, dove un ruolo non secondario a livello culturale e dunque ideologico è svolto dalle nuove tecnologie, con qualche ritocchino un programma politico di una ex sinistra affannata e senza identità che ha integrato nel suo linguaggio le linee di pensiero dell’ordine imperialista.

Sarebbe preliminare e necessario che quelle forze sensibili della società civile, che credono ancora a certi valori, la smettessero di spararsi tra di loro a palla incatenate. Per esempio sulla vexata quæstio della guerra in Ucraina, prendendo atto che quel conflitto, in atto dal 2014, non è solo il prodotto dell’”aggressione russa” (imperialismo locale che difende ciò che gli resta), ma è fomite del più arrogante imperialismo: quello americano. Un conflitto provocato da Washington in alleanza con il nazionalismo estremista ucraino, e che nuoce enormemente agli interessi dell’Europa e invece favorisce la componente politica e sociale più reazionaria.

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