domenica 19 luglio 2020

Il peggior inquinamento atmosferico nella storia europea



Il 5 dicembre calava sulla città una fitta coltre di nebbia, nell’indifferenza degli abitanti, abituati a nebbioni e muri di smog che potevano durare anche per settimane. Nei giorni successivi, però, le condizioni peggiorarono rapidamente: la visibilità si ridusse a pochi metri in molte parti della città costringendo le autorità a chiudere scuole, teatri e cinema, e spinse la cittadinanza a rinchiudersi in casa. Il servizio degli autobus fu sospeso e i voli soppressi, aumentarono gli incidenti stradali e anche i crimini.

La densa nebbia e lo smog (fog and smoke) favorirono il formarsi del cosiddetto particolato, l’insieme di sostanze inquinanti organiche e inorganiche sospese nell’aria in grado di penetrare i tessuti polmonari, causando gravi danni alle vie respiratorie. Nella fattispecie si trattò dell’anidride solforosa (biossido di zolfo, SO2), un gas derivante dalla combustione di carbone fossile o petrolio greggio, che di per sé determina effetti a carico dell’apparato respiratorio come tracheiti, bronchiti, polmoniti. L’anidride solforosa è anche un gas fortemente igroscopico, cioè si ossida reagendo con l’aria umida, dunque con l’acqua, ed infatti produce SO3, cioè acido solforico, principale responsabile delle piogge acide.

La combinazione di queste sostanze con la forte presenza di nebbia provocò il peggior evento d’inquinamento atmosferico nella storia europea, con più di 12mila morti di tutte le età, 150mila ricoverati in ospedale, cui vanno aggiunti oltre 100mila malati cronici.

Tutto ciò accadde a Londra, nel 1952.

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Non vi sono solo gli ossidi di zolfo presenti in atmosfera a dare problemi ai nostri polmoni. Provo a dare una (molto) schematica illustrazione della diversa azione del biossido di carbonio, ossia la comune anidride carbonica, e il monossido di carbonio nel nostro organismo. La molecola del primo è composta, come dice il nome, da due atomi di ossigeno e uno di carbonio. La molecola del secondo è composta in un solo atomo di ossigeno e uno di carbonio.

Durante l’inspirazione l’aria contenente ossigeno passa per le vie respiratorie per arrivare ai polmoni. Nei polmoni si verifica uno scambio gassoso nel corso del quale l’aria cede ossigeno al sangue e questi cede anidride carbonica, prodotta dalla combustione a livello cellulare, all’aria, cioè rimettendola all’ambiente esterno.

Questo scambio avviene grazie all’azione dei globuli rossi (eritrociti), una sorta di sacchetto che trasporta l’emoglobina, una proteina specializzata nel trasporto di ossigeno, composta da quattro catene proteiche. Ogni catena contiene al centro un atomo di ferro (ferro eme o ferro emico) allo stato di ossidazione di ione ferroso (Fe2+). Questi gioca un ruolo fondamentale poiché è recettore dell’ossigeno (come insegna la comune esperienza solo nello stato di ossidazione il ferro può legare l’ossigeno).

L’ossigeno legato allo ione di ferro presente nell’emoglobina in tal modo trapassa l’alveolo polmonare e arriva in corrispondenza del flusso sanguigno.

Si tratta di un legame “debole”, infatti l’emoglobina (tramite un amminoacido, l’istidina) rilascia rapidamente l’ossigeno trasportato e lo scarica tutto nei tessuti quando ce n’è bisogno. In questo modo i globuli rossi, scaricato l’ossigeno, si rendono disponibili per un nuovo “trasporto”.

Oltre al suo compito fondamentale di trasportare l’ossigeno attraverso il sangue, l’emoglobina può legare e trasportare anche altre molecole come l’ossido nitrico NO, il monossido di carbonio CO e il cianuro CN.

Qui ci interessa l’azione del monossido di carbonio, in genere prodotto dalla combustione, per esempio in una stufa o in un braciere. Il monossido di carbonio svolge un’azione antagonista rispetto all’ossigeno. Quando è inspirato, il suo legame con lo ione di ferro è 10 volte più forte di quanto avviene con l’ossigeno. Avvelena l’emoglobina e restando attaccato al globulo rosso non lo rende più disponibile al trasporto dell’ossigeno.

Ecco perché un soggetto, in cui l’avvelenamento da monossido di carbonio ha raggiunto un livello importante, non basta portarlo all’aria aperta per recuperarlo alle normali funzioni respiratorie e salvarlo dalla morte. In tal caso è necessaria la camera iperbarica, sempre se si arriva in tempo.

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