venerdì 21 ottobre 2022

Pensate non c’entri con l’aumento delle bollette?

 

I media ci torturano con le intemerate di un anziano in preda a un imponente scarico di ego troppo a lungo represso (come sapevano gli antichi, la pazzia porta a dire anche cose sgradevoli da sentire e che l’ipocrisia e la convenienza altrimenti tacciono), e c’intrattengono trepidanti di conoscere la lista dei ministri e della solita pletora di sottosegretari del nuovo governo. Intanto altri eventi accadono nel mondo, confermano il nudo potere del capitale finanziario e il modo in cui esercita la sua dittatura (in tal caso nessuno canta Bella ciao).

Partiamo da cose che sembrano distanti dal nostro quotidiano anni luce.

L’offensiva contro il programma Truss è stato avviata non appena è stato annunciato il cosiddetto mini budget, cioè il taglio delle imposte per i ceti più abbienti. Il valore della sterlina rispetto al dollaro USA è crollato e i titoli di Stato sono stati svenduti, creando il pericolo di un crollo dei fondi pensione e minacciando una grave crisi per il Regno Unito e il sistema finanziario globale.

L’obiezione dei mercati monetari verteva sul fatto che quei tagli non sono finanziati con tagli alla spesa ma con un aumento del debito pubblico per oltre 70 miliardi di sterline.

Il cancelliere dello Scacchiere (ministro delle finanze) Jeremy Hunt, nominato venerdì scorso dopo aver rimosso Kwasi Kwarteng dall’incarico, non solo ha annunciato l’annullamento dei tagli alle tasse, ma ha iniziato a tagliare la spesa pubblica, riducendo per lo più in modo significativo la durata degli sgravi energetici da due anni a soli sei mesi. Ha avvertito che sarebbero arrivate decisioni “stranamente difficili” per ripristinare la “stabilità economica”. Niente sarà “fuori mercato”, il che significa che pensioni, salute, istruzione e altri servizi sociali sono immediatamente in prima linea.

Sebbene gli eventi nel Regno Unito abbiano le loro peculiarità nazionali, non sono semplicemente il risultato di condizioni “britanniche”. Le peculiarità nazionali sono sempre una combinazione originale delle caratteristiche di base dei processi globali, e i segni di stress finanziario emergono in tutto il mondo.

Le origini delle turbolenze finanziarie possono essere fatte risalire a molto tempo fa, almeno alla sospensione della convertibilità aurea dal dollaro USA nell’agosto 1971 e al passaggio a un sistema di valuta fiat globale. Poi un punto di svolta chiave è stato il crollo finanziario dell’ottobre 1987, con il più grande calo borsistico giornaliero della storia.

L’allora presidente della Federal Reserve statunitense, Alan Greenspan, impegnò la Fed a fornire al mercato azionario tutta la liquidità di cui aveva bisogno. La “put di Greenspan”, come divenne nota, agiva come una forma di assicurazione contro le perdite, simile a una normale opzione di vendita. Era una garanzia per il mercato finanziario che ogni volta che le sue attività speculative producevano una crisi, la Fed era a disposizione per salvarla e fornire più denaro con cui finanziare nuovi livelli di speculazione.

Allo stesso tempo, i regolamenti introdotti in risposta alla Grande Depressione degli anni ‘30 furono demoliti. Le azioni della Fed, spesso prese per scongiurare una potenziale crisi, hanno solo creato le condizioni per un disastro ancora più grande scoppiato nella crisi finanziaria globale del 2008. La risposta della Fed è stata quella di aumentare ulteriormente l’offerta di denaro.

Questa è stata la risposta della Fed a ogni tempesta finanziaria negli anni ‘90 e nei primi decenni del nuovo secolo. A Ben Bernanke, successore di Greenspan quale presidente della Federal Reserve, dal 2006 al 2014, è stato assegnato quest’anno il Nobel per l’economia proprio per questo motivo: soldi pubblici per salvare speculatori, società e banche che avevano speculato a rotta di collo, e favorire la continuità del gioco.

Il capitalismo, in primo luogo quello statunitense, ha trovato il modo per risolvere le sue crisi finanziarie. Così si pensava e continua a sperare.

Ben Bernanke, avviava il programma di quantitative easing (QE) in cui le banche centrali acquistavano il debito pubblico per mantenere i tassi di interesse ai minimi storici, portando alla creazione di una montagna di debito e capitale fittizio, che si riflette nell’ascesa di Wall Street a livelli record dopo aver raggiunto il suo punto più basso nel marzo 2009.

Ciò che è successo nel marzo 2020 è noto. Per diversi giorni, nemmeno il debito pubblico statunitense, presumibilmente l’attività finanziaria più sicura al mondo, è riuscito trova un acquirente. La Fed e altre banche centrali hanno risposto con un programma di QE agli steroidi. La sola Fed ha più che raddoppiato le sue disponibilità di attività finanziarie, quasi da un giorno all’altro, da 4 trilioni a quasi 9 trilioni, ed è diventata il garante di tutte le forme di debito, governativo e aziendale. Si stima che l’importo totale immesso nel sistema finanziario dalle banche centrali sia stato di circa 13.000 miliardi di dollari.

Queste misure, varate per proteggere Wall Street e “salvare” il sistema finanziario, non hanno reso immune il sistema da una nuova crisi. Una crisi della catena di approvvigionamento, insieme alla speculazione su tutte le attività finanziarie, comprese le materie prime, derivante dall’afflusso di migliaia di miliardi dalle banche centrali e dai profitti da parte delle principali società, ha innescato il tasso d’inflazione più alto degli ultimi quattro decenni.

Le misure di QE del passato potevano funzionare perché l’inflazione era bassa, sotto il 2 per cento, portando i salari ai minimi storici in tutto il mondo e all’aumento dell’estorsione di plusvalore. La situazione ora è cambiata radicalmente, esacerbata dalla guerra USA- NATO contro la Russia in Ucraina.

Ciò sta producendo un importante cambiamento nella politica monetaria delle banche centrali, guidate dalla Fed statunitense, poiché i tassi d’interesse sono continuamente in aumento. Il nuovo regime è imposto all’insegna della “lotta all’inflazione”. L’obiettivo dichiarato è provocare una recessione, che è già sull’uscio. Ma anche questa strategia si scontra con un movimento opposto, infatti la recessione restringe la quota di plusvalore di cui si nutre il capitale finanziario come un vampiro.

L’entità e la profondità della crisi e della guerra di classe che sarà scatenata è indicata dal fatto che il debito globale, governativo e aziendale, è ora calcolato essere oltre il 350 per cento del PIL globale, ossia circa 300.000 miliardi. La richiesta del capitale finanziario è che quote di plusvalore devono essere sottratte soprattutto ai soliti noti, dunque dai salari, con l’aumento delle tariffe e tagli alla spesa sociale. Forse Mario Draghi questa cosa a Giorgia Meloni non l’ha detta e ha lasciato ad altri il compito di farlo. E forse voi, cari lettori, pensate non c’entri con l’aumento delle bollette o quando, dio non voglia, perderete il vostro lavoro?


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