martedì 2 maggio 2023

“Anche la sterlina pareva invincibile ...”

 

Per comprendere in alcuni numeri significativi cosa c’è in ballo nei rapporti di potenza tra Washington e Pechino, e quali conseguenze potranno avere le dinamiche in atto, ritengo importante la classifica 2022 Top 1000 World Banks (riferita al 2021), di The Banker, rivista specializzata di Financial Times, cui farò seguire alcune sintetiche considerazioni.

Le banche cinesi hanno continuato a consolidare la loro posizione sempre più dominante all’interno della Top 1000. L’Industrial and Commercial Bank of China (ICBC) ha ormai trascorso un intero decennio al vertice della classifica Top 1000. Il suo capitale di classe 1 ha continuato a crescere, crescendo di 68,9 miliardi di dollari dallo scorso anno fino a raggiungere l’enorme cifra di 508,85 miliardi di dollari, un aumento del 15,7% e la prima volta che una singola banca nella Top 1000 ha detenuto più di 500 miliardi di dollari di capitale di classe 1 sul suo bilancio. Ha più del doppio del capitale Tier 1 di JPMorgan, la banca non cinese più alta in classifica in quinta posizione. Detiene anche un gigantesco patrimonio di 5.520 miliardi in bilancio.

Altre quattro banche cinesi si uniscono all’ICBC nella top 10, con China Construction Bank, Agricultural Bank of China e Bank of China che mantengono rispettivamente la seconda, terza e quarta posizione nella classifica. Anche Bank of Communications è passata dall'11° alla 10° posizione. Questo segna la prima volta che le banche cinesi hanno raggiunto la metà della top 10.

La Cina ora costituisce la metà della top 20, aumentando la sua quota da nove su 20 nel 2021. A livello aggregato, le banche cinesi sono sempre più dominanti, rappresentando un terzo del capitale Tier 1 dell’intera Top 1000.

Sostenuta da una forte economia interna, che è cresciuta dell’8,1% nel 2021, la Cina ha ampliato il suo capitale di classe 1 aggregato del 14,4% (contro il 4,7% per gli Stati Uniti) e le attività totali del 10,9% (contro l’8,8% per gli Stati Uniti).

Con 140 banche in classifica, quattro in meno rispetto al 2021, la Cina ha ora più del doppio del capitale Tier 1 (3.380 miliardi) e quasi il doppio delle attività (41.530 miliardi) rispetto agli Stati Uniti, con 186 banche. Complessivamente, la Cina detiene il 32,5% del capitale di classe 1 mondiale, il 26,9% delle sue attività e il 28,7% dei suoi utili ante imposte.

La Cina può davvero colpire al cuore la supremazia finanziaria e monetaria degli Stati Uniti?

«La Cina continua nel suo obiettivo di creare un posto crescente al Renminbi, ma cerca di adattarlo al suo nuovo ruolo politico ed economico. In primo luogo, dopo la guerra di Ucraina, ha ottenuto non solo che gli scambi fra Russia e Cina avvengano progressivamente in moneta cinese, ma che la stessa valuta sia utilizzata per i pagamenti russi con Asia, Africa e America Latina. Di maggiore significato è quindi l’accordo fra Lula e Xi Jinping di regolare in Rmb i crescenti rapporti fra Cina e Brasile. [...] In questo momento, ben centoventi paesi hanno la Cina come primo partner commerciale e i nuovi rapporti economici includono in modo crescente la clausola di utilizzare la valuta cinese. [...] anche la sterlina pareva invincibile, ma poi...» (Romano Prodi, Il Messaggero, 22/4/2023).

Attraverso la “Dichiarazione di Shanghai”, chiamata a governare i rapporti bilaterali tra Washington e Pechino, gli Stati Uniti hanno riconosciuto il principio di una Cina. Poche settimane prima, il trasferimento alla RPC (1971) del seggio cinese all’ONU aveva, di fatto, spodestato Taiwan. All’inizio degli anni ‘70, il riavvicinamento tra la superpotenza imperialista e la Cina aveva valore eminentemente strategico, basato sul comune rifiuto dell’Unione Sovietica.

In seguito, la concessione della clausola della nazione preferita e l’ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio, hanno permesso alla Cina, con un modello di sviluppo diverso sia da quello americano e sia dall’esperienza fallimentare di stampo sovietico, di diventare la più grande economia del mondo in termini di quantità di ricchezza reale che produce ogni anno (in gran parte il risultato dell’apertura del mercato interno statunitense).

Fino al 2008 le relazioni Cina-USA erano state caratterizzate da un lungo periodo di collaborazione economica e da un alto livello di mutuo vantaggio (la Cina era il più grande mercato con il maggior potenziale). Il rapido sviluppo economico cinese, la fine della politica di “basso profilo” nelle relazioni internazionali, ha determinato un nuovo paradigma nella ridistribuzione del potere sullo scacchiere internazionale, con infine un rovesciamento radicale degli equilibri geopolitici, di modo che il rapporto sino-americano è infine giunto a una svolta storica. Il progetto degli Stati Uniti di costruire un nuovo impero romano nel mondo post guerra fredda è fallito (Rapporto sulla sicurezza nazionale degli StatiUniti, 2017).

Dapprima la crisi finanziaria (la rapida crescita economica cinese durante questo periodo ha dato una grossa mano a tenere in piedi il capitalismo occidentale), il deficit delle partite correnti degli Stati Uniti con la Cina, i dazi americani cui Pechino ha risposto con la svalutazione competitiva della propria moneta, poi una serie di decisioni rivoluzionarie: abbandono dell’economia basata sulle esportazioni e sulla manodopera a basso costo a favore di un’alternativa ad alto valore aggiunto basata su tecnologie all’avanguardia, utilizzando l’impressionante potenza finanziaria e industriale per spingersi verso la leadership economica e tecnica globale.

Dall’oggi al domani, la Cina è passata dall’essere un partner relativamente docile nella globalizzazione guidata dagli americani a un concorrente emergente, che ha il coraggio di sfidare gli Stati Uniti sulle quote di mercato, anche in aree high-tech come i telefoni cellulari e il 5G, unitamente alla divenuta impossibilità per il grande capitale statunitense di realizzare gli stessi enormi profitti di prima. Insomma, Washington la prese male: Trump nel 2018 lanciò la guerra commerciale contro la Cina, proseguita dal suo successore, che ha segnato un cambiamento fondamentale nelle relazioni e l’inizio di una nuova guerra fredda.

La contesa verte in ogni campo, compresa la lotta per la supremazia monetaria. Tuttavia non è solo economica, ma ormai eminentemente politica. Al riguardo parla il rapporto Approccio strategico degli Stati Uniti alla Repubblica popolare cinese pubblicato nel 2020. Sia chiaro, la retrocessione nell’economia statunitense al secondo posto non toglie nulla al suo potere militare o monetario o alla sua capacità d’influenza ideologica. Gli Stati Uniti rimangono il principale motore dell’economia mondiale, in particolare per la loro capacità innovativa, tuttavia, come osserva opportunamente Prodi, anche la sterlina pareva invincibile.

Come ho scritto spesso (vedi il mio recente: La trappola di Tucidide), il cosiddetto “disaccoppiamento del rapporto sino-americano” non sarà solo un disaccoppiamento tecnico e industriale, e una riconfigurazione geopolitica prevede necessariamente una lotta di lunga durata per la vita e per la morte (il dispiegamento attivo della “grande lotta”). Per tale motivo ritengo che lo scontro aperto e armato tra gli Stati Uniti e la Cina sarà inevitabile in un lasso di tempo medio (salvo eventi acceleratori, tenuto conto che il fattore tempo gioca a favore di Pechino).

5 commenti:

  1. Il parallelo con l'impero romano funziona anche a proposito del declino e caduta. La società cinese è solidamente ancorata alle tradizioni, fra le quali spiccano, in contrasto con quella americana, senso della famiglia, eterosessualità, etica del lavoro, rispetto delle generazioni precedenti. Oltre, naturalmente, alla stabilità politica garantita dall'assenza di competizione partitica. La società americana, al contrario, è percorsa da fremiti che, visti dalla Cina, non possono che essere classificati come decadenza. La differenza principale con il basso impero è che un millennio e mezzo fa non c'era un altro impero a contendere lo scettro a quello romano. Oggi c'è.

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    1. Concordo con Erasmo sull'analisi generale, disseto solo su un punto: la c.d. "competizione partitica"; a parte qualche sfumatura in temi ben definiti (diritti civili et similia), mi sembra che anche nel mondo occidentale, in primis negli USA, viga il partito unico.
      AG

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    2. ma infatti, non è questione di partiti ma di classi sociali. per dirla spiccia, negli usa e in europa prevalgono le solite famiglie oligarchiche, molto intrecciate tra loro, in cina l'oligarchia burocratica

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  2. https://www.officinadeisaperi.it/materiali/le-conseguenze-di-breve-e-lungo-periodo-della-guerra-da-sinistrainrete/

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