domenica 9 ottobre 2022

Maometto prima di diventare il Profeta

 

Parliamo un po’ del Corano, della sua origine e della violenza che si rileva nel testo. Ci sono versetti che chiedono chiaramente di uccidere i miscredenti. Vero che è necessario leggere un testo nel suo contesto, e ciò vale anche per la Bibbia, che non è un manuale dell’irenismo e della tolleranza. Tuttavia l’islam non legge il Corano nel suo contesto storico, si considera la religione più pura perché viene dopo l’ebraismo e il cristianesimo, e si è posto il compito di rettificare gli errori di questi due predecessori. La corsa verso la purezza non può che sfociare in atti d’intolleranza e violenza.

Com’è possibile che il contesto storico in cui prende forma il Corano sia ignorato da coloro che lo leggono come il proprio libro sacro? Vai a spiegare ai musulmani rigorosi del 2022 che nella famiglia di Maometto c’era un cristiano che conosceva i testi dell’ebraismo e conservava la sua religione, anche dopo la rivelazione fatta al Profeta (*). Bisogna leggere le biografie di Maometto per capire cosa è quasi certo, cosa è probabile e tutto ciò che è stato inventato dopo la sua morte.

Le altre religioni monoteiste, cristianesimo ed ebraismo, hanno la loro critica storica, ma una storia critica del primo islam, in quell’ambito religioso, non si trova. Per comprensibili ragioni storiche, il suo passato è sfuggito a un’analisi di quel tipo. C’è una storia sacra, che fantastica completamente su quel passato.

Posto che il Corano non è un testo continuo, non è una narrazione sul tipo della Bibbia, è molto complicato contestualizzarlo, perché richiede una griglia di lettura che attraversi il testo riunendo in modo omogeneo temi disseminati in più tasselli (114 sure, a loro volta suddivise in migliaia di versetti, molto spesso senza un ordine logico). Un lettore ordinario non può avere una visione storica di ciò che fu il Corano a suo tempo. Il credente oggi immagina, perché conosce l’arabo o legge una traduzione, di aver capito tutto. In realtà non capisce proprio niente, o meglio produce solo la propria meccanica lettura.

Per quanto riguarda letture più profonde, come si fa anche nelle università islamiche, quegli studiosi in genere non sanno che cosa sia effettivamente la lettura storica, la storia critica. Conoscono i testi, ma si tratta della versione sacra dei testi; invece non hanno idea di cosa sia un approccio storico-critico rivolto al passato.

È appropriato citare Wikipedia: «Date queste premesse, per i musulmani appare superflua ogni analisi filologica volta a ricostruire il contesto storico e le influenze che possono avere portato alla formazione del testo coranico, anzi, la teologia islamica è particolarmente gelosa e assertiva nel ribadire la assoluta soprannaturalità della Rivelazione, la sua perfezione, la sua unicità e la sua non limitabilità».

Gli esegeti musulmani, che contestano sia avvenuta un’evoluzione del testo coranico (la loro è un’interpretazione a-storica e senza tempo), mescolano due corpora: il corpus del Corano, che risale al VII secolo, ossia a una società tribale, e il corpus della tradizione profetica, l’hadith, che compare due secoli dopo, nelle società urbane della dimensione imperiale, che hanno bisogno di darsi un mito fondatore e che già fantasticano completamente sul loro passato.

Qualcosa del genere è accaduto tra il IV e V secolo per quanto riguarda la sistematizzazione dei testi sacri del cristianesimo, secondo le versioni trasmesse da Eusebio e dal Concilio di Nicea del 425 (**).

Si cercherà invano un approccio che riporti la ragione nella testa dei musulmani di oggi, tanto più che si tratta di un esercizio assai pericoloso, semmai tale approccio fosse accolto. Pericolo vero, non immaginario quello di correre il rischio di rinnegare il loro testo sacro e ritrovarsi accusati di apostasia. Sono persone religiose che parlano ad altre persone religiose. Anche quando credono di fare la storia della religione, in realtà fanno politica.

I musulmani di oggi usano le citazioni del passato per giustificare la violenza odierna. Per molto tempo la violenza nel mondo musulmano è stata regolata, perché i musulmani erano al potere. C’erano forti Stati musulmani. L’ultimo, che crollò all’inizio del XX secolo, fu l’Impero Ottomano. Oggi la situazione è completamente cambiata, come sappiamo, e la crisi del nazionalismo arabo, la lotta contro colonialismo e imperialismo, è trascolorata nell’ortodossia religiosa e nel fanatismo.

Si deve metter il naso nella storia, non partendo da dove sono i musulmani oggi, ma da dove erano. Il Corano è stato originariamente indirizzato a persone che non sono quelle attuali, ma erano persone che vivevano in un ambiente sociale ben diverso, quello tribale. Il discorso coranico, allora ben lungi dall’essere fissato per iscritto, che significato poteva avere tra coloro che lo ascoltavano, nella società senza libri che era l’Arabia all’inizio del VII secolo?

Nel mondo tribale, nel gruppo umano patriarcale del deserto, tutte le alleanze erano temporanee, erano alleati finché avevano interesse a esserlo, così com’era del tutto assente l’idea del martirio, di sacrificarsi in nome e per conto di dio. Erano società di sopravvivenza, quindi non giocavano a uccidersi volontariamente. Gli Osama bin Laden e gli AbBakr al-Baghddsono il prodotto di un lungo e tragico fraintendimento di base.

Anche nei circoli accademici occidentali, non molti assumono un approccio antropologico verso questo passato, anche per scarso interesse. È più spesso ricostruito il contesto strettamente filologico, le stratificazioni dei materiali che hanno dato origine al nucleo più antico del Corano, ma è rara una contestualizzazione storico-critica della nascita dell’islam arabo e poi persiano, indiano e infine mondiale. Procediamo con ordine e solo per quanto riguarda la figura simbolo dell’islam.

Come detto, il Corano ha origine nella società araba del VII secolo, che era una società tribale, fatta di piccoli numeri, dove la vita di un uomo conta. Quando perdi un figlio che hai avuto molte difficoltà a partorire, e soprattutto a crescere, in questo tipo di ambiente dove le condizioni per la sopravvivenza sono difficili, è naturale che la violenza sia regolamentata. Non perché avessero una morale superiore, ma semplicemente per essere più numerosi di altre tribù rivali.

Anche il Corano fa parte di un contesto geografico molto limitato, che è la Mecca. Dobbiamo astrarre da ciò che i musulmani dicono oggi sulla Mecca, ossia che sarebbe stata un potente centro carovaniero. Non è vero. La Mecca era all’epoca una città molto piccola, intorno a una fonte d’acqua, e senza alcuna agricoltura. Non era un’oasi, quindi le persone che ci vivevano erano sempre ai limiti della sopravvivenza.

Muhammad, che molto dopo diventerà il “Profeta”, all’inizio è un membro di una tribù come tutti gli altri. Vuole che la sua tribù giuri fedeltà al dio della città, che è la divinità del pozzo, poiché la Mecca vive solo perché c’è quel pozzo, che è quindi un luogo sacro.

Tuttavia Maometto viene cacciato, perché nella sua tribù ha uno status terribile: è orfano, sposato con una donna più anziana (quindi non è lui a comandare) e per di più in origine non ha figli, perché i suoi figli muoiono tutti (delle sue numerose mogli, solo due di esse si dice abbiano avuto figli, ma tutta la questione è controversa). Così la sua parola non è ascoltata alla Mecca, viene espulso dalla sua tribù e si rifugia a Medina, che dista 450 km.

Medina è una grande oasi, su un’importante rotta commerciale, l’antica via dell’incenso, dove sono presenti tribù arabe ed ebraiche. Tutti vivono in una buona intelligenza tribale, cioè in un sistema di alleanze. E lì, separato dalla sua tribù, può rivoltarsi contro di essa, per cercare non di vendicarsi, ma di radunarla. L’obiettivo degli uomini di allora non era quello di uccidere l’avversario, ma di radunarlo dicendo “noi siamo più forti di te, faresti meglio a metterti dalla nostra parte”.

Erano alleanze di opportunità. Quando si trovava a Medina, Maometto volle a tutti i costi ricongiungersi con la sua antica tribù, e per farlo si lanciò in dimostrazioni di forza, come si potevano fare allora: ossia con le razzie, per radunare altre tribù e moltiplicare le sue alleanze, evitando per quanto possibile di uccidere, perché se uccidi, hai la legge della rappresaglia che ricade su di te. Il suo era un ruolo politico.

La violenza coranica è di due ordini. La lotta tribale, che va decifrata storicamente e che è di violenza regolata, e le minacce escatologiche: “Brucerai all’inferno, ti succederanno tali orrori”, eccetera. Questo discorso, che si trova anche nella Bibbia, fa paura, è un discorso di superiorità, che non ha nulla a che fare con la vera violenza.

Maometto arriva a Medina, combatte per unirsi alla sua tribù, alla fine ci riesce e, alla sua morte, non c’è uno Stato musulmano, ma una confederazione tribale che si è costituita. Di questa confederazione, egli non è il leader. È un’assemblea di capi di clan e tribù che si consultano e decidono di agire in questo o in quel modo. Maometto non è mai stato un capo guerriero, questa è un’invenzione. Alla sua morte, questa confederazione, invece di sciogliersi, rimase unita e si spinse nell’Arabia centrale, che non vi faceva ancora parte.

Non c’è ancora un’espansione musulmana, bensì tribale, proveniente dall’Arabia che nessuno si aspettava, un po’ come vi fosse l’espansione mongola. Non sono usciti dall’Arabia per convertire il mondo all’islam, come si proclama oggi, ma per razziare, cioè per accumulare bottino, alla maniera tribale: arrivavano in forze nei pressi di un paese, intimano “dateci le chiavi e andrà tutto bene”, firmano un trattato, la città pagava un tributo, e loro lasciano in pace il popolo, non chiedevano di convertirsi.

Per un buon secolo non ci sono state pressioni ideologiche sulle popolazioni, e anche l’apparato economico e sociale rimase sostanzialmente immutato (in verità si tendeva a favorire un’economia basata sull’allevamento piuttosto che sull’agricoltura), i vecchi funzionari bizantini si misero al servizio dei nuovi padroni. Alla Mecca così come nella penisola arabica convivevano ebraismo, cristianesimo e paganesimo.

Così fino alla metà dell’VIII secolo, quando la dinastia abbaside rovesciò quella dei suoi lontani cugini, gli omayyadi (che alle origini avevano contrastato a lungo l’attività di Maometto). Da lì inizia l’integrazione delle popolazioni esterne.

La religione è costruita in quel momento, in una società complessa e urbana, ed è da lì che si comincia a immaginare un passato ideale, quello dell’umma, della comunità musulmana. Lo sciismo e il sunnismo sono nati in quel periodo. Paradossalmente, gli abbasidi metteranno in atto una grande società multiculturale del IX secolo, dove tutte le culture si mescolano. Tutta la storia dei rapporti locali con gli ebrei e cristiani lo dimostra (l’accordo con Federico II n’è una prova successiva, così come la convivenza nella al- Andalus, eccetera).

Si stava costruendo un modello comune, ma allo stesso tempo l’élite musulmana guarderà al passato, per dare a questa società un mito fondante. Da una parte c’erano gli intellettuali che traducevano i filosofi greci, dall’altra la conversione delle popolazioni urbane che avevano bisogno di modelli pratici. La tradizione profetica, inventata nel IX secolo, rispondeva a questa esigenza. È in questo momento che appare la sacralizzazione della figura profetica, perché altrimenti Maometto, nella sua tribù, non era un uomo sopra gli altri. Lo divenne dopo.

Sono gli uomini che si appropriano e manipolano la fede, in ogni epoca, secondo le questioni del loro tempo. E le questioni attuali sono eminentemente politiche. Perciò si manipola il passato. E ciò non vale solo per l’islam, ovviamente.

C’è un mostruoso deficit di storia. Non solo per quanto riguarda i musulmani, per ragioni storiche e altro, ma anche per quanto ci riguarda più direttamente. Non parliamo della scuola, dove i libri di testo sono un disastro su ogni genere di questione. Quella dell’islam è storia sacra e di conquista. Non si fa antropologia storica sul passato musulmano (del resto non si fa neanche con il cristianesimo e l’ebraismo). E su questo tipo di argomenti, se non lo fai, non capisci niente.

(*) Waraqa ibn Nawfal, cugino di Khadija, la prima moglie di Maometto, era un convertito al cristianesimo, un predicatore alla Mecca, morì lì come cristiano nestoriano.

(**) Per affiancare la propria organizzazione a quella romana, al cristianesimo non bastava inzuppare il pane nella ferita esistenziale, insistere sulla sofferenza ontologica sapendo che gli individui tribolati e angosciati preferiscono dar fede a un’incongrua ma consolante fandonia piuttosto che prendere atto di una solare ma disperante realtà.

Per farsi accettare come valido interlocutore dall’establishment, il cristianesimo doveva anzitutto proporre un proprio sistema di welfare alternativo a quello dell’impero irreversibilmente in crisi. Questa è la vera chiave del successo della “nuova” religione, il motivo dell’intuizione costantiniana e dell’astuta elaborazione scritturale eusebiana. Anche Wojtyla, nella Lettera apostolica novo millennio ineunte, per quanto riguarda la costruzione del mito di Gesù, parla di “complessa redazione”. Non possono non venire alla mente le celebri parole dell’Anticristo di Friedrich Nietzsche, laddove scrive che persino se si ha per l’onestà la più modesta pretesa, si deve oggi sapere che un teologo, un prete, un papa, non soltanto errano, ma mentono a ogni frase proferita.

8 commenti:


  1. Gli esordi delle due maggiori religioni monoteiste sono coperti da retorica omertosa. Non mi sono mai interessato molto dell’Islam, mentre ho letto quello che ho trovato della scarna letteratura disponibile sulla presa di potere del cristianesimo a partire dal secolo quarto (*). Il brano di Nietzsche che tu citi dovrebbe essere considerato un’ovvietà da ciascun sano di mente, mentre così non è.
    Al di là delle questioni del mondo contemporaneo, però, è assolutamente inconcepibile che la maggioranza delle persone di media o alta cultura pensi veramente che il cristianesimo costituisca la naturale continuazione della classicità, e ne abbia amorevolmente raccolto l’eredità. Mezzo millennio abbondante di regresso, con faticosa ripartenza, è attribuito genericamente alle invasioni barbariche. La mia insegnante di arte del liceo, in linea con il Pensiero Dominante, sosteneva che la inferiore capacità tecnica degli artisti medievali, evidente ai crudi occhi dei ragazzi, fosse “voluta”. La tolleranza religiosa, patrimonio della romanità, fu persino estranea alla Riforma del secolo XVI. Di tolleranza si cominciò a parlare due secoli dopo, mentre la chiesa cattolica ne ha accettato, almeno a parole, i fondamenti solo nel Novecento.
    Forse quegli altri, che tirano su il culo rivolti alla Mecca, sono anche peggio. Ma è roba analoga.
    (*) non so se hai letto questo: Giovanni Filoramo, “La croce e il potere: i cristiani da martiri a persecutori “

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    1. Di filoramo ho letto il sacro e il potere, ma non me li ricordo particolarmente. Il fatto che pubblichi anche in tandem con Augias non depone a suo favore. Comunque vedo di procurarmi il libro da te segnalato. Grazie

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    2. Io, a suo tempo, avevo seguito la tua indicazione del libro di Catherine Nixey, un po' divulgativo ma molto bello.

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  2. Grazie Olympe. una delle tappe del Potere nato col perverso accordo iniziale tra sciamani e guerrieri.

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  3. Ha centrato il punto, le religioni sono state plasmate per perseguire interessi politici, l’Islam e il Cristianesimo ne sono un esempio.
    AG

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  4. http://www.linterferenza.info/attpol/liran-sistema-mediatico-occidentale-ovvero-lufficio-stampa-comunicazione-della-nato/

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