venerdì 19 settembre 2014

Andrà male, prima di andare molto peggio


Gli eredi del Pci, dopo che per decenni avevano fatto un solo fascio di Stalin e Marx (senza mai averlo letto e tantomeno studiato), ed entrate in scena nuove contingenze del processo storico (è necessario usare degli eufemismi per rimanere nel politicamente corretto), sono passati armi e bagagli dal fronte riformista a quello neoliberista, contrapponendo la dottrina più oltranzista dei mercanti alla questione sociale, passando cioè dalla realtà delle fabbriche, dei quartieri e delle scuole, a quella della istituzioni statali e dei salotti televisivi. E tuttavia non è mai stata perdonata agli eredi del Pci la loro origine, la “macchia” comunista, e perciò li accompagna il sospetto, nonostante le innumerevoli prove di adesione convinta ai precetti del globalismo.



La vecchia guardia, ossia ciò che è rimasto degli eredi del Pci, dopo aver predicato per decenni la “politica dei sacrifici” e ripudiato la lotta di classe, dopo aver offerto il loro decisivo contributo alla politica di “stabilizzazione” della borghesia imperialista, si sono visti dapprima sfuggire al loro controllo interi settori di classe ai quali la ristrutturazione liberista ha tolto ogni residuo di privilegio, di professionalità o di potere sociale, dopodiché sono stati a loro volta rottamati da dei nuovi cantastorie che da un lato sanno ben mistificare nell’immaginario pubblico la loro efficacia reazionaria e dall’altro non possono far altro che obbedire al vecchio ordine come cani al guinzaglio.

Tocca dunque al primo console Renzi Matteo – che erede non è – fare il passo definitivo, seppellendo i pochi lacerti di quel passato. E ciò avviene senza scosse, di là delle dichiarazioni di principio provenienti dalle parti del sindacato e da alcuni esponenti residuali del partito, e stante l’ottundimento delle coscienze che deve essere considerato il più grande risultato raggiunto con un meticoloso e incessante lavorìo di decenni.

L’idea politica e per così dire antropologica di fondo è quella che solo la dottrina del mercato, portata alle sue estreme conseguenze, è dotata di quel realismo e pragmatismo necessari ad affrontare “le sfide del XXI secolo”, sul piano della competizione internazionale e dunque sul piano delle riforme e dello sviluppo, le quali si traducono nella privatizzazione degli asset pubblici, nella demolizione delle tutele per i lavoratori e le sforbiciate al welfare, con il risultato che si può riassumere in dati eloquenti: la disoccupazione di massa, l’aumento della povertà e precarietà sociale, il disorientamento nel presente, l’ansia e l’angoscia per il futuro.

E se i risultati sono questi, dicono, ciò è dovuto al fatto che le “riforme” non sono state abbastanza radicali e altre ancora attendono (compresa l’ennesima sulle pensioni). Lasciateci lavorare che sistemiamo noi le cose, per il bene di tutti. L’Italia ha un grande avvenire, sostiene ancor oggi Renzi. Sono inadeguati sulle grandi questioni, come le tensioni geopolitiche, così come sulle questioni di piccolo cabotaggio.

Non vi è dubbio che, date le sperequazioni del sistema, talune riforme andassero fatte, con il risultato che però sono state fatte con i piedi, per non dire altro. Quanto alle promesse, per esempio di una seria lotta contro l’evasione e l’elusione fiscale, non c’è traccia, posto che ciò non può in alcun caso eludere le contraddizioni di base del sistema. E invece si assiste da decenni a un massiccio trasferimento di ricchezza ad esclusivo vantaggio del capitale e della rendita. Ora che anche i più sciocchi capiscono che c’è un problema di domanda, credono o danno ad intendere di credere di poter risolvere le contraddizioni con le elemosine dopo decenni di politiche salariali demenziali.

Con l’attacco al salario, ai contratti e ai redditi più bassi, favorendo la precarizzazione, hanno distrutta un’intera classe sociale, il ricambio generazionale, la linea di continuità dalla formazione al pensionamento, e con ciò stesso il circuito virtuoso della liquidità e dei consumi, con ricadute sul piano economico e con effetti sociali devastanti e irreversibili. E il peggio è dato dal fatto che questi idioti non recedono nemmeno di fronte all’evidenza del più totale fallimento.

Laddove una sinistra, per quanto sedicente riformista, non abbia più nel proprio orizzonte programmatico un’idea di giustizia fiscale e distributiva effettiva, con forti contenuti e finalità di redistribuzione della ricchezza sociale prodotta dal lavoro, di tutela del lavoro stesso e delle fasce sociali più deboli, perde la sua qualificazione più genuina e il motivo della sua stessa ragion d’essere.

E se dunque già il Pci non era più da molto tempo un partito di sinistra, per aver combattuto con la massima decisione l’antagonismo alle politiche liberiste, i suoi attuali eredi manco si sognano di essere rappresentativi delle istanze sociali del lavoro e delle fasce sociali più deboli. Si tratta di un cartello elettorale al servizio di quel modello neoliberista a forti connotati di economia finanziaria che, oltre ad essere causa degli effetti più devastanti della crisi, sta ulteriormente peggiorando le condizioni di vita delle popolazioni ad industrialismo avanzato.

Chiedo: chi si è opposto a tutto ciò, fatta la tara a quelle frange minoritarie che lottano sul territorio per obiettivi necessariamente circoscritti? Movimenti come quello di Grillo, che con sapiente dosaggio di populismo e carabattole “decresciste”, puntano su una mitica democrazia dal basso da esercitarsi a colpi di mouse e con promesse di reddito sociale garantito?

Hanno conquistato, quelli dei cinque stelle, un risultato elettorale per nulla sorprendente, stante il diffuso malessere sociale, ma non hanno saputo sfruttarlo in alcun modo. E ciò denuncia una mancanza di realismo e soprattutto di cultura politica, insomma di quelle cose che non si possono improvvisare. Una cultura politica – e vorrei dire cultura tout court – che non può fare a meno di ripartire dai fondamentali, da due secoli di pensiero politico e sociale che sono stati invece gettati nel fosso.



5 commenti:

  1. Lo schiavismo nelle sue varie forme è andato avanti per migliaia di anni, senza che - con rare eccezioni, e ancora più rare quelle riuscite - gli schiavi si siano mai ribellati seriamente. Molti di essi non potevano nemmeno concepire un mondo diverso, e a parti invertite avrebbero fatto esattamente come i loro padroni. Per cui è del tutto illusorio immaginare che gli odierni schiavi possano o vogliano opporsi al sistema. Anzi, non c'è virtualmente limite all'abiezione nella quale sono disposti a sprofondare pur di avere "un lavoro" qualsiasi e a qualsiasi condizione. Basta parlare con un qualsiasi precario medio per rendersene conto.

    Nient'altro che il movimento della storia può tirarci fuori, e non sappiamo come né quando, da quest'incubo.

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  2. “ripartire dai fondamentali, da due secoli di pensiero politico e sociale”

    Si può aggiungere qualcosa di sociopolitico in pillole, solo teoria. E’ noto che Josif Vissarionovič Džugašvili e compagnia hanno fatto danni irreparabili rendendo marxismo, indigenza,gulag e ‘i comunisti ci portano via tutto’ ossimori oltrechè sinonimi nel pensare comune del mondo (in più la ’vulgata’ racconta che nel ’45 gli unici che hanno portato libertà, lucky strike e cioccolata sono stati gli amici americani, mentre i milioni di morti sul fronte russo potevano rimanere tranquillamente nelle loro isbe accanto alle stufe).

    I più attempati e avveduti sanno che la stragrande maggioranza di iscritti e simpatizzanti del PCI dai volontari domenicali acquistavano solleciti l’Unità e trascuravano coscienti Rinascita.
    I testi marxiani sono tutt’altro che facili da affrontare, ancor più da digerire e tra i presenti di circoli proletari e assemblee universitarie di buona memoria si potevano contare sulle dita coloro i quali si fossero documentati con profitto dalla Critica alla filosofia alla Critica del programma compresi.

    Se è vero che meno del 10% della popolazione – padroni + proletari uniti - possiede le competenze necessarie per orientarsi in modo critico e creativo nella realtà attuale ………… ci fa dire in un loop autoreferenziale, che l’apprezzamento per un prodotto culturale passa per la sensazione di essere fra i pochi eletti che lo possono capire ( eh….. insomma, le pertinenti citazioni latine non aiutano molto, l’esperienza di contatto con lavoratori serali di altrettanta buona memoria me lo conferma).

    Se ci aggiungiamo qualche estremizzazione : ‘il più grande pensatore moderno’ (’onestà intellettuale consiglierebbe un ’secondo me’ - pleonastico o forse sottinteso - , non contribuisce ad avvicinare i tiepidi, ammesso e non concesso che ne siano interessati.

    Le opinioni in materia sui piccoli cortili del web altrettanto non aiutano finchè si rimane nel dibattito sulle possibili derive hegeliane del fondatore, in attesa ‘di quello che ha detto veramente Marx’, e nonostante lo sforzo maieutico e didattico diciottobrumaio.

    Tutto qui, speriamo bene. Ogni tanto però qualche botta di spirito ci vorrebbe per non sentirci sempre in attesa di qualcuno che ci tolga lo sgabello da sotto i piedi, appesi con la corda al lampadario.
    Buon fine sett.

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    1. Rinascita non era certo una lettura di massa e per le masse, quanto poi ai testi marxiani difficili permettimi di osservare che vi sono testi divulgativi sia di Marx che dei suoi epigoni. E poi chi l’ha detto che dobbiamo diventare tutti dei “teorici”? concordo con il resto, ma l’analfabetismo politico non è un dato omogeneo in tutta la penisola, e questo qualcosa vorrà pur dire. Il veneto non è l’emilia, per esempio.

      Sul “più grande pensatore moderno”, insisto, e non stuzzicarmi se no devo scrivere un lungo post sull’argomento.
      Sì, sono d’accordo sulle botte di spirito, ma tu pensa al cielo plumbeo di oggi, all’editoriale di scalfari di oggi (ne riparlerò), al fatto che ora mi alzo e vado a dare una sistemata all’appartamento di mio figlio che è in viaggio per lavoro …. Eccetera. Ah, devo spegnere il gas dove ho smesso a cucinare un broccolo.
      ciao

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  3. Bene così, risparmiami il post.
    Oggi la vita spinge a parallelismi : mio figlio è partito stamane in cerca di lavoro, ha dovuto affittare l'appartamento in cui vive per sopravvivere, adoro i broccoli ma come altri vegetali, non stracotti. Arieggiare cucina e casa dopo l'uso.

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