domenica 1 maggio 2011

È giusto lavorare il Primo Maggio

È giusto lavorare il Primo Maggio, per distruggere la grande proprietà e con essa i padroni e i loro leccaculo mantenuti; per trasformare la “festa del lavoro” nella festa quotidiana della liberazione dal lavoro salariato, per liberare i corpi e le coscienze dal dominio della società di classe; per produrre benessere materiale, culturale e affettivo, cioè festa di vita, per l’intero genere umano, per una sua nuova storia e memoria, per una nuova comunicazione non allucinata. Insomma è giusto lottare per una nuova realtà che rompa con i rapporti sociali esistenti e dica basta al feticcio dei consumi fasulli e schizofrenici, alla produzione di merci inutili e dannose, alla schiavitù che alimenta il profitto e il privilegio, lo spreco e il lusso di pochi, la cultura della separazione e della paura. Se qualcuno vi dice che questa è un’utopia saprete subito da che parte sta e perché.

«Che cosa è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti delle forze produttive, ecc., degli individui, creata nello scambio universale? Che cosa è se non il pieno sviluppo del dominio dell’uomo sulle forze della natura, sia su quelle della cosiddetta natura, sia su quelle della propria natura? Che cosa è se non l’estrinsecazione assoluta delle sue doti creative, senza altro presupposto che il precedente sviluppo storico, che rende fine a se stessa questa totalità dello sviluppo, cioè dello sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su di un metro già dato? Nella quale l’uomo non si riproduce in una dimensione determinata, ma produce la propria totalità? Dove non cerca di rimanere qualcosa di divenuto, ma è nel movimento assoluto del divenire? Nell’economia politica borghese – nella fase storica di produzione cui essa corrisponde – questa completa estrinsecazione della natura interna dell’uomo si presenta come un completo svuotamento, questa universale oggettivazione come alienazione totale, e l’eliminazione di tutti gli scopi determinati unilaterali come sacrificio dello scopo autonomo a uno scopo completamente esterno. Perciò da un lato l’infantile mondo antico si presenta come qualcosa di più elevato; dall’altro lato esso lo è in tutto ciò in cui si cerca di ritrovare un’immagine compiuta, una forma, e una delimitazione oggettiva. Esso è soddisfazione da un punto di vista limitato; mentre il mondo moderno lascia insoddisfatti, o, dove esso appare soddisfatto di se stesso, è volgare (Grundrisse, II, Firenze, p. 112).»

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