Due settimane fa, riportando i dati
di un report di Unicef, ho scritto un post a riguardo dell’aumento della
povertà infantile nei cosiddetti paesi sviluppati. Mi limito ora a riportare
solo poche frasi del rapporto che mi sembrano di per sé significative:
Nel 2012, i minori che vivevano in condizioni di grave deprivazione materiale in 30 paesi europei erano circa 1,6
milioni in più rispetto al 2008 (11,1 milioni contro 9,5 milioni). La Grande
Recessione ha comportato sofferenze e rischi che accompagneranno per tutta la vita altri 619.000 bambini in
Italia, 444.000 in Francia […].
Nelle epoche passate le risorse
alimentari, se meglio distribuite, avrebbero potuto alleviare le condizioni di
miseria in cui vivevano milioni di esseri umani. E tuttavia da un lato il livello di sviluppo economico
raggiunto in quelle epoche non avrebbe potuto garantire il sufficiente
sostentamento di tutti nei casi di ricorrenti carestie,
mentre dall’altro lato la divisione sociale in classi poneva la classe
dominante nelle condizioni di appropriarsi di gran parte della ricchezza
prodotta, per quanto essa potesse essere più scarsa in talune circostanze.
Oggi, invece, il livello di
sviluppo produttivo ci consentirebbe, se gestito con criteri diversi da quelli
capitalistici basati sul profitto, di soddisfare largamente ogni bisogno
dell’umanità, di sconfiggere la denutrizione e la miseria assoluta cui è
soggetto un miliardo di esseri umani, e la povertà cosiddetta relativa in
cui sopravvivono altri miliardi di persone. Resta però irrisolta la questione
della divisione sociale in classi. Se oggi la ricchezza prodotta da un dato numero
di lavoratori produttivi è superiore di cinquanta o cento volte a quella prodotta
dallo stesso numero di lavoratori in altre epoche, che cosa avviene di quella
ricchezza?
Le nuove e potenti forze
produttive che fino ad ora servono per l’arricchimento dei singoli e il
mantenimento di schiere di leccaculo che a vario titolo sostengono questo sistema
di asservimento delle masse, non offrono forse la base per un rinnovamento
sociale profondo e radicale di modo che il prodotto del lavoro sia destinato
solo per il benessere comune? E certo che ci dicono che è un’utopia, vorrei ben
vedere che il mondo degli “affari” e degli intrallazzi politici ci dicesse il
contrario!
E tuttavia fino a quando un
individuo si propone come semplice filantropo, alla Bill Gates per esempio,
raccoglie plausi e onori, gloria e popolarità presso ogni ceto sociale e uomini
di Stato. Questi individui possono occasionalmente anche criticare qualche
aspetto di quella che chiamano “ingiustizia” sociale. Ma se tali individui si
facessero avanti contestando questo sistema di predazione nei suoi caratteri
costitutivi, rivelando come esso poggi sulla povertà e il bisogno delle masse, e
come povertà e bisogno siano il prodotto sociale più genuino dello sfruttamento
capitalistico, allora l’atteggiamento nei confronti di questi filantropi cambierebbe di punto
in bianco. Sarebbero tacciati di essere comunisti, messi al
bando da tutta la società ufficiale e perderebbero la loro reputazione.
Il fallimento del sistema
capitalistico non può essere negato semplicemente asserendo che questo è il
migliore sistema sociale possibile. È questa una posizione che non può più
essere sostenuta seriamente e con onestà. Il capitalismo ha un solo movente: lo
sfruttamento del lavoro per aumentare i profitti. Il neoliberismo è la sua
ideologia di successo. Tutto il resto sono chiacchiere per mascherare il vero
volto di un sistema che attraverso il controllo e il condizionamento cerca di
mantenere stabile e definitiva la dittatura di classe, di espropriare le grandi
masse proletarie di ogni idea che si ponga sul terreno dell’antagonismo (*).
Solo per fare il nostro caso, noi
vediamo come questa crisi stia durando ormai da più tempo di quanto sia durata
la seconda guerra mondiale, e non se ne vede la fine. Anzi, la disoccupazione e
la precarietà aumentano, diminuiscono anno dopo anno i consumi e crolla la
produzione, aumenta l’imposizione fiscale a danno soprattutto dei redditi più
bassi, crolla la natalità e diminuiscono i matrimoni, soprattutto i primi
matrimoni. La sfiducia regna sovrana, e nonostante ciò non solo non possiamo
sperare in nessun serio intervento politico, ma si distoglie l’attenzione dai
problemi parlando da anni di riforma elettorale, cioè della riscrittura delle
norme elettorali che servono esclusivamente a trasformare sempre più le
elezioni in una farsa e un plebiscito di fatto.
Il primo passo per una presa di
distanza da questo letamaio è non votare; il secondo passo è diffondere la
consapevolezza che questo sistema per sua natura non può migliorare; che il
comunismo di cui tanto si è parlato non solo non è ancora mai esistito, ma non
è mai stato realmente tentato; che un altro mondo non solo è possibile sulla
base delle attuali condizioni storiche, ma si pone come ineluttabile necessità se
non si vuole andare incontro a nuove e terribili catastrofi.
(*) La presa di coscienza dei modelli e dei programmi semiotici che
agiscono inconsciamente è condizione indispensabile per muovere verso il
controllo cosciente del comportamento dell’individuo e della collettività
(Jurij Lotman, Tesi sullo studio
semiotico della cultura, Pratiche editrice, 1980, p. 70). Ecco perché è
importante promuovere un processo di presa di coscienza delle leggi di
formazione della coscienza, se non a livello di massa, almeno a livello degli
elementi più avanzati. In questo processo incessante e fondamentale della lotta
di classe, la borghesia ci ha sopravanzati da un pezzo.
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