Il governatore della Banca
centrale europea, Mario Draghi, comunica che ritiene "improbabile"
una ripresa più forte. E se dunque l’economia è in ripresa, per quanto debole,
per quale motivo afferma che “gli ordini al settore manifatturiero sono calati
per la prima volta dal luglio 2013”, soggiungendo che “la situazione
dell'inflazione nell'Eurozona è diventata sempre più difficile”? Tra il 2008 e
il 2013, il Pil è crollato del 5,9% in Spagna, dell’8,5% in Italia, fino al
-23,7% della Grecia, e altrove in generale non possono cantar vittoria.
Se l’Europa non sta bene, il Giappone sono circa 25 anni che si dibatte nella stagnazione. Ora va di moda
parlare di deflazione, o di pericolo deflazione. Che è come dire che il
paziente ha la febbre, oppure che avverte dolore. La deflazione non è la causa della crisi, ma è uno dei suoi
effetti, il più evidente a livello di prezzi e di consumi, ma pur sempre un
effetto.
Per quanto riguarda direttamente
l’Italia, non manca chi, dagli schermi full HD, sprizza ottimismo, sostenendo
che la situazione non è poi così drammatica, che bisogna vedere il bicchiere
mezzo pieno, ossia il fatto che siamo la terza potenza economica europea
(certo, la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna o anche la Danimarca non
ci possono far concorrenza in classifica) e la seconda manifattura (però il
dato nazionale segna un calo del 3,1%, del 2,6% in meno nel Centro-Nord e addirittura
-6,7% nel Mezzogiorno). Dunque l’export tiene e, signora mia, le pizzerie nei
finesettimana sono piene. Frega nulla a questi ottimisti oltranzisti della
tendenza di fondo, né del crescente divario, nel crollo complessivo di redditi e consumi, tra centro-nord e sud.
*
Renzi
chiude la campagna elettorale in Calabria a sostegno di Mario Oliverio (chi?)
affermando che “questa è una regione dove si gioca il futuro del Paese”, ossia
la stessa cosa che diceva Prodi quasi vent’anni fa, salvo ravvedersi. “La Calabria
è la regione più povera, con 15.989 euro, il divario con la regione più ricca
(Valle d’Aosta) è stato nel 2013 pari a 18.453 euro: in altri termini, un
valdostano ha prodotto nel 2013 oltre 18mila euro in più di un calabrese”.
Sempre la Calabria è una della quattro regioni della zona Ue dove meno della
metà della popolazione tra i 20 e i 64 anni ha un lavoro (43,7%). La voce
economica più importante è la spesa sanitaria.
Gioia Tauro, il più grande
terminal per il transhipment italiano e del Mediterraneo, a guardare le tabelle
di Assoporti, fa dei bei numeri, ma non è diventata per le merci la porta
marittima dell’Europa e nemmeno dell’Italia, posto che già i porti pugliesi,
complessivamente in termini di tonnellaggio merci, fanno meglio, e così Genova,
Trieste e Cagliari-Sarroch, quindi nell’insieme Venezia e Ravenna, la superano
di gran lunga.
Scrive il Rapporto 2014 della Svimez:
I consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi,
arrivando a ridursi nel 2013 del 2,4%, a fronte del -2% delle regioni del
Centro-Nord. Dal 2008 al 2013 la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha
sfiorato nel Sud i 13 punti percentuali (- 12,7%), risultando di oltre due
volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7%). In
particolare, negli anni di crisi 2008-2013, sono crollati anche i consumi di
beni alimentari, al Sud del -14,6%, a fronte del -10,7% del Centro-Nord; in
caduta libera anche il vestiario e le calzature, -23,7%, quasi doppio che nel
resto del Paese (-13,8%). Significativo e preoccupante anche il crollo della
spesa delle famiglie relativo agli altri “beni e servizi”, che racchiudono i
servizi per la cura della persona e le spese per l’istruzione: -16,2% al Sud,
tre volte in più rispetto al Centro-Nord (-5,4%).
Si legge ancora nel Rapporto:
Sud a rischio desertificazione
umana e industriale, dove si continua a emigrare (116mila abitanti nel solo
2013), non fare figli (continuano nel 2013 a esserci più morti che nati),
impoverirsi (+40% di famiglie povere
nell'ultimo anno, in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono
aumentate di due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione e 14mila nuclei)
perché manca il lavoro (al Sud perso l'80% dei posti di lavoro nazionali tra il
primo trimestre del 2013 e del 2014); l'industria continua a soffrire di più
(-53% gli investimenti in cinque anni di crisi, -20% gli addetti); i consumi
delle famiglie crollano di quasi il 13% in cinque anni; gli occupati arrivano a
5,8 milioni, il valore più basso dal 1977 e la disoccupazione corretta sarebbe
del 31,5% invece che il 19,7%.
Dal 2008 al 2013 il settore
manifatturiero al Sud ha perso il 27% del proprio prodotto. Dice testualmente il
Rapporto: “dal 2009 al 2013 il comparto manifatturiero meridionale si è avviato
verso una vera e propria débacle,
perdendo poco più del 20% degli occupati, pari a circa 166mila posti di lavoro
in meno, una percentuale superiore a quella del Centro-Nord (-15%, cui
corrisponde una perdita di ben 582mila posti di lavoro)".
Per quanto riguarda gli investimenti, a livello settoriale,
crollo epocale al Sud degli investimenti dell’industria in senso stretto,
ridottisi dal 2008 al 2013 addirittura del 53,4%, più del doppio rispetto al
già pesante calo del Centro-Nord (-24,6%). Giù anche gli investimenti nelle
costruzioni, con un calo cumulato del -26,7% al Sud e del -38,4% al
Centro-Nord, nei servizi collegati all’industria: -35% al Sud contro il -23% al
Centro-Nord.
Per quanto riguarda gli
investimenti in agricoltura, -44,6% al Sud, quasi tre volte più del Centro-
Nord, -14,5%. Buone le esportazioni del settore agricolo: negli anni di crisi 2007-2013
l’export agricolo meridionale è cresciuto del 25%, ma negli ultimi sei anni di
crisi il valore aggiunto del settore
agricolo meridionale ha lasciato sul campo -8,8% poiché sono crollate, tra le altre, le
produzioni di pomodoro (-11,7%), patate (-23%) e l’olivo (-8,6%).
Non va meglio nell’edilizia,
infatti dal 2007 al 2013 si evince una perdita del valore aggiunto del 35,3%.
Né va meglio sul fronte degli investimenti: dopo cinque anni consecutivi di
risultati negativi sono scesi dell’8,5% al Sud e del 6% nel Centro-Nord, con un
crollo dell’occupazione nel settore del 32,3%, quasi il triplo che nel
Centro-Nord (-13%). Più colpiti i dipendenti, -18,7% al Sud, - 9,3% al
Centro-Nord. In valori assoluti, in sei anni, dal 2007 al 2013, nel settore dell’edilizia
sono andati persi oltre 376mila posti di lavoro, di cui circa 195mila, quasi il
52%, nel Mezzogiorno.
Dice il Rapporto che “nel caso del
Mezzogiorno la peggior crisi economica del dopoguerra rischia di essere sempre
più paragonabile alla Grande Depressione del 1929”.
Il futuro del Paese, e del Sud in
particolare, se lo sono già giocati e ora è il turno dei comici con le loro
barzellette.
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