martedì 30 settembre 2014

Figurine


Tra le figurine del mio album personale ne mancano alcune, tra le quali quella di Mario Tronti, che non ho mai incollato. Leggo ora una sua intervista (*) nella quale, tra l’altro, dichiara di sentirsi un “teologo politico”, ma soprattutto uno sconfitto, un ex in tutto che ha provato a distrarsi con il Tai Chi, e di avere una figlia che avrebbe “voluto farsi monaca, poi ha scelto con la stessa profonda coerenza quel mondo che io ho solo sfiorato”, ossia l’Oriente. Questioni strettamente personali, uno scorcio d’ambiente.

Del resto la dissoluzione di una determinata forma di coscienza, specie per un uomo per il quale il comunismo e il marxismo sono stati una dichiarazione di fede, è sufficiente a dissipare un’esistenza e ad uccidere un’intera epoca, ed è perciò che Tronti afferma: “Viviamo un tempo senza epoca”. Parabole così, e anche più tristi, ne abbiamo viste e udite raccontare tante negli ultimi decenni.



Ciò che m’interessa di quanto ha detto Tronti nell’intervista è una frase che racchiude tutto il senso della sua sconfitta. Dice: “In un certo senso sono stato credente anch’io. Ho creduto che si poteva abbattere il capitalismo. Idea per niente scientifica”.

Credeva di poter “abbattere il capitalismo”, così come si abbatte un albero pericolante che minaccia sfracelli, e che bastasse l’iniziativa del soggetto di classe sotto la spinta e la direzione dell’intellighenzia operaista. Si tratta di quel Tronti che pretendeva di cogliere “la logica interna allo sviluppo delle istituzioni capitalistiche … indipendentemente dalla storia del capitale”. Da una simile velleitaria premessa non poteva che seguire un cupo epilogo, la presa d’atto di un fallimento personale e generazionale che porta questi reduci sconfitti e infelici a considerare “non scientifica” l’analisi che svela le contraddizioni immanenti al modo di produzione capitalistico e i motivi del suo superamento (**).

Non è solo l'inclinazione di questo genere di ex a considerare solo l’apparenza dei fenomeni, a portarli a ritenere che la sfasatura tra il piano della logica e quello della storia sia conferma dell’intramontabilità della formazione economico-sociale capitalistica, e a considerare le “controtendenze” come l’insieme dei fattori che negherebbero definitivamente la tendenza di fondo allo sfacelo del modo di produzione capitalistico. E ciò, nel caso di Tronti, nonostante Marx avesse messo sull’avviso che la legge assoluta generale dell’accumulazione capitalistica, “Come tutte le altre leggi, essa è modificata nel corso della propria attuazione da molteplici circostanze” (***).

A cosa sarà mai servito a questa gente leggere Marx, posto dunque che l’abbiano compreso? Già nel 1966, in Operai e Capitale, Tronti desiderava solo “aver tempo e tranquillità politica” per dedicarsi “a una minuta analisi comparativa della Fenomenologia hegeliana e dei Principles di Riccardo”, giacché egli rilevava che: “Il lavoro come lavoro astratto e quindi come forza-lavoro c’era già in Hegel. La forza-lavoro – e non solo il lavoro – come merce c’era già in Riccardo”. Dimenticava già allora, Tronti, a tale riguardo, di dare un’occhiata alla critica che Marx conduce a Ricardo, pur riconoscendone per primo i grandi meriti, nelle Teorie del plusvalore.

Ad ogni modo, nel post che seguirà a questo (tra oggi e domani, non so ancora) cercherò di rispondere nel merito alla questione, ossia, da un lato, nel porre in luce la contraddizione fondamentale che riguarda il processo di accumulazione capitalistico, e, dall’altro, come il capitale tenda allo sviluppo universale delle forze produttive e in tal modo diventi il presupposto di un nuovo modo di produzione. Il post non sarà dedicato dunque a chi ha guardato alla realtà storica e al futuro costruendo ipotesi sui desideri, bensì a coloro che guardano al futuro nell’analisi delle tendenze del presente e alle leggi generali di movimento.


(*) In un libro Franco Milanesi ripercorre la sua vicenda: Nel Novecento, storia e teoria politica di Mario Tronti,  Mimesis, 2014.

(***) Il Capitale, I, cap. ventitreesimo, La legge generale dell’accumulazione capitalistica, Einaudi, p. 794.

(**) Sarebbe viepiù necessario che, sulle generali, per esempio, la sociologia borghese non meno che la scienza borghese, prendessero atto del concetto di contraddizione fuori dagli schemi della vulgata scolastica e del positivismo, ma non si può chiedere tanto a chi già tiene tutto in pugno e per esempio considera il vecchio Hegel un cane morto, al pari di tutto ciò che costoro di primo acchito non riescono a comprendere e considerano “oscuro”.

«La contraddizione è universale, assoluta, essa esiste in tutti i processi di sviluppo delle cose e penetra tutti i processi dal principio alla fine.

Che cosa significa l’apparizione di un nuovo processo? Significa che la vecchia unità e gli opposti che la costituivano lasciano il posto a una nuova unità e a nuovi opposti che la costituiscono: nasce così un nuovo processo che sostituisce il vecchio. Il vecchio processo si conclude, il nuovo sorge. Il nuovo processo contiene nuove contraddizioni e inizia la propria storia di sviluppo delle contraddizioni» (Mao Tze Tung, Sulla contraddizione, Opere scelte, Casa editrice lingue estere, vol. I, Pechino, 1969, p. 337).


E ciò la dice lunga sui sognatori che immaginano la fine del capitalismo come la fine assoluta delle contraddizioni sociali e realizzazione immediata della società perfetta. Sono quel genere di sognatori che prima o poi, delusi dalla realtà non abbastanza pronta e niente affatto accondiscendente, finiscono aggrappati ad un qualche vangelo.

5 commenti:

  1. Per chi, come me, ignora tanta parte della produzione intellettuale para o pseudo marxista del dopoguerra, non può che esserti grato di queste tue preziose e affilate analisi.

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    1. a quanti pensi interessi? scrivessi di clunei e di ama il budin ci sarebbero più commenti. ad ogni modo, grazie.

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    2. A "quanti" non so: so a "quali" e, seppur pochi, sono belli (e belle).
      A parte: per capire clunei c'ho messo due minuti. :-)

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    3. clunei è l'argomento principe dalle parrucchiere

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  2. Ehi, ehi, interessa e molto.
    Altro problema è, eventualmente, decidere strategie per aumentare la visibilità.
    ciao,g

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