Si era presentata come l’erede di Margaret Thatcher, ma era solo per la foto. Appena eletta, Liz Truss, la nuova inquilina di 10 Downing Street, ha tirato fuori il libretto degli assegni come mai era successo prima d’ora. Non meno di 45 miliardi di sterline (50 miliardi di euro) di tagli alle tasse per i più abbienti, diciamo pure ricchi, non compensati da nuove entrate fiscali, in nome dell’”attrattiva”.
Nel programma della Truss c’è la rimozione della fascia del 45% dalle aliquote d’imposta sul reddito, riduzione delle tasse sulle transazioni immobiliari e rimozione del tetto ai bonus bancari. I tagli alle tasse sono stati regressivi, dando al 10% più povero delle famiglie 13 sterline in più all’anno, ai redditi medio-alti 700 sterline e ai più ricchi 2.290 sterline, ma la realtà è anche peggio.
Secondo l’Institute for Fiscal Studies, “l’introduzione delle politiche e del congelamento delle tasse e dei benefici entro il 2025-26 è sostanzialmente regressivo, con i più poveri che vedono un calo del reddito del 2,8% del reddito e i più ricchi di solo l’1,1%”. Ogni anno, il divario si allarga, con i più poveri che perdono il 4,7% entro il 2030-31 e i più ricchi solo l’1,3%.
Inoltre, “il congelamento della soglia di £ 50.000 alla quale gli assegni familiari iniziano a essere ritirati ha portato il 26% delle famiglie con figli (2 milioni) a perdere alcuni o tutti gli assegni familiari, il doppio rispetto a quando la misura è stata introdotta un decennio fa”.
Insomma, nient’altro che misure a favore dei più bisognosi. Con il loro solito understatement, gli inglesi hanno definito la manovra un “mini budget”. Tuttavia nessuno, tranne loro, ha visto nulla di “mini”. I mercati finanziari hanno venduto massicciamente sterline spaventati dall’entità del dono fiscale. Sull’agonia dei fondi pensione del Regno Unito ho fatto un accenno qui.
Ed è proprio sul funzionamento di fondi d’investimento aperti (OEF) che potrebbe innescarsi una potenziale crisi per il sistema finanziario globale. Questi fondi consentono agli investitori il riscatto quotidiano dei loro investimenti mentre i fondi stessi investono in attività illiquide a lungo termine che non possono essere trasformate rapidamente in contanti, per cui le banche centrali devono intervenute durante episodi di grave stress dei mercati per fornire sostegni di liquidità ai settori finanziari, compresi questi OEF, vedi il programma di acquisto di obbligazioni da 65 miliardi di sterline avviato dalla Banca d’Inghilterra fino al 14 ottobre (e poi?).
Questi fondi sono costruiti su un inganno, come tutto del resto, ossia che puoi avere liquidità quotidiana e anche speculare sugli asset, che però fondamentalmente non sono liquidi (*).
In via generale, il Regno Unito, già duramente scosso dalla Brexit, sta mostrando tutti i segni di un’economia malata: deficit pubblico elevato, deficit commerciale massiccio, inflazione ufficiale al 10%, calo della valuta e forte aumento dei tassi d’interesse. Pertanto, le obbligazioni britanniche a dieci anni sono scambiate a un tasso d’interesse annuo del
3,7%, rispetto al 2,3% tedesco e al 2,5 francese. Come sappiamo bene noi italiani (4,6% a 10 Y), un piccolo punto di differenza rappresenta miliardi di rimborso annuo.
Il Regno Unito, lungi dal diventare più “attraente” in seguito a questi stupidi tagli alle tasse, e mentre le sue infrastrutture crollano velocemente quanto le nostre, ha perso “credibilità”, quasi pari a quei paesi poveri che spaventano gli investitori stranieri. Questa non è la prima volta, essendo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) intervenuto nel Regno Unito nel 1976, quando la situazione finanziaria del paese era altrettanto catastrofica.
Insomma, al potere ancora degli incapaci (e dio ci scampi dai “capaci”). Del resto “la teoria del gocciolamento” (poiché di questo si tratta ancora), o del trickle-down (come dicono quelli che avevano la tata inglese) ha portato più disuguaglianze, più crisi, più debito pubblico e un totale disinteresse per la sorte di tutto il resto. A forza di minare i loro servizi pubblici e in nome di una presunta “attrattiva”, non sono pochi i Paesi che si stanno avviando a capofitto verso il sottosviluppo.
Attendiamo ora degli imitatori italiani, che certamente non mancheranno, almeno nelle intenzioni (che altro è la flat-tax?). Il capitale ha messo a valore l’intera società, per la questione sociale (guerre e sanzioni comprese) deve pensarci lo Stato, naturalmente a deficit crescenti. Debito pubblico che è, da sempre, uno dei pilastri della speculazione finanziaria. Tout se tient, diceva mio nonno. Fino a quando non viene giù tutto.
(*) La natura conflittuale tra breve e lungo termine degli investimenti è una caratteristica dei mercati finanziari ed è sempre stata un fattore importante nell’amplificare gli effetti delle turbolenze finanziarie. L’inasprimento della politica monetaria più completo che si sia mai visto, farà il resto. È solo questione di tempo, poi la “colpa” sarà data alla “guerra” e non al capitalismo.
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