sabato 27 settembre 2014

Per una nuova toponomastica


Spesso abbiamo uno strano concetto della storia, nutriti come siamo di pregiudizi scolastici e mediatici che ogni generazione dà per scontati o quasi. E del resto così va per binomi come democrazia/dittatura, libertà/schiavitù, ecc.. Per fare un esempio, in una conversazione recente mi è stato difficile fare capire che anche la repubblica di Weimar era un Reich, e che il Reich successivo ha continuato a proclamarsi repubblica. Impossibile far comprendere che con l’unificazione del 1989 si è trattato di raggiungere il reichen, ossia i confini “naturali”, e che dunque la Germania è di nuovo un Reich ad ogni effetto, quindi che tutti i tedeschi si sentono un grande popolo a cui è stato affidato dalla Storia un mandato precipuo.



La stessa cosa avviene con i personaggi il cui rilievo storico è stato tramandato. Il nome della maggior parte di essi è un culto, e tuttavia si tratta dei più scaltri e feroci assassini, tiranni e macellatori, infettati da religioni ed ideologie, intrisi di cattiveria e abiezione, messi su piedistalli e celebrati nei pantheon variopinti della memoria ufficiale. In un post di un paio di anni fa scrissi:

Plinio il Vecchio, nel settimo libro de la Storia naturale, ci racconta come il civilissimo e nobile Cesare fece uccidere un milione e 200mila persone allo scopo di far bella figura in Gallia (Plutarco, più benevolo, certifica un milione tondo). Cominciò con 200mila Elvizi, il cui torto maggiore era quello di non assecondare i suoi piani; quindi decine di migliaia di Aquitani e affini; poi mise a morte tutto il senato dei Veneti (popolazione gallica) che gli si era arreso a discrezione; continuò sterminando tutto il popolo degli Eburoni e per soprammercato 180mila Usipeti e Tencterii che si trovò tra i piedi; a Bourges massacrò, per vendetta e senza riguardo per sesso ed età, 40mila abitanti. Nel ricevere a colloquio i capi germanici li fece “trucidare a tradimento e quindi assaltò gli avversari sbandati e senza guida, ed estese indiscriminatamente il genocidio a tutti, donne e bambini inclusi”.

Concludevo con una domanda di raffronto:

chi dei due, Cesare o Attila, mostrò più ferocia e assenza di scrupoli? Eppure, mentre Attila ha assunto i connotati del mostro sanguinario, il cui nome è diventato sinonimo di flagello, per contro, Giulio Cesare è considerato un grande stratega, uno statista, uno storico e purista della lingua latina al nome del quale s’intitolano scuole, strade, piazze, navi e lo si celebra in opere teatrali, film e romanzi (*). Chissà cosa ne penserebbero, al riguardo, gli Elvezi, Usipeti, Tencterii e molti altri.

Per continuare con i raffronti, oggi ne propongo un altro, quello tra Mussolini e Napoleone. Certo, molte cose distinguono i due personaggi, ma solleverebbe molto e giustificato scandalo (sempre meno, a dir il vero) se a Milano fosse mantenuta una eventuale statua celebrativa del truce dittatore fascista, mentre si guarda con ammirazione quella ben nota, copia in bronzo del nudo eroico canoviano, dedicata al sanguinario dittatore francese (Marte pacificatore, un ossimoro).

Che sorta di dittatore fu dunque Napoleone? Ne accenno: sotto di lui non vi fu la minima libertà, né di riunione, di associazione e tantomeno di stampa, posto che questa è la vera pietra di paragone per giudicare un regime liberale da uno illiberale. Già nel gennaio 1800, dunque subito dopo il diciotto brumaio, vennero soppressi a Parigi 60 dei 73 giornali esistenti. Finì nel 1810 per autorizzarne in Francia uno solo per dipartimento e quattro nella capitale. Anche le pubblicazioni periodiche subirono la dittatura poiché il governo si riservò il diritto di sopprimerle, anche dopo che fu istituita la censura preventiva. Gli stampatori furono obbligati a prendere un brevetto e a prestare giuramento di non stampare nulla di contrario al sovrano e allo Stato, e a Parigi il numero di tali brevetti fu assai limitato. La chose imprimée era vista da Napoleone di mal occhio per il semplice fatto che essa era intesa come un appello all’opinione anziché all’autorità. Per quanto poi riguarda l’arsenale poliziesco, esso fu uno dei più feroci e non ci si fece scrupolo d’internare gli oppositori, quando non si mandavano a morte, in manicomio.

Per tacere poi del ruolo dei prefetti e del fatto che il corpo legislativo fu annullato attraverso decreti, cosa che piacerebbe a qualcuno anche oggi in Italia. Si potrebbe continuare in lungo e in largo con gli esempi, a cominciare dall’uso dei plebisciti, molto simile a quello che ne fecero i totalitarismi novecenteschi. E anche una delle iniziative civili che ha fatto la fortuna del nome di Napoleone, il codice civile, che appunto porta il suo nome, è per gran parte un merito usurpato. Un primo progetto di quel codice è già del 1793, discusso alla Convenzione; un altro, il terzo, del 1796; sono tutti opera di codificazione presieduta da Cambacérès, e sono la base del codice napoleonico del 1804 (**). Gran parte di ciò che in materia civile viene celebrato come opera di Napoleone trova quanto meno le sue origini e le sue formulazioni essenziali già nel periodo precedente.

Non chiedo tuttavia tribunali della memoria, bensì di mettere ben in luce la lista dei loro crimini e la menzione delle loro vittime, di disinfettare i luoghi pubblici dai nomi di questi istigatori di brutalità del passato. Chiedo di non coltivare il rispetto per Alessandro, Cesare, Gengis Khan, Tamerlano, per i Papi persecutori, e così per Luigi XIV, massacratore di contadini e persecutore dei protestanti e liberi pensatori, del citato Bonaparte, responsabile della morte di milioni di persone, o di Calvino, assassino di Jacques Gruet e Michele Serveto e dittatore di Ginevra. Eccetera (***).




(*) Per far titolare a un partigiano decorato di medaglia d’oro una viuzza ai margini di un quartiere intestato a un generale, ho sudato le proverbiali sette camicie e solo infine ricorrendo all’espediente di far avanzare ufficialmente la proposta a un “moderato”. Il proponente prima d’allora manco sapeva chi fosse quel comandante partigiano, ma ora può vantarsi, com’è ovvio in simili nature, che sia stato suo il merito dell’intitolazione della via, come se importasse cosa può credere lui e quegli altri “moderati” come lui che gli stanno appresso.

(**) Cambacérès era un notorio omosessuale, oggetto di pettegolezzo mondano, al punto che durante il Consolato, Bonaparte, Cambacérès e il Terzo Console Charles-François Lebrun vennero soprannominati «Hic, Haec et Hoc» (in latino: «costui (Napoleone), costei (Cambacérès) e questa cosa (Lebrun)». La Rivoluzione francese abolì nel 1791 tutti quelli che definì i "reati immaginari", come la stregoneria, l'eresia e la sodomia.

(***) Quando a Parigi andate a visitare l’oscena architettura del Sacré-Coeur, ricordatevi che essa glorifica lo schiacciamento della Comune e la fucilazione di decine di migliaia di suoi cittadini. In Belgio decine di strade e un tunnel sono intitolati a uno dei più efferati assassini dell’epoca moderna, ossia Leopoldo II.


2 commenti:

  1. Di contro al nome di uno degli imperatori più tolleranti e intelligenti è affibbiato per ontonomasia l'aggettivo "apostata" solo per aver provato a impedire la deriva teocratica dell'impero romano.

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  2. La Storia dell’umanità è fondata sulle nefandezze. Chi detiene il potere glorifica o colpevolizza taluni criminali per i propri fini. Impone tali scelte con una lenta triturazione dei cervelli già nei primi anni di vita. Dev'essere un lavoro sistematico, costante. Guai a cedere. C'è il rischio che si possano innescare pericolosi sussulti di coscienza.
    . Aristotele diceva che le bugie dei vincitori diventano storia mentre quelle dei vinti vengono scoperte, e Brecht aggiunge: beato il paese che non ha bisogno di eroi.
    Saluti

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