Posto che Roma è indiscutibilmente
la capitale dell’arte antica, Firenze lo è di quella “moderna”. Chissà perché
mai quel genere di committenza pubblica e privata oggi non esiste o produce
esiti così controversi e anche tanto deleteri. È una domanda ricorrente che
ognuno di noi si pone, e che ora s’istilla una volta di più leggendo il
capitolo Economia di lusso e committenza
artistica, in un libro fuori dal mucchio: Storia di Firenze, di Johm M. Najemy.
Non si tratta di difendere
l’accademia, per così dire, perché di mediocrità d’epoca ne sono esposte a
bizzeffe in musei e mostre d’ogni genere, in queste ultime con la balla di far
nascere l’illusione di una partecipazione di massa alla cultura alta, un coinvolgimento prefabbricato e controllato per fare cassa, laddove si tratta di organizzare
la partecipazione ad eventi cui è possibile partecipare. Poi tesori dell’arte
che non entrano in questo lucroso circuito se ne stanno in un canto raminghi e trascurati,
magari in pessime condizioni di conservazione (ne accennai con un esempio
alcuni mesi or sono).
Per il resto dobbiamo tener conto
della trasformazione dei processi economici oltre che tecnici, perciò non
avrebbe senso richiamarsi ai modelli estetici del
passato, i quali restano (o dovrebbero restare) un sicuro punto di riferimento. E tuttavia il risultato, il rovesciamento totale perseguito e
conseguito, è che l’arte non ha più nulla a che fare con la vita, ma esclusivamente con l’ideologia del
consumo e il suo riconosciuto stile culturale di cui gli scandali pubblicitari sempre
più apparentemente audaci ne sono esempio. E con la ratifica del racket
dell’arte: una “cagata d’artista” è battuta in asta perché la critica, quale
sfera specializzata e separata, la spaccia con sprezzo del ridicolo per un’opera
d’arte e le appone il timbro del capolavoro.
Oggi siamo al punto che qualsiasi
cosa possa fare l’arte, la vita lo potrebbe fare meglio se non fosse posta
sotto sequestro e manipolata dal mercato. Ovunque guardi, l’arte scompare, al
punto che pure quella forma d’arte che si esprime nei graffiti, in certi casi
eccellente fin quando è rimasta esclusa, è stata cooptata, trasformata in
merce. E non è sempre stata merce e spettacolo l’arte? Già, spunto interessante
sull’ambiguità dell’arte; ma quella che passa oggi per arte è nemica della
creatività, dell’intelligenza, mai il bluff è apparso più truffaldino e disperato,
indistinguibile dal resto.
Se Piero Manzoni oltre l'autonomo gesto irridente è pure riuscito a piazzare il suo residuo organico per migliaia di euro ha fatto l'en plein.
RispondiEliminaLasciando il bluff truffaldino ha chi se lo vuole e possa permettere - soldi loro - , dall'altra parte ci sono coloro che li spenderanno invece nei mercati rionali per i paesaggi fatti a spruzzo e in serie da mettere sopra il buffet. Fuorvianze didattiche per tutti questi non ne esistono, entrambe categorie bloccate alle soglie dell'Impressionismo.
Forse 'indiscutibilmente' oltre a quella antica e moderna va ulteriormente definita l'arte contemporanea perchè insieme a Kounellis e magari Warhol nella spazzatura per gli ignari ci potrebbero finire Kandisky e Malevic.
angelo r.