domenica 9 gennaio 2022

Marx e la questione ebraica

 

Per chi ne avesse interesse, segnalo un buon libro, scritto bene e in modo chiaro: Francesca Trivellato, Ebrei e capitalismo. Storia di una leggenda dimenticata, Laterza 2021, 25.

La leggenda nera, ormai dimenticata, è quella che per secoli ha raccontato gli ebrei come inventori della lettera di cambio, strumento fondante del capitalismo finanziario. Nella prima bandella interna si può leggere quanto segue:

«Una leggenda ebbe grande diffusione in tutta Europa tra la metà del Seicento e i primi del Novecento. Nascosta tra le righe di un trattato di diritto marittimo pubblicato a Bordeaux nel 1647, questa mitologia attribuiva agli ebrei l’invenzione delle lettere di cambio – strumento in apparenza simile al moderno assegno, che consentiva il movimento di grandi somme di denaro senza alcuno spostamento di monete o lingotti e che, in mano a banchieri esperti, agevolava forme di speculazione del tutto avulse dallo scambio delle merci. Storicamente infondata, questa leggenda ebbe tuttavia un successo enorme. Se ne trova menzione in una miriade di testi oggi poco noti, nonché in grandi autori come Montesquieu, Marx e Sombart».

Montesquieu, Marx e Sombart insieme sono un bel prendere. In realtà, Marx con gli altri due e con la citata leggenda non c’entra nulla, come ebbi già a rilevare tra me e me di primo acchito leggendo la bandella. Infatti, poi, nel libro, la stessa autrice assevera:

«Non così gli ebrei di Marx, che altro non sono che simboli della società intera. È per questo che nell’opera di Marx non c’è spazio per la storia dell’invenzione delle lettere di cambio da parte degli ebrei, perché in tutte le sue versioni essa implica una separazione iniziale, invece di una convergenza, tra ebrei e cristiani. Secondo la leggenda, gli ebrei avevano infatti trasmesso un’innovazione finanziaria ai mercanti cristiani, i quali, dopo averla adottata, divennero o “giudaizzanti” (così per Cleirac) o capaci di usare le cambiali per sfuggire al dispotismo (stando a Montesquieu). Per Marx, invece, tutti, in una società capitalistica, erano ebrei sin dall’inizio. Le cambiali erano l’unico dio reale degli ebrei nel senso che esse erano l’unico vero dio di tutti» (pp.219-20).

Va peraltro rilevato, come del resto fa la stessa Trivellato, che l’articolo qui in causa, comunemente noto con il titolo Sulla questione ebraica, Marx lo scrisse venticinquenne. L’Autrice lo cita dall’edizione curata da Massimiliano Tomba edita da manifestolibri. E ciò un po’ stona in un libro altrimenti attento alle fonti. Trivellato lo legge accanto a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, che invero ha un titolo leggermente diverso, ossia Aus der Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie, ecc., ma queste sono quisquilie.

Pubblicato nel 1844 sui celebri Deutsch–Französische Jahrbücher, Sulla questione ebraica fu scritto da Marx l’anno prima in risposta al Giovane hegeliano Bruno Bauer, il quale nelle sue opere sull’argomento riduceva il problema dell’emancipazione degli ebrei alla loro emancipazione dall’ebraismo. Come idealista, Bauer considerava il superamento dei pregiudizi religiosi come il mezzo decisivo per eliminare le contraddizioni nazionali. La polemica con Bauer su questo tema diede modo a Marx di esaminare da un punto di vista diverso il più vasto problema dell’emancipazione non solo degli ebrei ma di tutta l’umanità dai vincoli economici, politici e religiosi.

Marx rimprovera a Bauer di accontentarsi dell’emancipazione dalla religione, vale a dire dell’emancipazione politica, di non prendere in considerazione il rapporto tra l’emancipazione politica e quella umana. Scrive:

«L’emancipazione politica dell’ebreo, del cristiano, dell’uomo religioso in generale, è l’emancipazione dello Stato dal giudaismo, dal cristianesimo, dalla religione in generale. Nella sua forma, nel modo proprio alla sua essenza, in quanto Stato, lo Stato si emancipa dalla religione emancipandosi dalla religione di Stato, cioè quando lo Stato come Stato non professa religione alcuna, quando lo Stato riconosce piuttosto se stesso come Stato. L’emancipazione politica dalla religione non è emancipazione compiuta, senza contraddizioni, dalla religione, perché l’emancipazione politica non è il modo compiuto, senza contraddizioni, dell’emancipazione umana.

Il limite dell’emancipazione politica appare immediatamente nel fatto che lo Stato può liberarsi da un limite senza che l’uomo ne sia realmente libero, che lo Stato può essere un libero Stato senza che l’uomo sia un uomo libero» (MEOC, III, p. 164).

1 commento: