giovedì 30 luglio 2020

Il paese dei campanelli



A riguardo dell’editoriale di Ernesto Galli sul tema dei giovani delle periferie, sul Giornale si legge: “L’editoriale scritto e pubblicato su Il Corriere è infarcito di luoghi comuni che non hanno senso”. Perché si tratti di truismi che non hanno senso Enzo Boldi non lo spiega nemmeno con mezza parola.

Invece sul Secolo, Riccardo Arbusti, scrive a difesa di Galli: “Colpevole di cosa? Di avere scritto un editoriale sul Corriere della sera in cui denuncia il fatto che nessuno si occupa più del tema periferie (molto sbandierato in campagna elettorale ma poi sempre archiviato)”.

Poi prosegue: “Ricapitolando: fino a ieri dal Fatto a Repubblica a La Stampa fioccavano titoloni allarmati sulla movida senza regole e mascherine che ci metteva tutti a rischio. Si invocavano rigidi controlli e multe severe. Ma gli intellettuali mainstream possono dirlo. Uno storico liberalconservatore come Ernesto Galli della Loggia invece deve tacere. Questa sì che è coerenza. Del resto la gauche caviar  ama il caos e la sregolatezza, ingredienti essenziali di un’esistenza creativa e permissiva”.

Insomma, anche in questo caso la minestrina sulla gauche caviar che ci scodellano da decenni. Nel castello stregato dell’ideologia ci si contrappone, ma è solo un gioco degli specchi. C’è chi demonizza e chi vuole addomesticare i nuovi “mostri”.

Che cosa ha fagocitato negli ultimi tre-quattro decenni l’intera formazione sociale? C’è stato qualcosa che ha piegato ai suoi bisogni ogni interstizio della società costruendo una formazione sociale sui generis, stabilendo il suo dominio reale totale? Come vogliamo chiamarlo questo “qualcosa”? Ah, già nella definizione/identificazione del nome comincia il problema.

Forse non ci siamo accorti che l’elemento caratterizzante di questo dominio reale totale è la nuova qualità dei rapporti sociali. Non c’è “più in nulla la vecchia lotta di classe con al centro il protagonismo degli operai” si duole il liberaldemocratico Galli. Che peccato, sarebbe bastato mandare i celerini al bisogno.

Così com’è venuta a rivoluzionarsi la sfera della produzione e del consumo, così come la società si è informatizzata, in modo isomorfo e continuo si è modificato profondamente e qualitativamente tutto il resto. Tanto che non esistono più le stesse periferie d’un tempo a dimensione prevalentemente operaia, una classe che si poteva facilmente catalogare per mentalità, gusti, morale, ecc.. In una parola per una determinata “coscienza”.

“Dietro tale conflitto c’è la drammatica condizione di disagio, di diseguaglianza di standard socio-culturali, che colpisce chi vive nelle periferie”. Ebbene, caro professore, anche nelle periferie di un tempo si ravvisavano diseguaglianze stridenti rispetto ai quartieri chic o anche solo medio borghesi, ovviamente anche per quanto riguardava gli standard socio-culturali.

È sotto la luce del sole che è avvenuta una trasformazione ideologica radicale. Se nelle precedenti fasi dello sviluppo capitalistico le forme della coscienza si producevano spontaneamente, naturalmente, oggi al capitale non interessa più la riproduzione e formazione di proletari dei quali in gran parte non ha più bisogno, se non come potenziali clienti e consumatori.

I costi sociali, anche in termini monetari, sono a carico dello Stato, ma questi non è un corpo neutrale. Frega nulla delle periferie, tutto è periferico rispetto al potere. Capisco che i nuovi proletari siano indisciplinati, a volte violenti, e che invece di manifestare contro la guerra in Vietnam Siria vengano invece a sputare sui campanelli sotto  casa sua. Tuttavia ciò è inevitabile, ma si rassereni poiché tanto a pulire non sarà lei.

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