Scrive Fabrizio Galimberti sul
Sole 24ore:
Non c'è pace per l'economia mondiale e diventa difficile discernere,
nella nebbia del ciclo, il ruolo dei fattori strutturali, congiunturali e
politico-militari.
No, non è difficile discernere, se
il discernimento non è viziato da pregiudizi ideologici, ossia di classe. Le
difficoltà, ovvero le contraddizioni essenziali, sulle quali poggia l’economia
mondiale sono le medesime di sempre, vecchie come il capitalismo stesso. Ed è
da tali contraddizioni economiche essenziali che è poi possibile discernere, in
ultima analisi, i motivi più profondi dei conflitti geopolitici.
Che cos’è che sconcerta di questa
crisi i commentatori come Galimberti? La durata, la persistenza di quella che
chiamano “nebbia del ciclo”. L’umidità l’hanno nel cervello, nell’ostinazione,
per esempio, di chiamare ancora “ciclo” quella che in realtà è, non da oggi,
una crisi storica generale del modo di produzione capitalistico. Le
contraddizioni che la determinano stanno in radice, nelle leggi immanenti,
necessarie, naturali, di tale modo di produzione.
A voler essere estremisti nel
concetto, a costo di far rigirare il Grande Vecchio nella sua tomba, basterebbe
dire che la contraddizione fondamentale sta nello scambio ineguale tra capitale
e lavoro, ossia nel lavoro non pagato. In ogni società dove è presente
un’articolata divisione del lavoro e dello scambio, il lavoro è sempre stato
retribuito meno del suo valore (quando mai lo schiavo antico adibito a un
lavoro produttivo ha ricevuto in cambio il valore del suo lavoro?). Tuttavia
nel caso del modo di produzione capitalistico ciò avviene in modo del tutto peculiare, nel senso che il lavoro
produttivo non pagato allo schiavo moderno, ossia all’operaio, determina per le
modalità del processo delle conseguenze del tutto peculiari (*).
Perché i vari Galimberti cercano
risposte nell’ambito delle nebbie della circolazione quando dovrebbero cercare la
luce nella realtà più specifica del modo di produzione capitalistico, ossia
nella produzione? Perché manca loro l’onestà, la coerenza, il coraggio, il
rigore, di fare i conti anzitutto con il crimine occulto dell’intera società,
la ragione più vera del conflitto tra capitale e lavoro qual è l’estorsione di
lavoro non pagato, e dunque riconoscere che vero ed esclusivo scopo del
capitale è la sottomissione del processo di lavoro alla produzione di
plusvalore.
Scopo del capitale è ridurre la
parte retribuita del tempo di lavoro e aumentare quella non retribuita,
appropriata gratuitamente, ciò che in definitiva comporta un prolungamento del
tempo di lavoro assoluto, della
giornata lavorativa complessiva, e ciò come tendenza necessaria del movimento del capitale. Ma si tratta di una tendenza
esplosiva che porta in sé il germe della dissoluzione del capitale “in quanto
forma che domina la produzione”.
Se questa gente, nella vana
ricerca di risposte nella trascendenza della circolazione, si rivolgesse
all’analisi della produzione, ossia al cuore dell’economia, scoprirebbe inoltre
che la dinamica divaricantesi tra valore d’uso e valore di scambio nella massa
delle merci prodotte, conseguente alla sostituzione di lavoro vivo con sistemi
di automazione sempre più sviluppati, è alla base della crisi generale del modo di produzione capitalistico (ne ho
accennato in diversi post, p. es. in questo post).
Per conseguenza a questi poveretti
manca quella grandezza d’animo per riconoscere che gli sfruttati non sono nulla
e invece dovrebbero essere tutto, poiché oltretutto di quali valori sociali e
morali possono parlare questi servi di una classe sociale che ha quale
presupposto il dominio sulle altre classi?
(*) In un post di qualche giorno
fa scrivevo:
Malgrado le loro variopinte differenze di forma, le teorie economiche
hanno in comune il fatto che stanno tutte non
sul piano dell’analisi critica ma su quello dell’apologia della moderna società
borghese. Soprattutto è tornata dominante l’idea che le crisi del modo di
produzione capitalistico siano momentanee, che dopo la tempesta torni il
sereno. Non funziona così, proprio no. Del resto, se pensiamo che l’economia
politica ha sino a questo momento cercato a tentoni di formulare la differenza
fra capitale costante e capitale variabile senza riuscirvi con precisione, che
non ha mai fatto distinzione fra plusvalore e profitto, né ha mai spiegato
cos’è il profitto puro separato dai vari elementi che lo costituiscono che sono
resi reciprocamente indipendenti ...
Che dunque l’economia politica borghese non ha mai fatto un’analisi
esauriente delle differenze nella composizione organica del capitale e ancor
meno nella formazione del saggio generale del profitto. Allora non deve
meravigliare che essa non sia mai riuscita a trovare soluzione, per dirla con
Marx, alla tendenza progressiva della diminuzione del saggio generale del
profitto quale espressione peculiare del modo di produzione capitalistico, in
causa allo sviluppo progressivo della produttività sociale del lavoro, ossia
come conseguenza della stessa natura della produzione capitalistica e come
necessità logica del suo sviluppo, per cui il saggio generale medio del
plusvalore deve esprimersi in un calo del saggio generale del profitto.
quello che li sconcerta sono le forme sempre più imbarazzanti del proprio dominio. Più è incontrastato e più risulta nudo...
RispondiEliminaE son seccati non dall'origine del loro dominio (ci mancherebbe), neppure dalle conseguenze, ma dalle forme sempre più approssimative di un personale inserviente sempre più scemo.
Onestà, coerenza, coraggio e rigore sono concetti fondamentali e, per quanto l’esperienza mi possa suggerire, appartengono nel mondo più alla biografia delle persone che non alle idee che professano.
RispondiEliminaDetto questo dovremmo attendere un bel pò prima di arrivare alla stagione secca nelle menti dei Professionisti del Sole 24ore (e altrettanto dell’Università cosiddetta ‘deviata’); se il parametro è quello economico c’est l’argent qui fait la guerre. Al momento lo sconcerto mi sembra più metafisico che fattuale nella sua profondità. Vedremo la posizione del dott. Galimberti nell’eventualità che il taglio di teste al giornale lo possa riguardare da vicino, la contraddizione tra capitale e lavoro, la vera res extensa.
Più tardi tenteremo di capire, più di quanto qui sia stato già fatto, perché anche la ‘massa’ abbia ancora umidità nel cervello, e questo non solo per mancata educazione politica giovanile e/o matura o destabilizzazione consumistica (la bacheca in terra di Siena – probabilmente nel dettaglio in val d’Orcia - ne è un fulgido sintomo).