venerdì 28 novembre 2014

Non lo sanno, ma lo fanno


Baracca Obama ha dimostrato, ma non ce n’era bisogno, che non si può stare con due piedi in una scarpa. In una società di classe o stai da una parte oppure dall’altra, e il presidente della maggiore potenza capitalistica non sta lì a caso. Se è stato scelto per governare la sopravvivenza degli schiavi e per difendere gli interessi del capitalismo più avanzato, significa che la questione non è solo razziale e che anzi prima di tutto essa riguarda il sistema di classe.

C’è un’importante fazione di borghesia bianca disposta a passar sopra la questione del colore della pelle per difendere i propri precipui interessi. Per contro, il fatto che una parte dei neri, specie i ceti neri imborghesiti, abbiano votato Obama, sta solo a dimostrare il livello di falsa coscienza indotto dalla propaganda.

John F. Kennedy, nel 1957, si era espresso contro i diritti civili dei neri, e solo nel 1963, a seguito degli avvenimenti che lo costringevano (cito tra tutti l’attentato a una chiesa in cui furono vittime quattro bambine nere), presentò al Congresso un provvedimento che sanciva dei diritti per i neri d'America. Si dovette attendere l’agosto del 1965, dopo il “Bloody Sunday” e la marcia su Montgomery, perché fosse concesso ai neri di votare (il Voting Rights Act fu approvato meno di cinquant’anni fa nella libera e democratica “America”).



E che cosa se ne sono fatti i neri del loro diritto di votare? I neri e i bianchi (o con qualunque altro colore le persone vengano classificate) non potranno mai cambiare questo sistema con il voto. Nessuna legge presente o futura potrò mai opporsi e superare la legge fondamentale di una società divisa in classi, e ogni dichiarata illegalità delle classi subalterne ha le sue radici non già nel razzismo ma in una contraddizione economico-sociale che non dipende, di per sé, da alcuna norma giuridica.

La ribellione e l’illegalità della suburra nera americana trova nella vita quotidiana di quelle persone la sua causa più accidentale e allo stesso tempo la più oggettivamente giustificata. Il fatto che in questa rivolta si uniscano bianchi e neri – come riporta l’inviato de La Stampa, testimonia che la situazione sta cambiano, che non si tratta solo della crisi di status dei neri, ma che si tratta della crisi di status degli Stati Uniti d’America. Scrive Paolo Mastrolilli:

«La scintilla si è accesa in tutti gli Stati Uniti, almeno 170 città arrabbiate, e New York non poteva mancare. Perché ormai non si protesta più solo contro la violenza della polizia contro i neri, che di per sé potrebbe anche bastare, ma contro tutte le ingiustizie e le diseguaglianze della società moderna americana. Per qualche istante, l’impressione è quella di essere tornati ai tempi di Occupy Wall Street. Stessa gente, cioè giovani millennial assai colorati, con l’aggiunta di più neri».

Non si tratta di una rivolta razziale, ma di classe. Una rivolta che prende alla lettera la pubblicità dell’abbondanza, dell’opulenza e della merce. Infatti ciò che vogliono i rivoltosi quando saccheggiano gli empori di merci sono gli oggetti e i gadget che la pubblicità mostra e mette astrattamente a disposizione. Checché ne possano dire i sociologi del cazzo, i rivoltosi ricusano il valore di scambio, non il valore d’uso della merce. Ricusano la realtà mercantile che è la forma del valore di scambio, il fine ultimo della sua razionalità basata sullo sfruttamento. Rifiutano le forme arbitrarie del bisogno, le immagini di cui viene rivestita la merce, e mostrano nel saccheggio e nella distribuzione degli oggetti, l’ultima ratio della merce, la menzogna dell’abbondanza che diventa verità in questione. Scelgono un’altra qualità del presente e un’altra verità della vita. Non lo sanno, ma lo fanno.

*

Nell’agosto del 1965, lo stesso mese in cui finalmente veniva accordato il diritto di voto ai neri, la popolazione nera di Los Angeles prese le armi dalle armerie e ci vollero gli elicotteri e i carri armati (come a Praga, a Tienanmen) per circoscrivere la rivolta, e dopo diversi giorni di combattimenti di strada gli insorti hanno proceduto al saccheggio dei negozi. Alla fine, secondo le cifre ufficiali, ci sarebbero stati 34 morti, tra i quali 27 neri, più di 1.000 feriti e quasi 4.000 incarcerati (*). Se i vostri libri scolastici di storia non parlano della rivolta di Watts, ciò non è casuale. V’insegnano qualcosa delle guerre peloponnesiache, e però vi lasciano all’oscuro su ciò che può suonare come turbativa al buon andamento della faccenda borghese.




(*) Che cosa diceva allora il Segretario esecutivo della National Association for the Advancement of Colored People (NAACP), il nero Wilkins? Che la rivolta doveva essere repressa con tutta la forza necessaria. Un altro zio Tom come Baracca Obama, medagliato a suo tempo da  Lyndon Johnson, quello che mandava i “fratelli” di Wilkins al massacro in Vietnam. Wilkins, uno che denunciava i sospetti di idee comuniste, collaboratore del famigerato John Edgar Hoover.

2 commenti:

  1. Grazie Olympe per queste lezioni di storia, rinverdite (purtroppo) dal presente.

    Ciao, Franco.

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  2. Triste constatare che oggi non insegnano nemmeno più la storia delle guerre del Peloponneso. La storia antica è sparita dai programmi di elementari e medie. Credo sia stata una delle grandi innovazioni dei governi Berlusconi.

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