Tra le figurine del mio album
personale ne mancano alcune, tra le quali quella di Mario Tronti, che non ho
mai incollato. Leggo ora
una sua intervista (*) nella quale, tra l’altro, dichiara di sentirsi un “teologo
politico”, ma soprattutto uno sconfitto, un ex in tutto che ha provato a
distrarsi con il Tai Chi, e di avere una figlia che avrebbe “voluto farsi
monaca, poi ha scelto con la stessa profonda coerenza quel mondo che io ho solo
sfiorato”, ossia l’Oriente. Questioni strettamente personali, uno scorcio d’ambiente.
Del resto la dissoluzione di una
determinata forma di coscienza, specie per un uomo per il quale il comunismo e il
marxismo sono stati una dichiarazione di fede, è sufficiente a dissipare
un’esistenza e ad uccidere un’intera epoca, ed è perciò che Tronti afferma: “Viviamo un tempo senza epoca”. Parabole così, e anche più tristi, ne abbiamo
viste e udite raccontare tante negli ultimi decenni.
Ciò che m’interessa di quanto ha
detto Tronti nell’intervista è una frase che racchiude tutto il senso della sua
sconfitta. Dice: “In un certo senso sono stato credente anch’io. Ho creduto che
si poteva abbattere il capitalismo. Idea
per niente scientifica”.
Credeva di poter “abbattere il
capitalismo”, così come si abbatte un albero pericolante che minaccia sfracelli,
e che bastasse l’iniziativa del soggetto di classe sotto la spinta e la
direzione dell’intellighenzia operaista. Si tratta di quel Tronti che
pretendeva di cogliere “la logica interna allo sviluppo delle istituzioni
capitalistiche … indipendentemente dalla storia del capitale”. Da una simile velleitaria
premessa non poteva che seguire un cupo epilogo, la presa d’atto di un
fallimento personale e generazionale che porta questi reduci sconfitti e
infelici a considerare “non scientifica” l’analisi che svela le contraddizioni
immanenti al modo di produzione capitalistico e i motivi del suo superamento (**).
Non è solo l'inclinazione di questo genere di ex a
considerare solo l’apparenza dei fenomeni, a portarli a ritenere che la
sfasatura tra il piano della logica e quello della storia sia conferma
dell’intramontabilità della formazione economico-sociale capitalistica, e a
considerare le “controtendenze” come l’insieme dei fattori che negherebbero
definitivamente la tendenza di fondo allo sfacelo del modo di produzione
capitalistico. E ciò, nel caso di Tronti, nonostante Marx avesse messo sull’avviso che la legge assoluta
generale dell’accumulazione capitalistica, “Come tutte le altre leggi, essa è
modificata nel corso della propria attuazione da molteplici circostanze” (***).
A cosa sarà mai servito a questa
gente leggere Marx, posto dunque che
l’abbiano compreso? Già nel 1966, in Operai
e Capitale, Tronti desiderava solo “aver tempo e tranquillità politica” per
dedicarsi “a una minuta analisi comparativa della Fenomenologia hegeliana e dei Principles
di Riccardo”, giacché egli rilevava che: “Il lavoro come lavoro astratto e
quindi come forza-lavoro c’era già in Hegel. La forza-lavoro – e non solo il
lavoro – come merce c’era già in Riccardo”. Dimenticava già allora, Tronti, a
tale riguardo, di dare un’occhiata alla critica che Marx conduce a Ricardo, pur
riconoscendone per primo i grandi meriti, nelle Teorie del plusvalore.
Ad ogni modo, nel post che seguirà
a questo (tra oggi e domani, non so ancora) cercherò di rispondere nel merito alla
questione, ossia, da un lato, nel porre in luce la contraddizione fondamentale
che riguarda il processo di accumulazione capitalistico, e, dall’altro, come il
capitale tenda allo sviluppo universale delle forze produttive e in tal modo
diventi il presupposto di un nuovo modo di produzione. Il post non sarà
dedicato dunque a chi ha guardato alla realtà storica e al futuro costruendo
ipotesi sui desideri, bensì a coloro che guardano al futuro nell’analisi delle
tendenze del presente e alle leggi generali di movimento.
(*) In un libro Franco Milanesi
ripercorre la sua vicenda: Nel Novecento,
storia e teoria politica di Mario Tronti, Mimesis, 2014.
(***) Il Capitale, I, cap. ventitreesimo, La legge generale dell’accumulazione capitalistica, Einaudi, p.
794.
(**) Sarebbe viepiù necessario
che, sulle generali, per esempio, la sociologia borghese non meno che la
scienza borghese, prendessero atto del concetto di contraddizione fuori dagli
schemi della vulgata scolastica e del positivismo, ma non si può chiedere tanto
a chi già tiene tutto in pugno e per esempio considera il vecchio Hegel un cane
morto, al pari di tutto ciò che costoro di primo acchito non riescono a
comprendere e considerano “oscuro”.
«La contraddizione è universale, assoluta, essa esiste in tutti i
processi di sviluppo delle cose e penetra tutti i processi dal principio alla
fine.
Che cosa significa l’apparizione di un nuovo processo? Significa che la
vecchia unità e gli opposti che la costituivano lasciano il posto a una nuova
unità e a nuovi opposti che la costituiscono: nasce così un nuovo processo che
sostituisce il vecchio. Il vecchio processo si conclude, il nuovo sorge. Il
nuovo processo contiene nuove contraddizioni e inizia la propria storia di
sviluppo delle contraddizioni» (Mao Tze Tung, Sulla contraddizione, Opere scelte, Casa
editrice lingue estere, vol. I, Pechino, 1969, p. 337).
E ciò la dice lunga sui sognatori
che immaginano la fine del capitalismo come la fine assoluta delle
contraddizioni sociali e realizzazione immediata della società perfetta. Sono
quel genere di sognatori che prima o poi, delusi dalla realtà non abbastanza
pronta e niente affatto accondiscendente, finiscono aggrappati ad un qualche
vangelo.
Per chi, come me, ignora tanta parte della produzione intellettuale para o pseudo marxista del dopoguerra, non può che esserti grato di queste tue preziose e affilate analisi.
RispondiEliminaa quanti pensi interessi? scrivessi di clunei e di ama il budin ci sarebbero più commenti. ad ogni modo, grazie.
EliminaA "quanti" non so: so a "quali" e, seppur pochi, sono belli (e belle).
EliminaA parte: per capire clunei c'ho messo due minuti. :-)
clunei è l'argomento principe dalle parrucchiere
EliminaEhi, ehi, interessa e molto.
RispondiEliminaAltro problema è, eventualmente, decidere strategie per aumentare la visibilità.
ciao,g