Crolla il Pil giapponese e
l’andamento di quello italiano non è migliore. Si parla di recessione tecnica.
Alla buon’ora. E tutto ciò nonostante il Giappone stampi moneta a manetta, a
dimostrazione che non si tratta, in
origine, di un problema monetario e nemmeno di “domanda”. L’attenzione
viene posta sulla moneta, sui cambi, sulla domanda e simili per la semplice
ragione che le cause che stanno a capo della crisi sono argomento tabù. E del
resto a una classe sociale, la borghesia, che celebra il suo trionfo sulla
sconfitta del “comunismo” non si può chiedere il rispetto della logica e dei
principi della razionalità.
Invece di cercare balsami, sarebbe
molto più utile prendere atto della realtà capitalistica la cui analisi critica
è stata già scritta molto tempo fa senza bisogno di tanti arzigogoli algebrici
e grafici statistici. E tuttavia tutto si può chiedere a questo sistema d’informazione
drogata dal lato della critica, perfino d’ammettere, in qualche caso, che “Marx
aveva ragione”, ma non si può chiedere di spiegare il perché. Sulle
contraddizioni su cui poggia il capitalismo l’informazione al massimo fa
astrologia e cartomanzia e gli economisti si esercitano in discorsi ermetici in
un procedere circolare e in un divenire chiuso.
Da questo grafico si deduce che l'attuale produzione di petrolio dell'Arabia saudita è in linea con quella del 2012, e pertanto non può essere questo il motivo dominante del crollo del prezzo del barile.
La stessa caduta del prezzo del petrolio, dietro il crollo del quale s’immaginano scenari complottistici (per contro, negare gli arcana imperii ricorda la famosa “prova diabolica” dell’inquisizione), ha innanzitutto una motivazione molto più semplice: il calo della domanda e l’aumento dell’offerta. Per anni ho scritto che il petrolio non manca e che i cosiddetti “picchi” sono una teoria campata in aria (non sappiamo quanto “petrolio” c’è, né conosciamo fin d’ora le circostanze future che possano rendere conveniente l’estrazione di risorse fossili). Oggi ne abbiamo una riprova. Che poi ci sia chi, per motivi suoi, c’inzuppa il pane è la cosa più normale di questo mondo (sulla bolla dello shale oil americano è utile leggere cose sensate: qui).
La stessa caduta del prezzo del petrolio, dietro il crollo del quale s’immaginano scenari complottistici (per contro, negare gli arcana imperii ricorda la famosa “prova diabolica” dell’inquisizione), ha innanzitutto una motivazione molto più semplice: il calo della domanda e l’aumento dell’offerta. Per anni ho scritto che il petrolio non manca e che i cosiddetti “picchi” sono una teoria campata in aria (non sappiamo quanto “petrolio” c’è, né conosciamo fin d’ora le circostanze future che possano rendere conveniente l’estrazione di risorse fossili). Oggi ne abbiamo una riprova. Che poi ci sia chi, per motivi suoi, c’inzuppa il pane è la cosa più normale di questo mondo (sulla bolla dello shale oil americano è utile leggere cose sensate: qui).
Siamo tutti consapevoli che il mondo è entrato in un periodo di
cambiamenti e di trasformazioni globali, nel quale è necessario usare grande
cautela ed evitare mosse sconsiderate. Negli anni che hanno seguito la Guerra
Fredda, gli attori della politica globale hanno in qualche modo perso queste
qualità; ora è il momento di ricordargliele, altrimenti la speranza di uno
sviluppo pacifico e stabile sarà soltanto un'illusione pericolosa, e il tumulto
odierno sarà solo il preludio al collasso dell'ordine mondiale.
Come ho scritto, molto più
modestamente, più volte negli anni, il vero pericolo per la pace mondiale è
rappresentato dagli Stati Uniti d’America. Non perché il popolo americano sia
peggiore di altri (c'è tuttavia un altissimo tasso di abuso di alcol e una componente sociale psicotica molto alta), ma perché la cricca di affaristi che sta al vertice di questa
nazione, i cui nomi non di rado ricorrono per generazioni, è composta da persone
senza alcuno scrupolo e che hanno un’influenza preponderante nel meccanismo di finanziamento e selezione
degli attori della politica e poi sulle loro decisioni. Lo denunciava già Eisenhower,
perciò non è novità.
*
Vedere il presidente del consiglio
pro tempore che parla a braccia conserte di fronte ad Obama, o che “minaccia” i burocrati di Bruxelles, fa semplicemente ridere. In un paese in cui 48 ore di
pioggia bastano per mettere in ginocchio intere regioni, anno dopo anno, farebbe
bene tornare a pensare senza travisare i processi e recuperare un po’ di
serietà.
coppa volpi pro tempore!
RispondiEliminasui due vittorio (volpi e cini) potrei raccontare molte cosette interessanti, anzitutto su come si sono procurati i titoli nobiliari. volpi è sepolto in una delle più importanti chiese di VE
Eliminavolpi giuseppe.
EliminaQuando la memoria falla (e ultimamente falla!), soccorre internet. grazie
EliminaHo letto l'articolo dal Sole 24 ore da lei gentilmente segnalato. Scorrendo i commenti all'articolo stesso, mi sono imbattuto in questo post di un lettore: "Quanto al prezzo del petrolio, a regime Kashagan produrra' circa 370k boe/giorno, assolutamente non abbastanza da influenzare l'andamento del prezzo sul mercato globale che, invece, sara' fortemente influenzato da cosa decidera' l'OPEC il 27 Novembre alla riunione a Vienna: da una parte l'Arabia Saudita spingera' per proseguire la politica ribassista con l'intento di "far fuori" la concorrenza dello shale oil Americano (o quantomeno di limitarla), dall'altra Paesi piu' dipendenti dal prezzo del greggio come Venezuela, Iran ed Ecuador quasi sicuramente chiederanno un taglio della produzione convenzionale per mantenere I prezzi sopra gli 80$ al barile".
RispondiEliminaumberto_SP14I45UOK
Ora, è vero come dice lei che c'è un effettivo calo della domanda (dovuto anche all'entrata in scena a livello mondiale, delle Rinnovabili ed efficienza energetica, nonchè, alla crisi stessa, che limita i consumi), però, mi sembra che c'entrino anche gli scenari complottistici, che segnala il letore Umberto. O sbaglio?
Cordialità.
in una situazione, come dice Putin, di tumulto, ognuno inzuppa il proprio pane, e tuttavia qui si parla di un crollo di circa un terzo del prezzo, e perciò la tendenza di fondo è quella legata alla crisi, ossia a un eccesso di offerta rispetto alla domanda. come in una qualsiasi situazione di mercato, in momenti di grave crisi, ognuno dei grossi contendenti cerca di far fuori anzitutto quelli piccoli o più deboli. chiaro che tra questi l'A.S. giochi un ruolo importante e cerchi di fermare la concorrenza Usa. quello che voglio dire è che dobbiamo guardare alle tendenze di medio lungo periodo.
Eliminail prezzo del petrolio ha raggiunto il suo massimo nel luglio 2008, 144 dollari, dopo di allora non si è più ripreso. dobbiamo pensare a un complotto che dura da allora? e che dire del prezzo dell'oro? oppure del prezzo del mais che è crollato l'anno scorso del trenta per cento?
questo il mio punto di vista. ricambio volentieri le sue cordialità.
ho inserito, per comodità dei lettori, un grafico che riporta le quote di produzione dell'A.S. negli ultimi anni.
EliminaLa ringrazio per la risposta. Dal mio canto, le segnalo quest'articolo: http://www.qualenergia.it/articoli/20141117-petrolio-da-sabbie-bituminose-con-barile-prezzi-bassi-rischio-investimenti
EliminaDi nuovo cordialità.
e pure i giap pare si stiano muovendo:
Eliminahttp://www.ilpost.it/2013/05/06/energia-petrolio-idrati-metano/
Ho letto grazie.
EliminaDegni di nota mi sembrano i brani finali: "Nella prospettiva di un progressivo ma completo accantonamento dei combustibili fossili, il gas naturale rappresenterebbe certamente un passo avanti per tutte quelle nazioni la cui prima fonte di energia è ancora il carbone (Cina, India, stati dell’ex Unione Sovietica e dell’Europa dell’est), dato che la combustione di metano produce circa la metà delle emissioni di anidride carbonica rispetto al carbone. Ma bisogna considerare che il metano stesso è un gas serra, da venti a trenta volte più dannoso dell’anidride carbonica: eventuali fughe dagli impianti di estrazione – un rischio ancora reale, soprattutto nel caso delle tecniche sperimentali con gli idrati di metano – vanificherebbero i vantaggi della riduzione di emissioni nella combustione.
Riducendo questi rischi, uno scenario dominato dal consumo di gas naturale sarebbe comunque una buona via di fuga dal carbone, a patto che rappresenti una fase intermedia conveniente verso le fonti rinnovabili. Il problema – conclude l’Atlantic – è che, una volta raggiunta, quella fase potrebbe rivelarsi troppo conveniente. Se anche i costi delle energie rinnovabili si abbassassero al livello dei costi del gas naturale (che oggi ha un ritorno energetico nettamente superiore), ci ritroveremmo in una situazione in cui le rinnovabili sono pronte ma non abbastanza convenienti: per loro stessa natura, non potrebbero soddisfare le richieste energetiche abituali (aria condizionata, microonde, eccetera) dei tanti o pochi consumatori di combustibili fossili ancora in giro. Il gas naturale rappresenta un vantaggio oggettivo – economico e ambientale – rispetto ai combustibili fossili precedenti ma sembra spostare ancora più in là il momento in cui la scelta sarà tra le fonti rinnovabili e niente".
Non ci resta che sperare che per allora, l'economia capitalistica sia stata accantonata. Perchè è questo il nocciolo del problema, l'economia capitalistica con le sue enormi dissipazioni energetiche, e non le fonti energetiche stesse.
Saluti.