lunedì 20 luglio 2020

Il pluslavoro di una testa di legno


Mi viene precisato che quello che nel post chiamo “il signor Ferragni” in realtà è una giovane signora maritata con un cantante, Fedez. Le mie scuse ai lettori e agli interessati per la mia sciatta dabbenaggine.


Mi è stata segnalata una cosetta scritta da Christian Raimo, “insegnante, giornalista e scrittore italiano”. Se come insegnante a scuola dovesse parlare della teoria marxiana del plusvalore, speriamo non ripeta le stesse cazzate che scrive sui social, sull’esempio di questa perla:

«La questione Ferragni-Uffizi si può leggere in tanti modi diversi. A me interessa leggerla in senso socialista e cavarci qualche riflessione in più.
Ferragni e il management degli Uffizi da una parte semplicemente si prendono un plusvalore che estratto dal pluslavoro di altre persone, e dall’altra non hanno idea di come dare valore al loro bene se non pensando che sia una rendita. Comodo, il capitalismo dell’arte».

Ferragni ho dovuto farmi spiegare chi è, ma questa è una mia lacuna. Lascio perdere il “senso socialista” cui allude il signor Raimo, e soprassiedo anche sulla sintassi del professore (i tempi sono quello che sono). Vengo al dunque:

“il management degli Uffizi” non si “prende un plusvalore che estratto dal pluslavoro di altre persone”, per il semplice motivo che i lavoratori dei servizi, per quanto utili e indefessamente laboriosi, non producono una stilla di pluslavoro produttivo di valore (anche quando i musei registrano un aumento degli utili), dunque nemmeno un atomo di plusvalore. Per quale motivo?

Per un semplice motivo: solo il lavoro che si scambia con capitale può diventare produttivo e perciò trasformarsi in nuovo valore. Perciò in Marx è fondamentale la distinzione dei concetti di “lavoro” e “forza-lavoro”, così come quella tra lavoro produttivo e improduttivo. Il progettista di una casa compie un lavoro produttivo, per quanto non si sporchi di malta e sulle sue mani non compaiano calli da muratore. Il lavoro di un chirurgo, per quanto possa risultare utile se non combina cazzate, scambiandosi con reddito e non con capitale, non produce alcun valore. Scrive al riguardo Marx:

«Smith aveva sostanzialmente ragione col suo lavoro produttivo e improduttivo, ragione dal punto di vista dell’economia borghese. Ciò che gli viene contrapposto dagli altri economisti è o sproloquio (per esmpio Storch, Senior ancor più pidocchiosamente), e cioè che ogni azione produce comunque degli effetti, per cui essi fanno confusione tra il prodotto nel suo senso naturale e in quello economico; secondo questo criterio anche un briccone è un lavoratore produttivo poiché, mediatamente produce libri di diritto criminale; (per lo meno questo ragionamento è altrettanto giusto per cui un giudice viene chiamato lavoratore produttivo perché protegge dal furto). Oppure gli economisti moderni si sono trasformati a tal punto in sicofanti del borghese da volerlo convincere che è lavoro produttivo se uno gli cerca i pidocchi in testa o gli sfrega l’uccello, giacché quest’ultimo movimento gli terrà più chiaro il testone — testa di legno — il giorno dopo in ufficio» (Grundrisse, MEOC, XXIX, p. 203).

Il semplice passaggio di denaro da una persona ad un’altra, non implica che l’una diventi ipso facto un capitalista e l’altra un salariato. Il semplice trasferimento di denaro, di ricchezza, non dà luogo ad un incremento della massa di nuovo valore. Neanche nel caso il signor Ferragni diventasse multimiliardario.

Comodo tirare in ballo il “plusvalore” alla cazzo di cane come fa Christian Raimo.

Per chi volesse sapere che cos’è esattamente il “plusvalore” (quello che impropriamente la coglionaggine borghese chiama “valore aggiunto”) e non volesse prendersi la briga di leggere tutta la Bibbia ma solo un paio di versetti, può leggere queste mie ormai antiche volgarizzazioni: qui e qui.

10 commenti:

  1. supponiamo che un imprenditore investa un certo capitale in una clinica privata, compri dei macchinari e assuma dei medici, degli infermieri e degli impiegati. Lei sta sostenendo che i dipendenti della clinica sarebbero lavoratori improduttivi ?

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    1. non bisogna dare una connotazione negativa alla locuzione lavoro improduttivo (di nuovo valore) e positiva a quella di lavoro produttivo.

      le dirò di più, quel personale, utilissimo, non solo non produce nuovo valore (plusvalore), ma consuma ricchezza nell'impiego di materiali e attrezzature necessarie per operare.

      Il fatto che il proprietario della clinica aumenti il proprio utile monetario, non lo fa diventare un capitalista, così come non è un capitalista un proprietario fondiario o un immobiliarista o uno speculatore di borsa.

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    2. Scusa, ma quello che dici mi sembra in contraddizione con il passo del Capitale che citi nel primo dei due post linkati. Lì si parla di imprenditori scolastici, ma non vedo differenza concettuale.

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    3. effettivamente hai ragione, lì è investito del capitale così come nella clinica privata. ad ogni modo nei servizi sanitari dove non è investito capitale (che è cosa diversa dal semplice investimento monetario di stato e regioni), così come in tutti gli altri servizi alla persona, non viene prodotto alcun plusvalore.

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  2. Non pare così semplice la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo oggi.
    Approssimativamente il comparto del lavoro pubblico lo possiamo mettere sotto il cappello del lavoro improduttivo, escludendo il caso di aziende pubbliche che producano merci vendibili per il mercato.
    Ma i lavoratori del terziario privato, che nei paesi a maggior sviluppo è il comparto del prodotto interno lordo più ampio, siamo generalmente sopra il 70% del PIL, è complicato definirli improduttivi, dato che fanno guadagnare un profitto ai proprietari delle aziende dei servizi.
    Nei servizi allora, il proprietario dell'azienda privata da dove prende il suo utile monetario? Uno può dire che l'utile lo crea il mercato, cioè la distribuzione, a differenza del caso della produzione di merci dove il plusvalore, quindi il profitto collegato, è creato lato produzione.
    Ma allora ci sono due modi del guadagno delle aziende private?
    Uno basato sul plusvalore nella produzione di merci e un altro creato dalla distribuzione nell'offerta di servizi?
    Questo confonde un pò quando si vuole definire un'economia "capitalista", se ho capito i termini della questione.
    Saluti,
    Carlo.

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    1. Io lo vado dicendo da tempo, suscitando la tua insofferenza, Olympe. L’area di applicazione della teoria del plusvalore si va restringendo, principalmente a causa di due fenomeni: la prevalenza del settore dei servizi (incluso lo Stato) e l’avanzare dell’automazione (*). Una regola può anche essere ben formulata, ma se si applica a una frazione poco significativa dell’economia diventa anch’essa poco significativa.
      (*) Se faccio svolgere alla macchina un’attività che prima era svolta dall’uomo, a mio parere quella porzione di capitale fisso diventa variabile.

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    2. rispondo a te e quindi anche a Carlo qui sotto:
      le macchine non producono plusvalore, cedono il proprio valore alle merci pro quota.
      quanto al capitale fisso (che bisognerebbe però distinguere da quello circolante) non diventa variabile in alcun modo.

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  3. Ciao,
    sul discorso completa automazione e merci non sono così d'accordo se rimaniamo nella teoria marxista.
    Se ipotizziamo che fosse possibile ad un certo punto che tutto il lavoro riguardante le merci fosse fatto solo da macchine, cosa difficile da credere anche nel prossimo futuro dato che il lavoro nel campo merci non è solo quello dell'operaio ma ci sono tecnici,progettisti vari e altre figure nel processo produttivo, le macchine comunque rimangono capitale costante come prima, non è cambiata la loro proprietà di essere macchina.
    L'azienda che per prima arrivasse a produrre merci solo con macchine avrebbe certo un ritorno molto positivo dal mercato perché risparmiando sul lavoro umano batterebbe le altre aziende guadagnando un sovraprofitto.
    Ma per la concorrenza, il fattore fondamentale nel riparto del plusvalore complessivo, anche altre aziende farebbero poi lo stesso e quindi la prima non avrebbe più sovraprofitto ma si abbasserebbe il tutto rendendo evidente che grazie alla concorrenza rimarrebbe il solo capitale costante come componente del processo produttivo, capitale costante che non dà nuovo valore ma trasmette solo la sua parte di valore consumato nel processo.
    A meno di voler dimostrare che è il mercato, cioè la distribuzione, a creare nuovo valore.
    Ma questo vorrebbe dire che lo scambio di merci sarebbe sempre squilibrato e non fatto tra equivalenti, ma Marx sosteneva a ragione che nel mercato se un produttore guadagna da una parte nella vendita della sua merce, perde dall'altra nel comprare un'altra merce, dato che la logica della non equivalenza dello scambio vale per tutti gli scambi.
    Ergo non ci sarebbe complessivamente creazione di nuovo valore. Quindi si può rifiutare la teoria di Marx in toto, ma credo che poi si rimanga con ben poco per capire bene l'economia, le crisi e tutto il resto. Rimane solo una qualche teoria economica basata sul soggettivismo psicologico tipo quella della scuola austriaca, che non spiega nulla o quasi sulle crisi economiche e che in pratica fa creare il valore dal nulla, tipo Dio che creò il mondo e così via.
    Ci sono difficoltà in tutte le teorie, ma se si butta la teoria marxista a mio parere si ha in alternativa niente che spieghi realmente come funziona l'economia capitalista.
    Saluti,
    Carlo.

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    1. nessuna difficoltà Carlo, in Marx c'è tuttoe in modo chiaro. in un commento qui sopra ho preso un abbaglio, si tratta di vecchiaia che avanza. nei due link segnalati c'è tutto e in maniera esatta.
      cari saluti

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  4. Marx è chiarissimo, parla però della produzione di merci.
    La difficoltà che hanno molti è riportare la logica del calcolo del plusvalore della produzione di merci nel settore dei servizi, dove non sono prodotte merci ma appunto offerti dei servizi.
    E' tutto qui il busillis, credo.
    Grazie dell'attenzione e saluti,
    Carlo.

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