martedì 9 maggio 2023

Un serraglio di disperati

 

La giacca è troppo leggera per questo tempo. Va detto che due giorni addietro faceva quasi caldo. Piogge, temporali, grandine, una vera festa. La colpa è del cambiamento climatico (sulle cause ognuno dice la sua), potremo ancora bere vino nel 2050? La pioggia favorisce i funghi (l’oidio, per esempio) nelle viti, dunque il bisogno di maggiori trattamenti (chimici: anche nel biologico zolfo e rame sono chimica). Non possiamo dire se il vino sarà più o meno buono fra trent’anni, perché nel frattempo cambierà ancora il gusto del famoso “consumatore”. Forse non ci sarà più il vino quale è stato per millenni, o potrebbe essere vietato. Io per allora non ci sarò, ma che sapore potrà avere la vita senza il vino? Il mondo sarà ancora più schifoso e non potremmo più ubriacarci per dimenticarlo. Più invecchio e più mi piace il vino, come Brando nel Padrino.

Ci sono due tipi di produttori di vino. Tanti fanno il vino per la produzione convenzionale e pochissimi in modo “naturale”. Il vino è “fatto” grazie ai lieviti e ai batteri presenti naturalmente nell’uva. Puoi anche aggiungere lo zucchero, alcuni aggiungono persino pezzetti di legno per imitare il sapore di una botte nuova. Insomma, si può “costruire” un vino grazie agli enologi.

Vuoi un vino fresco dal gusto fruttato? Nessun problema: il viticoltore deve solo aggiungere al suo succo d’uva un certo lievito, che possiamo chiamare “lievito intelligente”. Ormai tutto è intelligente tra noi umanoidi. Vuoi un vino “biologico” (altra parola intelligente)? Il processo d’industrializzazione è lo stesso, se vuoi produrre per vendere.

Ah, il biologico, che bella invenzione moderna. Spiegassero come combattono l’ambrosia, che è molto allergenica e non si deve assolutamente trovare nel raccolto. L’unica soluzione in agricoltura biologica è sradicare le erbacce infestanti con una macchina o a mano. Su piccole superfici è possibile, ma su 80 ettari?

Garantito “senza solfiti” comprato al supermercato o nella cantina “di fiducia”? Significa semplicemente che non ne contiene più della dose massima consentita (limite che può salire ancora per i vini dolci). Ma chi controlla le quantità effettivamente presenti? E nulla è scritto in etichetta sui prodotti aggiunti dalla vite alla bottiglia.

Dunque evitiamo i solfiti presenti nel vino. Evitiamo il vino tout court, come striglia la “scienziata” di Padova. Invece diamo il “succhino” al nostro bambino, e poi a tavola, nei cibi, anche i più comuni e “naturali”, ma anche in quelli “freschi” (la più massiccia presenza di solfiti è nella frutta, ma non c’è obbligo dichiararne la presenza) facciamo scorta di questo gruppo di delizie: anidride solforosa, E220, solfito di sodio, E221, bisolfito di sodio, E222, metabisolfito di sodio, E223, metabisolfito di potassio, E224 solfito di potassio, E225, solfito di calcio, E226, bisolfito di calcio, E227, potassio solfito acido, E228.

Siamo un serraglio di disperati, che c’intortano come vogliono.


4 commenti:

  1. Stasera berrò un bel primitivo di Manduria.
    Ah, come mi piace essere intortato. 😉

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    1. ho bei ricordi della puglia: ricci di mare a volontà e torre quarto bianco a go-go. tutto un pomeriggio-sera così: 1976.

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    2. Niente ricci di mare qui in Puglia per i prossimi tre anni, siamo in fermo biologico. In campagna, nel frattempo stiamo cercando di fermare l'avanzata della xylella, missione pressoché impossibile.
      (Peppe)

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  2. Anche gli antichi mettevano di tutto nel loro vino, che pare fosse una schifezza al naturale, compresa la calce viva. Si vede che torniamo all'antico.
    Pietro

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