venerdì 12 maggio 2023

“Manco il figlio di un serial killer”

 


In riferimento alla protesta studentesca per il caro-affitti, tale Nicola Biondo, che si presenta come “Giornalista, scrittore, consulente parlamentare, perito giudiziario”, e con “un paio di incarichi universitari” (quante cose si possono fare con una laurea in scienze politiche) ha scritto quella che chiama una lettera aperta ai “colleghi di tenda”.

Comincia così: «Io in tenda ho vissuto veramente il primo anno di università da fuorisede. [...] Da giorni osservo questa storia degli alloggi con prezzi impossibili, la mancanza di campus e le immancabili questioni sul privilegio e ho ripensato a quei mesi, estivi e invernali, passati al camping Aurelio tra libri, zanzare e pini giganteschi, a imparare a cucinare e nello stesso tempo stringere bene la bombola del gas sennò esplodevo io e mezzo raccordo anulare».

Dunque un’esperienza che se non altro ha insegnato a Nicola che il gas va chiuso per bene, ma gli ha anche dato la consapevolezza di essere figlio «di una generazione che aveva mangiato tutto, aveva vomitato e chiedeva altro cibo ancora». La prosa non è brillante ma si capisce che si tratta di risentimento, soprattutto verso i propri genitori: «perché alla fine padre e madre questo mi hanno messo a disposizione e questo ho provato a sfruttare, bene o male. Non gliene voglio, acqua passata».

Sui reali sentimenti celati in quest’ultima frase, mi permetto delle riserve, anche perché Nicola domanda retoricamente a chi legge: «Cosa mi è rimasto di tutta questa vita che io adesso vi ho raccontato in maniera divertente ma che davvero mi ha procurato buchi emotivi che manco il figlio di un serial killer può capire?». Pronta la risposta: «Che le ingiustizie della vita credo siano altre». Ecco dunque spiegata la mia curiosità per questo cahier de doléances di Nicola Biondo.

La prima fondamentale ingiustizia della vita patita da Nicola: «Una volta, scocciato delle lezioni di Dottrine politiche, me ne andai a bighellonare a Lettere. Teneva lezione uno dei più famosi intellettuali italiani, Alberto Asor Rosa altresì detto “il Barone rosso”, [...] era il più rigido e osservante critico letterario dichiaratamente comunista. Uno che le ha cantate chiare a gente come Vittorini e Calvino che annoverava come scrittori populisti, l’accusa massima che uno come lui poteva scagliare».

Scrive Nicola: «Il mio istinto da drop-out si mise subito all’erta: l’eloquio del Prof era eccelso ma lui mi appariva come uno di quei capitalisti stile zio Paperone che ammansisce i suoi dipendenti, “imparate ad obbedire e un giorno potrete essere al mio posto”. Finale della storia: qualche anno dopo il “barone Rosso” a cui la facoltà aveva detto di no alla nomina della sua compagna come titolare di cattedra fece una scissione, duplicò il dipartimento di Italianistica e diede una cattedra alla signora».

Che cosa c’entra tutto ciò con la questione del caro-affitti? Nulla, però il “fatto” attiene alle “ingiustizie della vita” subite da Nicola, che un giorno, “scocciato delle lezioni di Dottrine politiche”, ascoltò una lezione del prof. Asor Rosa, e dunque questa novella gli serve per comunicarci che «Con storie così si è forgiata la mia anima anarchica».

Sull’anima politica di Nicola non desidero entrare nel merito, ammesso che egli ne abbia una. Sul racconto che il “barone rosso” avesse sdoppiato il Dipartimento di italianistica per dare una cattedra alla sua compagna, voglio semplicemente evidenziare il fatto che il professore in questione è morto da alcuni mesi, per cui eventualmente non può difendersi da tale grave accusa. Però potrebbe farlo la sua compagna, Marina Zancan. Ma Nicola sa bene che la professoressa Zancan non lo farà, poiché gli è noto l’epilogo della causa intentata contro il prof. Ferroni.

Insomma, Nicola sa quali sono le miserie della vita. Soprattutto le sue.


1 commento:

  1. È per quel tipo umano che si è coniata la battuta: "giornalista? Sempre meglio che lavorare"

    RispondiElimina