Il mancato riconoscimento, da parte di strati non solo marginali dell’opinione pubblica italiana, del ruolo positivo avuto dalla Resistenza nel processo di liberazione e democratizzazione, pur con tutti i limiti connessi, dimostra che non si è affrontato seriamente il rapporto con il passato fascista e manca dunque la capacità di analizzare sul piano scientifico quel periodo storico, lasciando la strada aperta alla relativizzazione del fenomeno fascista e al prevalere dello scontro ideologico.
Quanto al partito di Giorgia Meloni, che dal 4 per cento in pochissimi anni arriva al 26, esso punta, come già nelle elezioni del 1972, sulla rabbia di un elettorato tradito su tutti i fronti, sia quello conservatore e sia quello progressista. Tuttavia, allora e oggi, quel partito in concreto non mostra di saper offrire, sulla base delle esperienze di governo passate e sul programma politico elettorale odierno, nessuna risposta alla questione sociale nel suo complesso.
Non potrà farlo anche perché è incapace di stabilire un dialogo effettivo con altre culture e tradizioni politiche, di diventare, per dirla in breve, una destra laica e riformista, e sarà viepiù incapace di superare il modello governativo già sperimentato con i governi di cui ha fatto parte in precedenza, nonostante le intenzioni di Meloni di fare meglio di così (fare peggio è più difficile).
Quanto alla politica estera, di cui da sempre è importato poco o nulla qui da noi e solo il costo delle bollette porta ora a un vago interesse, leggo su il manifesto a firma di Massimo De Carolis:
È ovvio che per gli Stati Uniti sia molto più rassicurante poter contare su una miriade di vassalli che su un alleato unito, che farebbe pesare il proprio interesse quanto quello dei partner. Un’Europa disunita politicamente è l’ideale per ogni amministrazione americana, almeno quanto lo è per Putin o Erdogan. Sta di fatto perciò che la politica nazionalista delle destre, decise a bloccare qualunque passo verso la costruzione di una sovranità continentale, è perfettamente congruente con l’interesse dei “poteri forti”, in campo militare come in campo economico. Se questa è l’agenda, loro ne sono gli esecutori ideali.
Il divide et impera è una strategia vecchia come il cucco, non ci piove. Contrariamente a quanto scrive De Carolis, se c’è chi ha interesse in questi decenni a un’Europa unita e non disunita, è proprio Mosca. Ovviamente nella misura in cui l’Europa operasse per una propria effettiva autonomia da far valere nei confronti degli Stati Uniti, come in una certa e contraddittoria misura è avvenuto fino a Merkel, quindi per una UE aperta e non pregiudizialmente ostile sul piano dei rapporti e degli interessi reciproci con la Russia.
Uno degli scopi precipui della guerra che si sta combattendo tra USA/NATO e Russia è proprio quello volto a impedire che tra i Paesi della UE e la Russia si mantenessero e consolidassero quel tipo di proficui rapporti, a cominciare da quelli concernenti l’energia. Ricordiamoci come fu accolta la Merkel alla Casa Bianca in rapporto alla costruzione del Nord Stream 2.
Pertanto quale sarà la politica estera di FdI? La medesima dei governi precedenti (en passant: se Di Maio ha potuto fare il ministro degli Esteri non vedo perché non potrebbe farlo un qualsiasi nostro vicino di casa). Anzi, il nuovo governo vorrà dimostrare di essere meritevole più dei precedenti del gradimento di Washington. La fedeltà al Patto Atlantico è un prerequisito, e più i governi sono sedicenti sovranisti (si voterà questo fine settimana in Lettonia, Bosnia e Bulgaria: indovinate chi vincerà?) è più sono graditi, chiunque sieda alla Casa Bianca. Non da oggi.
Poi viene il restare in Europa e mettere al primo posto gli interessi italiani (andassero a dirlo ad Amsterdam). È sicuramente un programma conservatore e nazionalista, ma è abbastanza improbabile che Meloni, data la situazione finanziaria dell’Italia, si metta nelle condizioni di subire l’ira di Bruxelles e Francoforte.
Limitare l’immigrazione istituendo un blocco navale nel Mediterraneo per impedire lo sbarco dei migranti è propaganda politica. Non diventeremo certo una terra di accoglienza per i migranti, e del resto i governi liberali hanno già realizzato ciò che l’estrema destra sognava.
Una politica familiare che favorisca la natalità è sempre stato l’auspicio di ogni governo, con quali risultati? Al massimo si arriverà ad abbassare l’iva del 22% sui pannolini, che di per sé è una cosa vergognosa (come tante altre), ma una vera e propria politica che affronti il problema demografico, che è la vera questione di questo Paese, è lontana dalla capacità e volontà della classe politica attuale nel suo insieme.
Arriveranno ad abbassare in qualche modo il livello di tassazione delle società e della media e grande borghesia, eludendo di fatto la vexata quæstio dell’evasione ed elusione fiscale (la vera cartina di tornasole del consenso elettorale). La coperta è corta, anzi, cortissima e da qualche parte (la solita) dovranno tagliare per trovare delle compensazioni in termini di gettito.
Concentriamoci sugli equilibri dei poteri a destra: la Meloni ha vinto, ma al senato non ha una maggioranza larga, anche tenuto conto che i ministri di solito non sono presenti alle votazioni. La Meloni ha davanti a sé la curva del futuro; degli altri due, Berlusconi vuole morire ancora più ridicolo di com’è vissuto fino a ieri e l’altro vuole sopravvivere anche se bruciato (quando sento pronunciare la parola “autonomia” rido: a Roma come potrebbero rinunciare alla tettona da cui succhiano ciò che li mantiene in vita?). Perciò tale alleanza di governo sarà il solito back and forth.
Un cenno alla situazione del cosiddetto centrosinistra: il Pd, come dico da quasi un decennio, è un partito estinto, esempio dell’obsolescenza del conservatorismo liberale (che è un fatto mondiale). Deve la sua salvezza solo alla forte rappresentanza proporzionale in queste elezioni, avendo vinto solo otto seggi nell’uninominale. I Verdi sono deboli (3,6%). Il resto della sinistra è in frantumi. Il Movimento Cinque Stelle non affonda, il che riflette la persistenza di uno zoccolo duro di voto per così dire antisistema. Il convitato di pietra è sempre più l’astensione.
PS: la buona musica e certi film sono tutto ciò che al momento ci salva dal delirio ordinario del mondo. A Enrico Letta, suggerisco di andare, quando farà ritorno a Parigi e in uno dei momenti di vita che sentirà vuoti, a Le Champo, a vedere Socialisme, film di Jean-Luc Godard, da poco suicidatosi. È la straordinaria odissea sulla morte dell’Europa girata su un transatlantico, la Costa Concordia. Salvo nel frattempo gli ucraini nella loro avanzata non avranno occupato la capitale francese e messo all’indice il film.
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