giovedì 18 maggio 2023

Ma levati di torno

 

Armando Torno è stato responsabile del supplemento Domenica de Il Sole 24 Ore fino al 2000. Attualmente è editorialista dello stesso supplemento e ogni settimana in terza pagina ci delizia di un suo articolo. Nei suoi due ultimi ha citato nientemeno che Karl Marx.

Nell’articolo di domenica 7 maggio, la citazione è la seguente: “I reazionari di ogni tempo sono buoni barometri degli stati d’animo della loro epoca, come i cani per le tempeste”. Armando Torno trae questa citazione marxiana dagli Scritti politici giovanili. Un riferimento bibliografico un po’ generico tuttavia sufficiente per rintracciarlo a pagina 130 dell’edizione Einaudi (nella MEOC, I, p. 183).

Accade spesso che nel citare Marx non ci si curi troppo e anzi per nulla di offrire al lettore un riferimento bibliografico preciso. Ricordo a riguardo un noto autore che rimandava semplicemente e ripetutamente a questo luogo: Il Capitale. Si guardava bene dall’indicare perfino se il primo, secondo o terzo libro.

La seconda citazione di Torno riguardo a Marx è di domenica scorsa, ed è la più interessante:

«In una sua celebre lettera, l’Epistola a Meneceo, in cui tratta i temi della felicità e della morte, Epicuro parla degli dei. Essa sarà meditata dai Padri della Chiesa e dai pensatori di ogni tempo: Karl Marx, che scelse la tesi di laurea su Democrito ed Epicuro, ne riprende alcuni passi e li utilizza per dare corpo al suo ateismo».

Siamo in presenza, nel caso di Armando Torno, di un classico esempio di citazione di seconda o terza mano, e anche di un esempio di chi nel far proprie cose altrui le copia male o le trova già errate: in nessun luogo della sua dissertazione di laurea (1841), Marx cita l’Epistola a Meneceo. Marx invece cita ampiamente tale epistola in un altro suo lavoro, ovvero nei Quaderni sulla filosofia epicurea, scritti fra l’inizio del 1839 e al massimo il febbraio del 1840 (MEOC, vol. I).

La dissertazione marxiana, cui allude Torno, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, è anzitutto da leggere per sé stessa, perché di tante cose tratta, salvo l’intento di Marx, come vorrebbe Torno, di utilizzarla, citando Epicuro (ma non l’Epistola a Meneceo), di dar “corpo al suo ateismo”. È sufficiente leggere l’indice della dissertazione per rendersi conto che di tutt’altro Marx si occupa in essa.

Dunque, è necessario interrogare la dissertazione senza iscriverla nel comune stereotipo. Come dichiarato dallo stesso Marx, in una lettera a Ferdinand Lassalle nel 1857, la sua tesi aveva per lui un significato politico piuttosto che semplicemente filosofico nel senso stretto del termine. E del resto, possiede anche un significato filosofico di non poco conto, poiché già in essa si possono scorgere gli elementi filosofici portanti di un discorso che si farà sempre più impegnato, forte e sicuro ma mano che il giovane Marx metterà a punto la sua concezione storico-materialistica.

Per orientarsi nella tesi è opportuno tenere presente che l’importanza dell’epicureismo, dello stoicismo e dello scetticismo è dovuta, secondo Marx (vedi la Prefazione), al fatto che essi costituiscono i “sistemi che sono la chiave della vera storia della filosofia greca”, nel senso che ne segnano sia il culmine e sia il declino (in Epicuro “il declino della filosofia antica si presenta [...] perfettamente oggettivato).

Il sistema filosofico di Epicuro, sempre secondo Marx, risponde essenzialmente a una polis che declina e poi crolla, lasciando il posto alla forma imperiale. Il “declino della filosofia antica” corrisponde quindi alla fase di declino della polis, la esprime e, così facendo, vi partecipa.

L’originalità di Marx, come indica il titolo stesso della sua tesi, consiste nell’evidenziare la “differenza nelle filosofie naturali”, nel mostrare la “differenza essenziale” che le separa. Questa differenza sembra essere facilmente individuabile fin dall’inizio: per Democrito l’essere appare governato dalla “necessità”, nel senso che gli atomi che lo compongono sono legati tra loro da causalità, in modo che il percorso di alcuni è determinato da quello di altri; per Epicuro, al contrario, non c’è altro che una “possibilità di essere”, il che significa che “il destino [...] non è” dato, poiché tutto alla fine si riduce alla contingenza, ossia al caso. Necessità da una parte, caso dall’altra. L’opposizione non potrebbe essere più chiara.

Al che questa opposizione non vieta affatto di riunire Democrito ed Epicuro facendo di loro due difensori del materialismo, uno supponendo che la materia sia governata dalla causalità e per l’altro dal caso (*). Marx rifiuta una tale proposizione: il “modo di spiegazione” che Epicuro adotta, sostiene, e questa è la tesi principale che difende sul suo argomento, non mira alla conoscenza della “realtà oggettiva della natura”, che designa come “atarassia”, che significa la tranquillità dell’anima o della coscienza.

Che cosa significa tutto questo? Per Marx, fu Lucrezio il primo a capire chiaramente che cosa fosse la fisica di Epicuro. Questa fisica deve essere considerata secondo Lucrezio come rottura delle “catene del destino”, è “quel qualcosa che può combattere e resistere”, il “libero arbitrio”, la “libera scelta” o la “libertà” che profetizza contro.

Ma quale libertà, si chiede Marx? Dobbiamo qui considerare il contesto storico e politico in cui si colloca la riflessione filosofica in Epicuro (nacque nel 341, la battaglia di Cheronea è del 388). Descrive una “caduta della vita sostanziale” e la “sua condizione all’interno di questa vita”, di un “mondo lacerato”, e dunque non trova più quella libertà esercitata nella polis morente. Insomma, la libertà non si realizza più nella e attraverso la polis e con altri cittadini, ma piuttosto scappando da loro, ignorandoli. La famosa “atarassia”, per dirla spiccia.

Quanto sia attuale tale riflessione (che qui per necessità espositiva e di sintesi ho volgarizzato ignobilmente), lo può giudicare il lettore prendendosi la briga di leggere la dissertazione marxiana di prima mano, nel caso ne fosse interessato.

(*) «Al determinismo ci si sottrae elevando a legge il caso, alla necessità ci si sottrai elevando a legge l’arbitrio» (Quaderni sulla filosofia epicurea, MEOC, I, p. 507). Marx aveva altresì ben chiaro il rapporto dialettico tra caso e necessità.

8 commenti:

  1. Come spiega Auguste Cornu nel suo fondamentale studio, “Marx e Engels dal liberalismo al comunismo”, il giovane Marx giudica la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro dal punto di vista della possibilità per l’uomo di agire sul mondo. Ciò spiega perché egli valorizzi Epicuro, il quale teneva conto sia dell’elemento spirituale che dell’elemento materiale, mentre Democrito, considerando soltanto l’elemento materiale, si limitava allo studio della natura empirica. Così, nonostante l’insufficienza e la debolezza delle spiegazioni fisiche fornite dal filosofo di Samo, Marx preferiva la filosofia della natura di Epicuro a quella di Democrito, in quanto, respingendo il determinismo di Democrito, il primo aveva dimostrato che l’uomo poteva agire liberamente. Marx lodava Epicuro soprattutto perché questi aveva analizzato i fenomeni fisici nei loro rapporti con l’uomo, e aveva fatto della sua filosofia della natura la base di un’etica che si proponeva di giustificare e garantire la libertà umana. Peraltro, come è noto, dinanzi alla dottrina epicurea del ‘clinamen’ (deviazione), formulata per spiegare l’incontro casuale degli atomi, Cicerone reagì con una battuta sarcastica: «Come fanno gli atomi a decidere chi di loro deve deviare e chi no? Tirano a sorte?». Molti secoli dopo, e sempre in relazione al problema della determinazione / indeterminazione atomistica, qualcuno avrebbe detto che «Dio non gioca a dadi». In effetti, se si considera il modo peculiare con cui viene inteso il rapporto tra causalità e casualità nella concezione del materialismo antico, ripresa da Louis Althusser con la sua teoria del “materialismo aleatorio”, non si può negare che tale concezione sia una sfida geniale alla logica lineare nella duplice versione empiristica e/o razionalistica.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciò che scrivo su un determinato argomento non ti basta mai. Non perché non sia sufficiente di per sé, ma perché è più forte in te una irrefrenabile apposizione didattica, tipica dei je-sais-tout.

      Elimina
    2. https://studieriflessioni.blogspot.com/2014/05/i-la-necessita-di-democrito-e-il-caso.html

      Elimina
  2. L'IRREPARABILE È SUCCESSO

    La vendetta della Russia per le armi
    all'uranio impoverito è semplice QUANTO terribile: Mosca sta restituendo l'uranio all'Europa attraverso il vento.

    Dopo aver distrutto i depositi di armi
    all'uranio impoverito a Khmelnitsky e
    Ternopil l'area è contaminata e dovrebbe essere evacuata immediatamente dalla popolazione.

    Ma l'Occidente ha sempre affermato che l'uranio impoverito non è pericoloso per gli uomini e per l'ambiente e quindi ora non
    può evacuare le città riempite dalle polveri di uranio impoverito altrimenti dovrebbe ammettere che l'UI è un'arma di distruzione di massa che voleva usare senza pietà.
    Quindi le persone sono abbandonate lì a contaminarsi.

    L'attacco ai depositi non è comunque
    casuale. Le armi sono state attaccate lì perché i venti porteranno la nube tossica di polveri di uranio verso l'Ovest e non verso l'Est, cioè verso la Russia.
    La nube di polveri di uranio si sta
    spostando quindi verso il centro Europa. I militari della NATO dovrebbero avvertire la
    popolazione ed iniziare a prende
    contromisure per ridurre i contagi ma,
    sempre per le ragioni di cui sopra, non lo faranno.
    Dato che non lo fanno, il Segretario del Consiglio di Sicurezza russo, Petrushev, ha diramato un avvertimento alle popolazioni
    occidentali avvertendo oggi che la nube tossica si sta muovendo verso l'Ovest dell'Europa.

    RispondiElimina
  3. Ehi Olympe, tutto bene?
    Mi manchi!

    RispondiElimina