Spesso abbiamo uno strano concetto
della storia, nutriti come siamo di pregiudizi scolastici e mediatici che ogni
generazione dà per scontati o quasi. E del resto così va per binomi come
democrazia/dittatura, libertà/schiavitù, ecc.. Per fare un esempio, in una
conversazione recente mi è stato difficile fare capire che anche la repubblica
di Weimar era un Reich, e che il Reich successivo ha continuato a proclamarsi
repubblica. Impossibile far comprendere che con l’unificazione del 1989 si è
trattato di raggiungere il reichen,
ossia i confini “naturali”, e che dunque la Germania è di nuovo un Reich ad
ogni effetto, quindi che tutti i tedeschi si sentono un grande popolo a cui è
stato affidato dalla Storia un mandato precipuo.
La stessa cosa avviene con i
personaggi il cui rilievo storico è stato tramandato. Il nome della maggior
parte di essi è un culto, e tuttavia si tratta dei più scaltri e feroci
assassini, tiranni e macellatori, infettati da religioni ed ideologie, intrisi
di cattiveria e abiezione, messi su piedistalli e celebrati nei pantheon
variopinti della memoria ufficiale. In un post di un paio di anni fa scrissi:
Plinio il Vecchio, nel settimo
libro de la Storia naturale, ci
racconta come il civilissimo e nobile Cesare fece uccidere un milione e 200mila
persone allo scopo di far bella figura in Gallia (Plutarco, più benevolo,
certifica un milione tondo). Cominciò con 200mila Elvizi, il cui torto maggiore
era quello di non assecondare i suoi piani; quindi decine di migliaia di
Aquitani e affini; poi mise a morte tutto il senato dei Veneti (popolazione
gallica) che gli si era arreso a discrezione; continuò sterminando tutto il
popolo degli Eburoni e per soprammercato 180mila Usipeti e Tencterii che si
trovò tra i piedi; a Bourges massacrò, per vendetta e senza riguardo per sesso
ed età, 40mila abitanti. Nel ricevere a colloquio i capi germanici li fece “trucidare a tradimento e quindi assaltò gli
avversari sbandati e senza guida, ed estese indiscriminatamente il genocidio a
tutti, donne e bambini inclusi”.
Concludevo con una domanda di
raffronto:
chi dei due, Cesare o Attila,
mostrò più ferocia e assenza di scrupoli? Eppure, mentre Attila ha assunto i
connotati del mostro sanguinario, il cui nome è diventato sinonimo di flagello,
per contro, Giulio Cesare è considerato un grande stratega, uno statista, uno
storico e purista della lingua latina al nome del quale s’intitolano scuole,
strade, piazze, navi e lo si celebra in opere teatrali, film e romanzi (*).
Chissà cosa ne penserebbero, al riguardo, gli Elvezi, Usipeti, Tencterii e
molti altri.
Per continuare con i raffronti,
oggi ne propongo un altro, quello tra Mussolini e Napoleone. Certo, molte cose
distinguono i due personaggi, ma solleverebbe molto e giustificato scandalo (sempre
meno, a dir il vero) se a Milano fosse mantenuta una eventuale statua
celebrativa del truce dittatore fascista, mentre si guarda con ammirazione
quella ben nota, copia in bronzo del nudo eroico canoviano, dedicata al sanguinario
dittatore francese (Marte pacificatore,
un ossimoro).
Che sorta di dittatore fu dunque
Napoleone? Ne accenno: sotto di lui non vi fu la minima libertà, né di
riunione, di associazione e tantomeno di stampa, posto che questa è la vera
pietra di paragone per giudicare un regime liberale da uno illiberale. Già nel
gennaio 1800, dunque subito dopo il diciotto brumaio, vennero soppressi a
Parigi 60 dei 73 giornali esistenti. Finì nel 1810 per autorizzarne in Francia
uno solo per dipartimento e quattro nella capitale. Anche le pubblicazioni
periodiche subirono la dittatura poiché il governo si riservò il diritto di
sopprimerle, anche dopo che fu istituita la censura preventiva. Gli stampatori
furono obbligati a prendere un brevetto e a prestare giuramento di non stampare
nulla di contrario al sovrano e allo Stato, e a Parigi il numero di tali
brevetti fu assai limitato. La chose
imprimée era vista da Napoleone di mal occhio per il semplice fatto che essa era intesa come un appello all’opinione anziché all’autorità. Per quanto poi riguarda l’arsenale
poliziesco, esso fu uno dei più feroci e non ci si fece scrupolo d’internare
gli oppositori, quando non si mandavano a morte, in manicomio.
Per tacere poi del ruolo dei
prefetti e del fatto che il corpo legislativo fu annullato attraverso decreti,
cosa che piacerebbe a qualcuno anche oggi in Italia. Si potrebbe continuare in
lungo e in largo con gli esempi, a cominciare dall’uso dei plebisciti, molto
simile a quello che ne fecero i totalitarismi novecenteschi. E anche una delle
iniziative civili che ha fatto la fortuna del nome di Napoleone, il codice
civile, che appunto porta il suo nome, è per gran parte un merito usurpato. Un
primo progetto di quel codice è già del 1793, discusso alla Convenzione; un
altro, il terzo, del 1796; sono tutti opera di codificazione presieduta da Cambacérès, e sono la base del codice napoleonico del 1804 (**). Gran parte di ciò che in
materia civile viene celebrato come opera di Napoleone trova quanto meno le sue
origini e le sue formulazioni essenziali già nel periodo precedente.
Non chiedo tuttavia tribunali
della memoria, bensì di mettere ben in luce la lista dei loro crimini e la
menzione delle loro vittime, di disinfettare i luoghi pubblici dai nomi di
questi istigatori di brutalità del passato. Chiedo di non coltivare il rispetto
per Alessandro, Cesare, Gengis Khan, Tamerlano, per i Papi persecutori, e così
per Luigi XIV, massacratore di contadini e persecutore dei protestanti e liberi
pensatori, del citato Bonaparte, responsabile della morte di milioni
di persone, o di Calvino, assassino di Jacques Gruet e Michele Serveto e
dittatore di Ginevra. Eccetera (***).
(*) Per far titolare a un
partigiano decorato di medaglia d’oro una viuzza ai margini di un quartiere
intestato a un generale, ho sudato le proverbiali sette camicie e solo infine ricorrendo
all’espediente di far avanzare ufficialmente la proposta a un “moderato”. Il
proponente prima d’allora manco sapeva chi fosse quel comandante partigiano, ma
ora può vantarsi, com’è ovvio in simili nature, che sia stato suo il merito
dell’intitolazione della via, come se importasse cosa può credere lui e quegli altri
“moderati” come lui che gli stanno appresso.
(**) Cambacérès era un notorio
omosessuale, oggetto di pettegolezzo mondano, al punto che durante il
Consolato, Bonaparte, Cambacérès e il Terzo Console Charles-François Lebrun
vennero soprannominati «Hic, Haec et Hoc» (in latino: «costui (Napoleone),
costei (Cambacérès) e questa cosa (Lebrun)». La Rivoluzione francese abolì nel
1791 tutti quelli che definì i "reati immaginari", come la
stregoneria, l'eresia e la sodomia.
(***) Quando a Parigi andate a visitare l’oscena architettura del Sacré-Coeur, ricordatevi che essa glorifica
lo schiacciamento della Comune e la fucilazione di decine di migliaia di suoi
cittadini. In Belgio decine di strade e un tunnel sono intitolati a uno dei più efferati assassini dell’epoca moderna, ossia Leopoldo II.
Di contro al nome di uno degli imperatori più tolleranti e intelligenti è affibbiato per ontonomasia l'aggettivo "apostata" solo per aver provato a impedire la deriva teocratica dell'impero romano.
RispondiEliminaLa Storia dell’umanità è fondata sulle nefandezze. Chi detiene il potere glorifica o colpevolizza taluni criminali per i propri fini. Impone tali scelte con una lenta triturazione dei cervelli già nei primi anni di vita. Dev'essere un lavoro sistematico, costante. Guai a cedere. C'è il rischio che si possano innescare pericolosi sussulti di coscienza.
RispondiElimina. Aristotele diceva che le bugie dei vincitori diventano storia mentre quelle dei vinti vengono scoperte, e Brecht aggiunge: beato il paese che non ha bisogno di eroi.
Saluti