martedì 17 maggio 2011

Divide et impera



In attesa di leggere in dettaglio i dati delle amministrative e confermare che nulla cambia per il regime (non solo Berlusconi!), disposto a tutto pur di salvarsi, scrivo due righe su quel tremendo tema che è il conflitto israelo-palestinese e che ci divide come pochi altri.

Israele non è uno stato come gli altri, è uno stato nato sulla terra d’altri. Questi altri si chiamano palestinesi ed è normale che manifestino contro tale stato di cose la cui causa, è bene ricordarlo, non è il genocidio hitleriano, ma il sionismo, cioè l’idea, detto in breve, di fondare una grande Israele laddove 20 secoli prima abitavano le famose tribù israelite. Nel frattempo sono successe molte cose, tra le quali la comparsa degli ebrei askenaziti (i sefarditi – lo dice il nome – provengono in genere dalla Spagna (Sefar) dopo l’espulsione del 1492), che altro non sarebbero che i cazari convertiti molti secoli or sono all’ebraismo e poi diffusisi in tutta l’Europa dell’est (Arthur Koestler, La tredicesima tribù, Utet).

Comunque sia, la pretesa di creare uno stato sionista in Palestina, con il sostegno dei colonialisti europei, si è dimostrata antistorica e foriera di ogni tipo di violenza. Ora la frittata è fatta, è non deve destare meraviglia se i palestinesi protestano contro gli insediamenti israeliani e la loro arroganza. Domenica scorsa, le truppe israeliane hanno aperto il fuoco al confine vicino a Maroun al-Ras, in Libano, uccidendo 10 rifugiati palestinesi e ferendone altre 80. Altri cinque palestinesi sono stati uccisi e almeno 30 feriti nel villaggio di confine siriano di Majdal Shams presso le alture del Golan occupate abusivamente dagli israeliani. Un altro palestinese è stato ucciso e almeno 86 civili feriti quando le truppe israeliane hanno aperto il fuoco con armi portatili e carri armati contro una protesta alla frontiera di Beit Hannon, nella parte settentrionale della Striscia di Gaza. La polizia e le truppe hanno anche reagito con le armi contro le proteste a Ramallah, Betlemme e Hebron. In tutto, 16 persone sono state uccise e oltre 400 feriti, alcuni dei quali in modo grave.

«Israele, come tutti i paesi, ha il diritto di impedire l'attraversamento non autorizzato alle proprie frontiere», ha detto il portavoce dei terroristi Usa Carney. Di quali frontiere sta parlando, di quelle stabilite arbitrariamente e con l’uso della forza seguendo gli insediamenti sionisti? Che si fa, giochiamo a chi ha ragione e chi ha torto, tra chi dice di avere diritto a sparare e chi dice che è giusto lanciare sassi? Lo stato sionista è un’organizzazione criminale e la questione palestinese nei termini della lotta armata non ha speranza. Serve ai siriani per soffiare sul fuoco della rivolata per distogliere l’attenzione sui problemi interni e agli altri regimi arabi che hanno più volte represso e tradito i palestinesi. Serve ai padroni dell’islam per i propri giochi di potere così come alla principale lobby sionista negli Stati Uniti, cioè l’American Israeli Political Action Committee (AIPAC). Serve a vendere armi e alle borghesie palestinese e israeliana per sfruttare il proletariato palestinese e israeliano quando invece potrebbe cooperare e vivere in pace.

Insomma il principio di divide et impera serve a tutti tranne che a chi lavora e paga le spese di questa follia. Se ne uscirà? No. La povera gente così come gli innocenti continueranno a essere ostaggio del torto e della ragione. E noi con loro.

4 commenti:

  1. Per una volta forse nel mio piccolo non potrò essere d'accordo con quanto hai scritto.

    In particolare a lasciarmi molto perplesso è la frase: "Israele [...] è uno stato nato sulla terra d’altri".

    Ora, Israele sorse durante una guerra - prima civile, poi internazionale - scoppiata il giorno dopo la ""controversa"" approvazione della risoluzione GA-181.

    Per cui, in base a cosa puoi sostenere che in quel momento - siamo a fine novembre 47 - la Palestina cisgordana, allora abitata per circa il 60 e passa percento da arabi e per poco meno del 35 da ebrei, fosse "terra d'altri" rispetto a quanti poi divennero cittadini di Israele?, come va concepito il concetto di proprietà di un territorio da parte di una nazione?, e soprattutto, data una terra abitata da due gruppi di dimensioni comparabili (ovvero con una ratio più vicina ad 1:1 che ad 1:10), che non vadano troppo d'accordo e ciascuno dei quali ambisca alla realizzazione di una propria "casa nazionale": come se ne individua il giusto propietario?

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  2. lo stato d'isdraele del 1947 è la formalizzazione di una occupazione precedente durata alcuni decenni (nella seconda metà dell'800 gli ebrei non erano molti di più di 10mila)

    i sionisti hanno imposto il loro dominio di fatto e poi formalmente su un territorio abitato da altri. come se un'enclave italiana in argentina a un certo punto pretendesse di farsi stato e anzi come unico stato legale. i sionisti hanno fatto ciò che noi europei abbiamo fatto con la conquista dell'america e dell'oceania. in palestina i sionisti hanno occupato manu militari le proprietà individuali dei palestinesi scacciandoli. in tal senso sono degli occupanti.

    quale diritto avevano i sionisti di stabilirsi in massa in palestina e poi di occuparla stabilmente e militarmente? la risposta migliore mi sembra quella di Shlomo Sand nei post successivi

    ciao

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  3. Ciao e scusami se insisto su questo punto - che mi rendo conto essere delicato.

    L'immigrazione ebraica conseguente al progetto sionista fu ""gestita"" (anche lì c'erano quote pattuite e clandestini in sovrannumero) prima dagli ottomani, poi dai britannici sotto mandato della Società delle Nazioni.

    Fatto salvo per il fatto che l'Agenzia Ebraica ed altri enti filantropici compravano terreni per l'insediamento, per il resto si trattava di poveracci, straccioni, proletari, la cui situazione non doveva essere troppo dissimile da quella dei nostri migranti nelle Americhe, o da quella degli africani che arrivano a Lampedusa a bordo delle carrette del mare (non troppo curiosamente fu proprio un episodio di respingimento, quello della Exodus, a richiamare l'attenzione internazionale, ed a spostare qualche simpatia).
    Insomma non certo i Navy Seals.

    I primi disordini rilevanti iniziarono verso gli anni 10, quando però la minoranza ebraica non era più così sparuta. E comunque l'Haganah e gli altri gruppi paramilitari iniziarono ad acquisire una certa importanza solo con la rivolta araba, in prossimità degli anni 40 - quando da parte della leadership ebraica si iniziava ad intravedere la possibilità di forzare definitivamente il corso degli eventi in loro favore.

    E qui siamo a quello che secondo me è il punto della questione: giusto o sbagliato che lo si voglia considerare, è solo nel secondo dopoguerra che si pone la necessità di dare alla regione un nuovo assetto; certo gli inglesi provavano già da un po' ad abbozzare qualche astratta soluzione, e certo quell'urgenza fu catalizzata dai tanti attentati terroristici da parte di Haganah, Irgun, Lehi e quant'altro; ma comunque la decolonizzazione della regione di cui la Palestina era una parte avviene in quel momento, non prima.

    Per cui, per come la vedo io, l'istante iniziale - e con esso le condizioni iniziali - del problema non può essere scelto arbitrariamente, al contrario è dettato dalla storia. In quel momento gli ebrei superavano numericamente la metà della popolazione araba, erano maggioranza relativa (e talvolta assoluta) in diverse regioni urbane (compresa Gerusalemme), possedevano una percentuale significativa delle terre coltivabili, etc, etc, ed erano tutto meno che una forza di conquista coloniale.

    Poi certo possiamo discutere sul significato del progetto sionista, sugli elementi di nazionalismo, sulle modalità di implementazione, etc; ma la cacciata dei palestinesi, e con essa i più famigerati episodi di pulizia etnica avverranno solo dopo quel novembre '47; poco dopo, ma dopo, a guerra incominciata.

    Cosa secondo te non va in questa mia (modestissima) ricostruzione?

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  4. non trovo nulla che sostanzialmente non sia ben ricostruito, salvo il fatto del numero. il numero dei residenti sionisti in palestina ha una rilevanza relativa (sotto il mandato britannico la popolazione sionista passava dall'11 al 32% della popolazione). Le tensioni non cominciano nel 47, ma culminano in tale epoca, come anche tu evidenzi. tra il 36 e il 39 ci furono gravi conseguenze con manifestazioni e scioperi generali. nel 937 ci fu l'assassinio del governatore generale inglese della galilea e le bande sioniste oltre a controllare ampie zone della palestina cominciarono a costituire apparati giudiziari e amministrativi autonomi. insomma l'occupazione armata cominciò prima della formalizzazione statuale sionista. la delocolonizzazione significò solo dare mano libera ai siniosti. quello che non va è il progetto sionista di COLONIZZAZIONE che per forza di cose si scontra con il costituirsi di un nazionalismo arabo. il sionismo non prevede l'integrazione e la cooperazione ma il dominio della grande israele.

    dopo l'89 milioni (milioni!) di cosiddetti ebrei dell'est europa si sono traferiti in palestina. per far posto a loro si sono scacciati ancora dei palestinesi, si sono occupati territori che gli accordi avevano assegnati loro. è la politica aggressiva degli insediamenti e dell'apartheid che contrassegna lo stato sionista d'israele, non la mancata collaborazione palestinese.

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