Baracca Obama ha dimostrato, ma
non ce n’era bisogno, che non si può stare con due piedi in una scarpa. In una
società di classe o stai da una parte oppure dall’altra, e il presidente della
maggiore potenza capitalistica non sta lì a caso. Se è stato scelto per
governare la sopravvivenza degli schiavi e per difendere gli interessi del
capitalismo più avanzato, significa che la questione non è solo razziale e che
anzi prima di tutto essa riguarda il sistema di classe.
C’è un’importante fazione di
borghesia bianca disposta a passar sopra la questione del colore della pelle per
difendere i propri precipui interessi. Per contro, il fatto che una parte dei
neri, specie i ceti neri imborghesiti, abbiano votato Obama, sta solo a
dimostrare il livello di falsa coscienza indotto dalla propaganda.
John F. Kennedy, nel 1957, si era
espresso contro i diritti civili dei neri, e solo nel 1963, a seguito degli
avvenimenti che lo costringevano (cito tra tutti l’attentato a una chiesa in
cui furono vittime quattro bambine nere), presentò al Congresso un
provvedimento che sanciva dei diritti per i neri d'America. Si dovette
attendere l’agosto del 1965, dopo il “Bloody Sunday” e la marcia su Montgomery,
perché fosse concesso ai neri di votare (il Voting
Rights Act fu approvato meno di cinquant’anni fa nella libera e democratica
“America”).
E che cosa se ne sono fatti i neri
del loro diritto di votare? I neri e i bianchi (o con qualunque altro colore le
persone vengano classificate) non potranno mai cambiare questo sistema con il
voto. Nessuna legge presente o futura potrò mai opporsi e superare la legge
fondamentale di una società divisa in classi, e ogni dichiarata illegalità
delle classi subalterne ha le sue radici non già nel razzismo ma in una
contraddizione economico-sociale che non dipende, di per sé, da alcuna norma
giuridica.
La ribellione e l’illegalità della
suburra nera americana trova nella vita quotidiana di quelle persone la sua
causa più accidentale e allo stesso tempo la più oggettivamente giustificata.
Il fatto che in questa rivolta si uniscano bianchi e neri – come riporta l’inviato de La Stampa, testimonia
che la situazione sta cambiano, che non si tratta solo della crisi di status
dei neri, ma che si tratta della crisi di status degli Stati Uniti d’America. Scrive
Paolo Mastrolilli:
«La scintilla si è accesa in tutti gli Stati Uniti, almeno 170 città
arrabbiate, e New York non poteva mancare. Perché ormai non si protesta più
solo contro la violenza della polizia contro i neri, che di per sé potrebbe
anche bastare, ma contro tutte le ingiustizie e le diseguaglianze della società
moderna americana. Per qualche istante, l’impressione è quella di essere
tornati ai tempi di Occupy Wall Street. Stessa gente, cioè giovani millennial
assai colorati, con l’aggiunta di più neri».
Non si tratta di una rivolta
razziale, ma di classe. Una rivolta che prende alla lettera la pubblicità
dell’abbondanza, dell’opulenza e della merce. Infatti ciò che vogliono i
rivoltosi quando saccheggiano gli empori di merci sono gli oggetti e i gadget
che la pubblicità mostra e mette astrattamente a disposizione. Checché ne
possano dire i sociologi del cazzo, i rivoltosi ricusano il valore di scambio,
non il valore d’uso della merce. Ricusano la realtà mercantile che è la forma
del valore di scambio, il fine ultimo della sua razionalità basata sullo
sfruttamento. Rifiutano le forme arbitrarie del bisogno, le immagini di cui
viene rivestita la merce, e mostrano nel saccheggio e nella distribuzione degli
oggetti, l’ultima ratio della merce, la menzogna dell’abbondanza che diventa
verità in questione. Scelgono un’altra qualità del presente e un’altra verità
della vita. Non lo sanno, ma lo fanno.
*
Nell’agosto del 1965, lo stesso
mese in cui finalmente veniva accordato il diritto di voto ai neri, la
popolazione nera di Los Angeles prese le armi dalle armerie e ci vollero gli
elicotteri e i carri armati (come a Praga, a Tienanmen) per circoscrivere la
rivolta, e dopo diversi giorni di combattimenti di strada gli insorti hanno
proceduto al saccheggio dei negozi. Alla fine, secondo le cifre ufficiali, ci
sarebbero stati 34 morti, tra i quali 27 neri, più di 1.000 feriti e quasi 4.000
incarcerati (*). Se i vostri libri scolastici di storia non parlano della
rivolta di Watts, ciò non è casuale. V’insegnano qualcosa delle guerre peloponnesiache,
e però vi lasciano all’oscuro su ciò che può suonare come turbativa al buon
andamento della faccenda borghese.
(*) Che cosa diceva allora il Segretario
esecutivo della National Association for the Advancement of Colored People
(NAACP), il nero Wilkins? Che la rivolta doveva essere repressa con tutta
la forza necessaria. Un altro zio Tom come Baracca Obama, medagliato a suo
tempo da Lyndon Johnson, quello
che mandava i “fratelli” di Wilkins al massacro in Vietnam. Wilkins, uno che denunciava i
sospetti di idee comuniste, collaboratore del famigerato John Edgar Hoover.
Grazie Olympe per queste lezioni di storia, rinverdite (purtroppo) dal presente.
RispondiEliminaCiao, Franco.
Triste constatare che oggi non insegnano nemmeno più la storia delle guerre del Peloponneso. La storia antica è sparita dai programmi di elementari e medie. Credo sia stata una delle grandi innovazioni dei governi Berlusconi.
RispondiElimina