giovedì 23 marzo 2023

La trappola di Tucidide

 

Il presidente cinese Xi Jinping ha concluso la sua visita di due giorni a Mosca e gli incontri con il presidente russo Vladimir Putin. I due leader hanno dichiarato che la loro cooperazione ha “raggiunto il livello più alto della storia” e, in opposizione agli Stati Uniti, dichiararono la loro determinazione a “salvaguardare il sistema internazionale” basato sulle Nazioni Unite. Chi vuol capire, capisca.

Il vertice sino-russo di Mosca segna la fine della strategia geopolitica americana sperimentata dal presidente degli Stati Uniti Richard Nixon e dal suo consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger, che progettarono un riavvicinamento con la Cina e un’alleanza de facto contro l’Unione Sovietica. L’accordo fu siglato dalla visita di Nixon a Pechino e dall’incontro con Mao Zedong nel febbraio 1972.

Oggi Russia e Cina mantengono un grado di indipendenza dall’ordine mondiale dominato dagli Stati Uniti, che però è intollerabile per Washington. Questo è la causa di tutto, ed è particolarmente vero con la Cina, che da potenza regionale è diventata, grazie al massiccio afflusso di investimenti e tecnologia da parte di società americane (il “benevolent power” americano) e internazionali desiderose di ottenere super profitti dalla manodopera cinese a basso costo, un leader in grado di competere con la maggiore superpotenza del dopo Guerra Fredda.

Come sempre più spesso accade, le diatribe appassionate sui media e sui social ruotano intorno alle percezioni più che alla realtà di questa rivalità, dove prevale l’ideologia a dispetto di affermazioni mai comprovate. In questi ambiti, forse non a caso, si è ritornati alle posizioni della vecchia guerra fredda (intravedo una certa nostalgia). In realtà, questa rivalità non contrappone ideologie molto distanti tra loro, come ai vecchi tempi tra Mosca e Washington, poiché prevale in entrambi i Paesi il capitalismo, e, specie la Cina, è lontana dai meccanismi del vecchio bipolarismo perché non vi ha interesse.

Il duello Washington-Pechino, la “nuova guerra fredda”, è una rivalità globale, ci riguarda tutti, poiché ci trascina in un bipolarismo tanto ingiustificato quanto pericoloso. Ingiustificato perché non è, a differenza della vecchia guerra fredda, ideologico e sistemico; pericoloso perché porta non solo a maggiori incertezze ma a un conflitto aperto che ormai sembra difficile scongiurare (siamo ormai prigionieri della “trappola di Tucidide”).

Le tecnologie d’avanguardia sono diventate il terreno di gioco di questa rivalità, e gli sviluppi in tale settore sono così rapidi che l’equilibrio di potere non è mai fisso. Entrambi i contendenti cercano di anticipare e trarre un proprio vantaggio significativo, ampliando il divario rispetto alla concorrenza, europea e giapponese in particolare. Ma a noi europei che importa, abbiamo una grande storia alle spalle che ci sorregge.

Pechino si sta dando i mezzi commisurati alle proprie ambizioni, sia affidandosi alla forza d’urto della sua industria di punta – Huawei e Tencent in particolare – sia puntando sul monopolio dei metalli rari indispensabili per la componentistica dei computer. La Cina è così passata, in pochi anni, da fabbrica globale a centro di sviluppo di nuove tecnologie in grado di rivaleggiare con la Silicon Valley.

Di fronte a questo aumento del potere tecnologico cinese, dapprima gli stati occidentali avanzavano in (dis)ordine sparso. Poi da un po’ d’anni a questa parte a Washington ci si è svegliati. Lo testimoniano le misure adottate in risposta al 5G e ad Huawei, nonché la pressione esercitata su TikTok dalla Casa Bianca. Più che una questione tecnologica, ciò è diventato inevitabilmente un affare politico, con accuse al governo cinese di aver orchestrato una massiccia raccolta di dati attraverso questa innovazione.

Ciò che penso ormai sia chiaro è il fatto che la più grande trasformazione della storia non riguarda solo il risultato di innovazioni capaci di trasformare le società, ma le scelte strategiche delle grandi potenze per consentire loro di creare un vantaggio decisivo sulla concorrenza e dominare il mondo. Pertanto la competizione è aperta.

Possiamo scegliere da che parte stare, naturalmente e in ogni caso molto in subordine. C’è un fatto però che non va sottaciuto, e cioè che le nostre scelte collettive possono ancora influenzare gli avvenimenti. Vale a dire: vogliamo che questo confronto-scontro storico, di cui la guerra per procura in Ucraina (che sta dilaniando economicamente l’UE) è solo un passaggio, trovi una qualche composizione sul piano delle intese pacifiche (sfruttando magari i limiti del potere cinese e le battute d’arresto del potere americano, anche alla luce delle crisi finanziarie), oppure accettiamo il processo intrapreso che sta portando il mondo intero dritto a un conflitto armato in cui l’impiego delle armi nucleari è una possibilità tutt’altro che remota? 

2 commenti:

  1. Io non so se ci sarà conflitto armato. Mi pare però chiaro che l'orologio della stria batte l'ora della Cina. Nel secolo XX l'America ha prevalso importando manodopera e sviluppando una indubbia capacità di gestione (management). Ciò presupponeva una società fortemente competitiva e meritocratica. L'allentamento, anzi, lo sfibrarsi di queste condizioni sono davanti ai nostri occhi attoniti, che guardano gli incredibili abissi della cosiddetta cultura woke. Dall'altra parte del Pacifico, vediamo un miliardo e mezzo di individui che lavorano 7 giorni su 7, lasciandosi gioiosamente sfruttare e spesso ammazzare. In queste condizioni, non è neppure necessaria tanta managerialità. E' evidente chi vince.
    Salvo che per schiacciare un bottone e lanciare missili a testate multiple è sufficiente un vecchio demente pilotato dal deep state. E' chiaro che questa è l'unica chance di vittoria rimasta agli USA. Speriamo che non lo capiscano.

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  2. https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/25148-enrico-tomaselli-la-fine-delle-talassocrazie.html

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