Se non c’è stato un esilio dalla Palestina
romanizzata, da dove provengono i numerosi ebrei che vivono intorno al
Mediterraneo fin dall’Antichità? Dietro le quinte della storiografia nazionale
si nasconde una sorprendente realtà storica. Dalla rivolta dei Maccabei, nel II
secolo a.C., alla rivolta di Bar-Kokhba, nel II secolo d.C., il giudaismo fu la
prima religione a mirare al proselitismo. Gli Asmonei avevano in precedenza
convertito con la forza gli Iturei di Galilea annessi al «popolo di Israele» a
partire da questo regno giudeo-ellenico, il giudaismo si diffuse nell’intero
Vicino Oriente sulle sponde del Mediterraneo. Nel primo secolo d.C., apparve,
nell’odierno Kurdistan, il regno ebraico di Adiabene, che non sarebbe stato l’ultimo
regno a «giudaizzarsi»: altri avrebbero seguito la stessa strada in seguito.
Gli scritti di Giuseppe Flavio non sono l’unica
testimonianza dell’ardore degli ebrei in materia di proselitismo. Da Orazio a
Seneca, da Giovenale a Tacito, molti scrittori latini esprimono questo timore.
La Mishna e il Talmud (3)
autorizzano questa pratica della conversione – anche se, di fronte alla
pressione crescente del cristianesimo, i saggi della tradizione talmudica
esprimeranno riserve al riguardo.
Senza porre termine all’espansione del
giudaismo, la vittoria della religione di Gesù, all’inizio del IV secolo,
respinge il proselitismo ebraico ai margini del mondo culturale cristiano. Nel
V secolo, sul territorio dell’attuale Yemen, sorge un regno ebraico forte,
chiamato Himyar, i cui discendenti conserveranno la loro fede dopo la vittoria
dell’islam e fino ai tempi moderni. Peraltro, i cronisti arabi segnalano l’esistenza,
nel VII secolo, di tribù berbere giudaizzate; di fronte all’avanzata araba, che
raggiunge l’Africa del nord alla fine dello stesso secolo, appare la figura
leggendaria della regina ebrea Dihya zl-Kahna che tentò di arginarla. Berberi
giudaizzati parteciperanno alla conquista della penisola iberica e saranno all’origine
della simbiosi particolare tra ebrei e musulmani, caratteristica della cultura
ispano-araba.
La più significativa conversione di vaste
dimensioni si verifica tra il mar Nero e il mar Caspio: essa riguarda l’immenso
regno khazaki, nell’VIII secolo. L’espansione del giudaismo, dal Caucaso all’attuale
Ucraina, genera numerose comunità che le invasioni mongole del XIII secolo
respingono in massa verso l’est europeo. È in questi luoghi che, assieme con
gli ebrei venuti dalle regioni slave del sud e dagli odierni territori
tedeschi, esse porranno le basi della grande cultura yiddish (4).
Questi racconti sulle origini plurime degli
ebrei si trovano, in termini più o meno sfocati, nella storiografia sionista
fino agli anni 1960. In seguito, vengono poco a poco marginalizzati prima di
scomparire dalla memoria pubblica in Israele. I conquistatori della città di
Davide, nel 1967, dovevano essere i diretti discendenti del suo mitico regno e
non – che Dio non voglia! – gli eredi di guerrieri berberi o di cavalieri
khazaki. Gli ebrei figurano quindi come un «ethnos» specifico che, dopo duemila
anni di esilio e di erranza, ritorna infine a Gerusalemme, la sua capitale.
Nascita di una nazione
I fautori di questo racconto lineare e
indivisibile non mobilitano soltanto l’insegnamento della storia: essi chiamano
in causa anche la biologia. Dagli anni ’70, in Israele, una serie di ricerche «scientifiche»
tenta di provare, con ogni mezzo, la prossimità genetica degli ebrei del mondo
intero. La «ricerca sulle origini delle popolazioni» rappresenta ormai un campo
legittimato e popolare della biologia molecolare, mentre il cromosomo Y maschio
figura al posto d’onore accanto a una Clio ebrea (5) in una ricerca sfrenata dell’unicità di origine del «popolo
eletto».
Questo concetto storico costituisce la base
della politica identitaria dello Stato d’Israele, ed è proprio qui il punto
debole! Infatti, esso conduce a una definizione essenzialista ed etnocentrista
del giudaismo, alimentando una segregazione che separa gli ebrei dai
non-ebrei-arabi come gli immigranti russi o i lavoratori immigrati.
A sessant’anni dalla sua fondazione, Israele
rifiuta di concepirsi come una repubblica che esiste per i suoi cittadini.
Quasi un quarto di essi non è considerato ebreo e, secondo lo spirito delle sue
leggi, questo stato non è il loro. In compenso, Israele si presenta sempre come
lo stato degli ebrei del mondo intero, anche se non si tratta più di profughi
perseguitati, ma di cittadini di pieno diritto che vivono in piena uguaglianza
nei paesi di residenza. In altre parole, una etnocrazia senza frontiere
giustifica la severa discriminazione che essa pratica nei confronti di parte
dei propri cittadini invocando il mito della nazione eterna ricostituita per
riunirsi sulla «terra degli antenati».
Scrivere una storia ebraica nuova, che
superi il prisma sionista, non è quindi un compito facile. La luce che s’infrange
sul prisma assume forti tinte etnocentriste. Ma gli ebrei hanno da sempre
formato comunità religiose costituite, più generalmente attraverso le
conversioni, in varie regioni del mondo: esse non rappresentano quindi un «ethnos»
portatore di un’origine unica che si sarebbe spostata con una erranza lunga
venti secoli. Si sa che lo sviluppo di ogni storiografia come, più in generale,
il processo della modernità, ha bisogno di passare, a un dato momento, per l’invenzione
della nazione. Questa occupò milioni di esseri umani nel XIX secolo e in parte
del XX. Alla fine dell’ultimo secolo, questi sogni accennano a infrangersi.
Sempre più numerosi, gli studiosi analizzano, sezionano e decostruiscono i
grandi racconti nazionali, e in particolare i miti dell’origine comune, cari
alle cronache del passato. Domani, gli incubi identitari cederanno il posto ad
altri sogni d’identità. Come ogni personalità fatta di identità fluide e varie,
la storia è, anch’essa, una identità in movimento.
(1) La Mishna, ritenuta la prima opera di
letteratura rabbinica, è stata terminata nel II secolo della nostra era. Il
Talmud è una sintesi dell’insieme dei dibattiti rabbinici riguardanti la legge,
i costumi e la storia degli ebrei. Ci sono due Talmud: quello di Palestina,
scritto tra il II e il V secolo, e quello di Babilonia, terminato alla fine del
V secolo.
(2) Parlato dagli ebrei dell’Europa
orientale, lo yiddish è una lingua slavo-tedesca che comprende parole
provenienti dall’ebraico.
(3) Nella mitologia greca, Clio era la musa
della Storia.
(Traduzione di M.G.G.)
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