Scrive un noto quotidiano di
opposizione e di protesta: “Ecco i nuovi
schiavi del lavoro a mille euro”. Come dire che il metro con cui misurare
la schiavitù è il salario, e sei considerato uno schiavo solo se il tuo salario
è inferiore alla media. Come se la prostituzione fosse tale solo se il
prezzo della marchetta è basso. Se il prezzo del meretricio è adeguato, in
linea con i parametri contrattuali approvati dalla CGIA di Mestre, allora non si tratta più di
prostituzione. Così uno che intorta i pensionati da mane a sera vendendo titoli
tossici, se adeguatamente retribuito, ha diritto a far parte della categoria
dei galantuomini. Sono questi i modi e le forme con cui si costruisce il senso
comune, e dio solo sa quanto peso abbia il senso comune nella percezione delle
cose e nella relativa ideologia.
lunedì 31 marzo 2014
domenica 30 marzo 2014
Quando la colpa è sempre degli altri
Eugenio Scalfari rammenta oggi i famosi
“lacci e lacciuoli” ai quali alludeva il governatore della banca d’Italia Guido
Carli in un’epoca che a noi ormai appare remotissima per molti motivi, non solo
anagrafici e nostalgici. Scrive:
Il sindacato operaio di quell’epoca non rientrava affatto nell’elenco
delle lobby; rappresentava la classe operaia, i suoi interessi e i suoi valori,
ma essi non erano affatto contrari a quelli dello Stato. Luciano Lama nei
momenti di difficoltà economica gestiva una politica di moderazione salariale e
la stessa politica fu anche quella di Berlinguer e di Giorgio Amendola. La
moderazione salariale dei sindacati fu riconosciuta più volte nelle relazioni
dei governatori della Banca d’Italia, a cominciare addirittura da Menichella e
poi da Carli, da Baffi e da Ciampi.
Avevano ragione loro, i Luciano
Lama, i Berlinguer e i Giorgio Amendola? Il quadro internazionale era ciò che
era, e pesava in modo determinante nelle scelte strategiche, ma per quanto
riguarda quelle tattiche? Il tintinnar di sciabole, poi le bombe nelle banche,
sui treni e nelle piazze rammentavano nel sangue non solo la sovranità limitata
ma anche il fatto che se talvolta la classe dominante si dimostra disponibile a
rinunciare a qualcosa è solo per procurarsi l’alleanza delle altre classi, fin quando il gioco gli riesce e poi invece
passa alle maniere forti. È in questo modo che la borghesia intende le
libertà pubbliche, ossia come una transazione continua tra interessi diversi
dove il suo prevale sempre, costi quel
che costi (agli altri).
sabato 29 marzo 2014
Non c’è da scommettere un euro
Il parlamento, eletto con una
legge elettorale dichiarata illegittima in alcuni suoi aspetti essenziali dalla
Corte costituzione, si appresta – parole del presidente del consiglio e capo
del maggiore partito politico – a varare una riforma costituzionale “storica”.
Non è poi casuale che l’Italia sia il paese europeo che abbia modificato più
spesso la propria legge elettorale. Né è casuale che nelle classifiche sulla
libertà d’informazione l’Italia è l’unico paese dell’Europa occidentale
indicato come “semi libero” (report Freedom House), cosa che dovrebbe far
vergognare qualunque giornalista della cosiddetta “grande” stampa nostrana. Figurati.
Per quale motivo dovremmo ancora
aver fiducia di un sistema del genere? Per quale motivo dovremmo ancora credere
possibile di cambiare qualche cosa attraverso questo genere di sistema e le sue
istituzioni? È a questa domanda che il movimento 5S non risponde, se non con
frasi come quelle del suo leader, il quale ha sostenuto che senza il 5S “qui
sarebbe arrivata Alba dorata”. E in caso arrivasse Alba dorata che cosa
cambierebbe? Non s’era detto che destra e sinistra non esistono più? Ma quelli sono
fascisti. E voi che cosa siete oggettivamente, non s’è ancora ben capito, a parte il
fatto che vi autodefinite né di destra né di sinistra. Siete contro l’attuale sistema ma ne fate parte, sia pure come
opposizione, e siete stipendiati da questo sistema per fare ciò che vi consente
di fare. Siete utili alla manovra!
venerdì 28 marzo 2014
Il dio vero
Il dio straniero è stato in
visita dal demiurgo di quel padreterno che ha creato cento miliardi di galassie
per il gioco degli astronomi, quello stesso falso dio precipitato nella polvere
da quando l’umanità ha scoperto l’unico dio vero, quello che le fa sognare la
felicità hic et nunc: il denaro.
Leggo che al ricevimento in
chiesa c’erano circa cinquecento di quegli osceni mantenuti che non fanno nulla
per migliorare se stessi, ritenendosi già perfetti, e non possono fare nulla
per migliorare il resto perché sono solo delle furbe marionette oziose in
fiera. Se vedessero con i loro occhi le sofferenze e le ristrettezze nelle
quali è precipitata molta gente, forse alcuni di loro resterebbero rattristati;
solo che non le vedono perché sono distanti ed estranei alla vita comune.
*
Dov’è la differenza ?
Nel XVIII secolo, il maresciallo
di Saxe a Chambord aveva due tavole apparecchiate tutti i giorni, l’una di
sessanta e l’altra di ottanta coperti, e quattrocento cavalli nelle scuderie e
tutto un reggimento di ulani quali guardia del corpo.
Nei giorni scorsi abbiamo letto la
notizia, che riportava i risultati di uno studio, secondo cui le cinque più
ricche famiglie britanniche hanno più soldi del 20% della popolazione del Regno
Unito, quella a più basso reddito, cioè 12,6 milioni di persone.
Dov’è la differenza tra l’antico e
l’odierno? L’antico sfarzo dalla nobiltà oggi raramente viene esibito dalla
borghesia, quella vera, la quale è in genere più sobria nelle apparenze e
comunque preferisce tenere celata la propria vita privata se non altro per
motivi di sicurezza. Non ha bisogno del reggimento di ulani, bastano pochi
addetti e al resto ci pensa lo Stato con i soldi dei contribuenti. E non ha più
bisogno di centinaia di domestici, ne bastano poche decine, e per il resto preferisce
lucrare sul lavoro di migliaia di schiavi nelle fabbriche e nel commercio.
*
giovedì 27 marzo 2014
Il paese di Arlecchino e di Pinocchio
«A differenza di quanto sostenuto da alcuni commentatori, per ridurre l’alto
debito pubblico dell’Italia non sarebbero necessarie manovre correttive da 40–50
miliardi di euro l’anno, non sarebbe richiesto mantenere un orientamento
permanentemente restrittivo alla politica del bilancio».
Ricordiamocele queste parole dell’ennesimo
illusionista, nella fattispecie quelle del governatore della Banca d’Italia, tenendo
presente che la regola sul debito pubblico, che sarà applicata all’Italia nel
2016, richiede una riduzione media annua del suo rapporto rispetto al Pil pari
a circa un ventesimo della parte che eccede il limite del 60 per cento (com'è noto oggi navighiamo ben oltre queste colonne d'Ercole, siamo al 132%).
mercoledì 26 marzo 2014
Di ieri e di oggi
Il premio Nobel per la pace è
riuscito a ricondurci alla guerra fredda, dicendoci che il cattivo indiano che
ha rotto i patti uscendo dalla sua riserva è Putin. E per dimostrarci la sua supériorité dédaigneuse ha tolto un
posto a tavola. E dice che ci venderà lui il gas per scaldarci, in comode rate.
E nessuno che abbia nulla da ridire su questo suo disperato amore per la
democrazia. Non può essere solo decadenza, e dobbiamo incrociare le dita perché
non si trasformi, come minaccia il Nobel, in un tramonto di sangue. Di più
nessuno sembra voler fare.
*
martedì 25 marzo 2014
Per quale motivo?
Che dire di un paese dove il 98
per cento della popolazione non parla la lingua ufficiale e solo il 10 per
cento la comprende? È una nazione, questa? Era il Regno del 1861. Fatta l’Italia,
si disse, restano da imbastire gli italiani. La classe padronale e dirigente di
allora non aveva alcun interesse a promuovere alcuna riforma in tal senso, ossia
di creare le condizioni economiche e sociali per un’effettiva emancipazione di
massa (se non nel momento di più forte espansione economica e laddove serviva
una manodopera con un minimo d’istruzione), indi trasformare dei sudditi in
cittadini con pieni e ampi diritti, perché ciò costituiva minaccia esiziale sul
piano del potere e dei privilegi. Le classi dirigenti della repubblica – in
parte già fasciste e comunque sempre intrise di clericalismo e idealismo
crociano – hanno invece dovuto aprire su questa strada perché incalzate dalle
necessità dello sviluppo economico, ma sempre con precauzione e controllo, temendo
piuttosto che favorendo una cultura di massa (che se non è una cultura critica
non è buona cultura).
In buona sostanza la questione
dell’alfabetizzazione è stata e in buona misura continua ad essere una delle
questioni decisive dei problemi secolari dell’Italia. Senza un’adeguata preparazione
culturale non c’è modo di rendere effettivi certi principi di cittadinanza, e
difatti ne vediamo gli esiti disastrosi anche dal lato della scelta politica e
di molti altri comportamenti. Ci possiamo poi meravigliare se il complesso
politico amministrativo di quello stesso paese è sempre stato un palazzo di
Kafka, e dunque se in 153 anni si sono succeduti ben 128 governi, ossia, mediamente,
fatta la tara del ventennio fascista, un governo all’anno con punte di tre gabinetti
in pochi mesi?
*
lunedì 24 marzo 2014
Divagazioni marzoline
Noi vediamo oggi come il mondo
nonostante i grandiosi progressi scientifici, tecnologici e della democrazia,
sia rimasto sostanzialmente un grande mercato della carne umana. Ogni giorno
possiamo verificare come sia offerta, venduta, acquistata e rifiutata come una
qualsiasi altra merce. Anzi, nelle condizioni peggiori di qualsiasi altra
merce, perché delle altre se non altro chi le possiede ha cura che si
mantengano in buono stato. La carne umana invece è l’unica merce che deve
occuparsi per se stessa della propria conservazione per avere chance di potersi
vendere a un acquirente.
Essa può essere acquistata al
minuto e dopo l’uso abbandonata al suo destino, prova ne siano le decine di
tipologie contrattuali alle quali è sottoposta per il proprio spaccio. E ciò
nella migliore delle ipotesi, che non è poi la situazione di molti luoghi del
mondo. L’unica vera condizione per il suo acquisto e il suo impiego – al pari
delle altre merci – è il suo prezzo, determinato anch’esso dal mercato, ossia
in base al necessario per riprodurre – secondo il paese – quella stessa merce
umana.
Loro non le pagano di sicuro
Se il debito pubblico fosse la metà
di quello che è ora, in quindici anni riuscirebbero a riportarlo allo stesso
livello di adesso. Non è una battuta, rispecchia l’andamento del debito dal
2008 a oggi, pur con i tagli di spesa dei servizi, delle pensioni e dei salari
pubblici. Eppure a governare l’economia di questo paese si sono succeduti – a
sentire molti – gli ingegni più creativi e i tecnici più brillanti. Al servizio
di chi?
domenica 23 marzo 2014
Stalinisti, crociani, americanisti, liberisti: antimarxisti
Scrive Scalfari:
Questo è stato il lascito di Berlinguer. Come e perché questa eredità
politica sia poi entrata in crisi è un altro discorso che riguarda la crisi
della politica, di tutta la politica, del sistema dei partiti, dei loro
rapporti con le istituzioni, quella che Berlinguer aveva già identificato
definendola questione morale, occupazione delle istituzioni da parte dei
partiti, oggi più che mai intensa e di assai difficile risanamento.
Sono questi i reali motivi per cui
quella “eredità politica” entrò in crisi? Anche, ma superficialmente. Uno dei
motivi fondamentali per i quali quell’eredità entrò in crisi riguarda per così dire il
patrimonio ereditato, ossia la natura stessa di quel partito. Se soffrì la
crisi della politica, di tutta la politica, è perché era un partito che di quella politica faceva e fa parte. Credo che una buona risposta su ciò che fu il PCI da una certa epoca e su quali eredi abbia
allevato, l'offra lo stesso Scalfari:
Il partito comunista italiano guidato da Berlinguer, e prima di lui da
Longo e da Togliatti, era nato a Lione, liquidò Bordiga, che l'aveva fondato
nel 1921, e si ispirò all'insegnamento di Gramsci. Tra le sue "sacre
scritture" non c'erano soltanto Marx ed Engels ma Antonio Labriola, Giustino
Fortunato e perfino Benedetto Croce.
sabato 22 marzo 2014
Liberté, egalité, dané!
Questo è il terzo post sulla crisi
francese che portò alla rivoluzione del 1789 (gli altri due sono qui e qui). Ho
accennato alla contraddizione insolubile tra l’assolutismo regio e l’ostinato
particolarismo aristocratico, la dissipazione da parte di un’élite di
privilegiati della ricchezza prodotta, della fiscalità incoerente e assurda, le
continue guerre e il fallimento di qualsiasi tentativo di riforma, già con
Turgot, il rifiuto dei nobili di corte e dell’alto clero all’uguaglianza
fiscale per scongiurare il default, la loro decisione di mettere in mora la
monarchia con le rivolte del 1787-’88, costringendola poi a convocare gli Stati
generali con l’intenzione dichiarata di stabilire sulle rovine
dell’assolutismo il proprio potere politico e di conservare i propri privilegi.
Non era più il 1614, la società
stava cambiando e con essa i rapporti di forza tra le classi, la dinamica di
sviluppo – è il tema di questo post – entrava in contraddizione con i vecchi rapporti
di produzione, subentrava un’epoca di rivoluzione sociale.
*
venerdì 21 marzo 2014
L'Ottantanove nobile e clericale
Con questo post allungo il brodo
sul precedente che trattava delle condizioni economico sociali delle diverse
classi nella Francia pre-rivoluzionaria, e pure accennavo alcuni motivi per cui
il basso clero e i bassi gradi dell’esercito (e della marina) non presero
posizione a favore della nobiltà e si allearono, di fatto, con il terzo stato.
*
La mia Rivoluzione francese restò per qualche anno ferma al racconto
scolastico, ossia al fatto, indubbiamente vero, che a “fare” la rivoluzione fu
soprattutto il cosiddetto terzo stato, ossia quella classe sociale che
comunemente identifichiamo con la borghesia moderna. E già in questa
premessa sorgono due questioni: la prima riguarda la composizione sociale del
terzo stato come classe, laddove trova posto il finanziere, il commerciante, il
prosperoso padroncino delle manifatture, l’avvocato, l’intellettuale a
servizio, e però anche l’operaio e il contadino. C’è qualcosa che non va in
questo rassemblement [*].
giovedì 20 marzo 2014
Poniamo
Poniamo, non per gusto di
bagatella bensì seriamente, che alle prossime elezioni europee una determinata
formazione politica raccolga il voto di tutti gli italiani, ossia che tutti gli
elettori votino come un sol uomo (e donna) per quella lista che ha in programma
di andare in Europa a battere i pugni sul tavolo. Ebbene, una volta giunti al
Parlamento europeo, questi nostri rappresentanti, ben disposti a fare la voce
grossa, cosa potrebbero fare in concreto, quale cambio di linea politica
potrebbero imporre, posto che essi rappresenterebbero comunque un’infima
minoranza?
mercoledì 19 marzo 2014
In filigrana
«Quando vidi che tutti tendevano la mano, misi sotto anche il mio
cappello».
Alla convocazione degli Stati
generali nel 1789, la questione più importante fu subito quella di decidere se
le votazioni dovessero svolgersi per testa o per ceto. Chiaro che i rappresentanti
del terzo stato si esprimessero per il primo tipo di votazione, essendo essi il
doppio di ognuno degli altri due stati. I nobili invece insistettero perché si
votasse per stato, ritenendo che con l’appoggio del clero avrebbe potuto
dominare gli Stati generali.
Sennonché il clero, nella sua
maggioranza, voltò le spalle alla nobiltà, nonostante esso fosse composto da 48
arcivescovi e vescovi, da 35 abati e decani, ma anche da ben 208 parroci che
nella stragrande maggioranza stavano dalla parte del terzo stato, da cui del
resto traevano origine e condizione. Nei momenti decisivi è l’imprevisto a fare
la storia, non perché imprevedibile, bensì perché sottovalutato o trascurato.
martedì 18 marzo 2014
Quello che dice l'ordinanza del Tar sul transito delle navi da crociera a Venezia
Ci fu un tempo in cui i tribunali
della Serenissima comminavano pene severissime a quei tintori di panni che
inquinavano i canali della laguna. Altri tempi, altre tempre di uomini, diverse
le sensibilità e l’interesse pubblico aveva un suo peso. Del resto a chi frega
qualcosa della sorte di quella piattaforma turistica, di quel parco dei
divertimenti, che è diventata Venezia? Avete presente il palazzo dell’Inps nel
sestiere di Dorsoduro (anni 1950), l’Hotel Bauer (1940) a fianco della chiesa
di San Moisè, la Cassa di risparmio in campo San Luca (anni 1960), il ponte di
Calatrava (recente), e altri meno noti scempi consimili? Se li avete presenti
converrete che da quasi un secolo di Venezia frega proprio un cazzo a nessuna delle superiori autorità.
*
Il pacco di Lauro e altre cosucce
La questione fondamentale, come
sempre, è chi comanda e decide. Che siano dei capitalisti o dei loro funzionari
a decidere la produzione, oppure che a comandare l’economia siano dei burocrati
di partito, per chi lavora non fa alcuna sostanziale differenza. E dunque
che a gestire il potere in tali termini sia la classe borghese o un partito in
nome del proletariato, non cambia molto le cose, e questo l'abbiamo
imparato tutti (*). E tuttavia, come ho scritto qui fin troppe volte, per quanto
riguarda la lotta di classe (che non l'ha inventata Marx), se non si vuole semplicemente subirla come avviene
ora, serve un’organizzazione politica adeguata al compito, poiché senza si può
fare una manifestazione di piazza o spedire qualche candidato a far chiacchiere
in parlamento, ma non si può contrastare seriamente l’attacco neoliberista e
tantomeno costruire un’alternativa a questo modello sociale.
Da questa premessa sorge la
domanda se sia possibile un sistema sociale diverso dall’attuale, ossia se c’è
ancora spazio per l’utopia concreta. Finché ci sarà conflitto tra capitale e
lavoro, tra padroni e schiavi, tra necessità e spreco, tra distruzione della
natura e la sua tutela, tra pace e minaccia di guerra, questa stessa domanda non perderà mai il suo valore
essenziale e cercherà inesausta una risposta.
lunedì 17 marzo 2014
Divagazioni del lunedì
La necessità di espandersi per il
capitale è vitale, come necessità di trovare nuovi mercati, manodopera sempre
più a buon prezzo e disponibilità di materie prime. È vero altresì che durante
tutto l’Ottocento e i primi tre decenni del Novecento le crisi periodiche erano
considerate inevitabili e si sapeva che dopo qualche tempo si sistemavano;
anzi, da un certo punto di vista tali crisi cicliche erano considerate
benefiche perché permettevano ai capitali più forti di concentrasi in posizioni
monopolistiche.
La crisi degli anni Trenta, nota
come Grande Depressione, fu notevolmente diversa dalle precedenti per intensità
e vastità. Essa poteva segnare un punto di svolta per il capitalismo. Sappiamo che il capitalismo ne uscì per due motivi fondamentali,
ossia a seguito della più cruenta e distruttiva guerra l’umanità abbia
conosciuto, e per l’affermarsi di nuovi prodotti di consumo individuale che
diedero impulso a produzioni su una scala incommensurabilmente maggiore che nel
passato. Seguirono nel dopoguerra i cosiddetti “gloriosi trenta”, ossia tre
decenni nei quali il capitalismo occidentale si sviluppò ed estese in misura
senza precedenti, a spese soprattutto del cosiddetto Terzo Mondo (il petrolio prezzava un dollaro a barile!).
Finché è esistito il monopolio
industriale e finanziario dei paesi occidentali, la classe operaia ha
partecipato ai vantaggi di questo monopolio. I vantaggi furono ripartiti al
suo interno in modo molto diseguale, e tuttavia tutti ne ebbero a beneficiare
in forma diretta e indiretta. Ed è questo il motivo principale, anche se non esclusivo, dapprima del riaccendersi delle lotte operaie volte ad ottenere migliori condizioni di vita, e
poi, ottenuti i miglioramenti, ossia l’accesso ai consumi di massa e alle
tutele sociali, del rifluire del movimento operaio e delle sue lotte.
domenica 16 marzo 2014
Indovina chi non viene a cena
Prima di parlare della cena con Eugenio Scalfari, credo necessaria una premessa (se la trovata noiosa e troppo astratta – cosa che non mi stupirebbe – passate direttamente all'ultimo paragrafo).
Marx, nella sua analisi scientifica
del modo di produzione capitalistico, non ci ha detto semplicemente ciò che esso è – come fanno gli economisti borghesi –, ma perché; non ne ha dato conto secondo una mera descrizione
dei fenomeni contingenti e locali della sua epoca, ma ponendo in luce le leggi fondamentali del suo movimento.
È su tale presupposto teorico, su tali scoperte, che noi possiamo avanzare
delle ipotesi generali sul futuro, e anzi già osservare, in negativo, la tendenza,
necessariamente dialettica, dei fenomeni capitalistici nel loro sviluppo
(che è poi quello che ha fatto Lenin nella sua analisi dell’imperialismo).
sabato 15 marzo 2014
L'invenzione del bot
Le obbligazioni del debito
pubblico (i famosi bot, bund, bonos, ecc.) sono un’invenzione fiorentina del
XIV secolo, tanto per cambiare. Anche allora, come sempre, gli Stati dovevano
far fronte a ingenti spese di ogni tipo (il welfare non è un’invenzione recente,
tutt’altro), soprattutto per le dispendiose e continue guerre combattute da
avidi condottieri e da truppe mercenarie. Sennonché nel novembre 1342 Gualtieri
di Brienne, duca d’Atene, che governava Firenze da dittatore, si trovò in
condizioni così disperate con le casse pubbliche che cancellò tutti i rimborsi
per debiti in modo che l’ammontare delle imposte affluisse tutto all’erario
invece che ai creditori dello Stato.
venerdì 14 marzo 2014
La sola radicalità sancita in costituzione
Quelli che per rilanciare i
consumi e salvare la miserabile bottega fanno appello al keynesismo, mi fanno
pena per quanto sono fuori tempo massimo. È successo anche a me qualche volta,
incidentalmente, per pentirmene subito dopo. Quanta paccottiglia del piacere
consumabile sarà necessario acquistare per mantenerci a galla su questa
colossale bugia?
E altrimenti a chi dovremmo
venderle le asciuga panni della Elettrolux, in Tunisia o nel Bangladesh? Non è
la filantropia di Renzi a darci il pane, è il capitale monopolistico
internazionale a controllare e modulare le ragioni di scambio, così com’è l’internazionalizzazione
del mercato dello sfruttamento che ci toglie il lavoro e ci getta nella
disperazione.
A prendere il posto delle
ideologie corrose dal discredito è stata paradossalmente la più potente delle
ideologie, un potere di seduzione totalitario che fa passare la presunta
oggettività del mercato come la verità assoluta di un’epoca. E non riusciamo a
liberarcene, non vogliamo affrancarci da un mondo che si distrugge da sé, che
ci vende cianfrusaglie e ci promette balle verso le quali ci dimostriamo sempre
ben disposti.
Renzi è solo l’ultimo prodotto di
questa réclame, un pupazzetto che gioca a spostare miliardi finti di qua e di là,
che gioca nell’arena dei luoghi comuni a gonfiare e sgonfiare il pallone. Va
nelle scuole e dice che vuole rattoppare quelle cadenti, ma delle pubbliche non
gli frega niente, vuole solo creare occasioni di rilancio dell’edilizia,
settore trainante della produzione e della domanda interna.
giovedì 13 marzo 2014
La strana cosa
In attesa che fra due mesi
s’incominci a ricevere 76,9 euro nette
in più il mese (1.000 : 13) per chi guadagna fino a 1.499 euro, vado un po’ con
i ricordi prima che qualche acciacco senile cancelli del tutto i miei file in bianco
e nero.
Nel 1963 sentii parlare per la
prima volta di crisi e di “congiuntura”, termine quest’ultimo che non mi riusciva
molto chiaro e al quale gli adulti attribuivano un significato che poi scoprii
essere improprio. Di crisi, a dire il vero, s’era sentito dire con allarme
anche l’anno prima, ma si trattava di crisi dei rapporti internazionali, era
quello l’anno dei missili a Cuba e della Terza guerra mondiale sfiorata, l’anno
in cui lasciai il pennino per la biro; oggi a dirlo sembra preistoria.
Alla casa Bianca c’era Kennedy, fino
a novembre quand’ebbe un incidente in itinere, al Cremlino stava Krusciov e Fanfani
a palazzo Chigi. Ad Amintore successe nello stesso anno Giovanni Leone con un
governo detto “balneare”, e poi, prima di natale, s’insediò Aldo Moro. Tre
presidenti del consiglio in un anno. Ai nostri giorni abbiamo fatto progressi:
ci sono voluti ben 15 mesi per vedere
tre culi diversi seduti su quella stessa poltrona.
mercoledì 12 marzo 2014
Chi perde e chi guadagna
L’Unicredit ha annunciato 8.500 licenziamenti dei quali 5.700 in Italia
entro il 2018. In Borsa hanno festeggiato, alla faccia delle migliaia di
funzionari e impiegati che perderanno il lavoro. Non hanno festeggiato solo in
Borsa, ma anche molti piccoli azionisti. Pongo un esempio: ho in portafoglio
una piccola quota di Unicredit ordinarie, diciamo 20mila euro. Ieri sera avevo,
grazie all’annuncio dei licenziamenti, guadagnato 1.200 euro (*). Quanto il
salario mensile di un operaio, più di quanto guadagna una commessa, ma molto
meno di quanto guadagna in un giorno Federico Ghizzoni, la cui banca ha
dichiarato contestualmente perdite per 14,5 miliardi. È il capitalismo, il
resto sono chiacchiere.
*
Non bastano i rattoppi
Seguo – un po’ distrattamente
per la verità – le vicende della formazione della lista L’Altra Europa per Tsipras
per le elezioni europee. Seguo le vicende di questa lista e le
baruffe tra i “garanti della lista”, i quali si accusano tra loro di ogni
nefandezza, perfino di “occultamento” di una lettera scritta da una candidata per
scomunicare altri candidati accusati nientemeno di disconoscere le proprie
gravi responsabilità nello scandalo dell’Ilva di Taranto. Ciò dimostra ancora
una volta – di là della veridicità probabile delle accuse – la vocazione alla litigiosità e ai personalismi di quella che un
tempo si chiamò sinistra.
martedì 11 marzo 2014
Il diritto di intervenire militarmente per difendere i loro interessi dove ci porterà?
Ci fu un tempo in cui in Italia il
popolo comune era poco o punto alfabetizzato, le possibilità di accesso all’istruzione
e all’informazione scarse e la televisione non esisteva e non tutti avevano la
radio. Tuttavia quel popolo era costituito in genere da persone per bene. Oggi ci
sentiamo quasi tutti istruiti, informati sulle quote rosa, gli amorazzi dell’ex
premier e altri must di costume, e tuttavia le questioni di politica
internazionale non interessano quasi a nessuno, salvo allorquando per qualche
giorno i media suonano la fanfara della guerra in nome della democrazia e dei
diritti umani violati in paesi che la stragrande maggioranza di noi sa solo che
sono segnati da qualche parte nel mappamondo.
*
Gli Stati Uniti d’America
affermano il proprio diritto di intervenire in qualsiasi paese del mondo per
difendere i propri interessi, dichiarando in tal modo che la sovranità
nazionale, fondamento delle relazioni internazionali, è un principio superato.
Naturalmente essi non riconoscono agli altri paesi l’eguale diritto. Inoltre,
essi hanno ufficialmente adottato la politica della guerra preventiva, in
diretta violazione della Carta delle Nazioni Unite e di altri divieti
internazionali contro la guerra aggressiva.
lunedì 10 marzo 2014
American way
Il film di Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore (1964), ha fatto
epoca ed è a ragione un cult della cinematografia. Per chi non avesse visto il film o non lo ricordasse, cerco di
riassumerne la trama a memoria.
Siamo in epoca di guerra fredda (anche se nella fase della "coesistenza competitiva"),
subito dopo la crisi di Cuba (1962), e c’è un generale a stelle e strisce,
comandante di una base aerea da dove decollano i famosi bombardieri che in caso
di conflitto nucleare hanno il compito di colpire l’Urss. Un brutto giorno il
generale, che come tutti i buoni americani è un fanatico anticomunista, decide di
dar corso alle sue fantasie di sterminio del pericolo rosso, inventandosi un
presunto e in realtà inesistente attacco nucleare sovietico. Perciò ordina ai
suoi 32 bombardieri in volo armati di ordigni nucleari di attaccare gli
obiettivi prefissati. Lo può fare in forza di una disposizione presidenziale da
poco emanata.
domenica 9 marzo 2014
Passo dopo passo
Negli ultimi tre anni si sono
succeduti, a breve distanza uno dall’altro, due governi presieduti da persone senza
alcuna investitura popolare, i cui esecutivi – composti da elementi prevalentemente
extraparlamentari – hanno ricevuto la fiducia da un parlamento eletto con una
legge dichiarata illegittima dalla corte costituzionale.
Inoltre, l’attuale parlamento,
eletto come s’è detto, s’appresta a varare, su input governativo, una nuova
legge elettorale che riguarda una sola camera ed entrerà in vigore solo dopo
dodici mesi dalla sua approvazione, e si propone di approvare una riforma
costituzionale che modifichi significativamente l’attuale assetto delle camere.
Credo la sostanza della crisi
politica italiana sia rilevabile già in tale straordinario intreccio di
anomalie che non ha precedenti storici – salvo la parentesi del fascismo – e
non trova riscontro in nessun paese d’Occidente. La nostra, dunque, ad ogni
effetto, è una democrazia sospesa nei suoi principi fondamentali, in cui la
volontà popolare viene elusa da forze e personaggi che agiscono abusando della
propria posizione di potere.
sabato 8 marzo 2014
Alunni distratti
«Ignote
le cause del gesto». Un tempo questa frase, in cronaca nera, era accompagnata
da un aggettivo: insano. Chi fa più
caso alla follia della porta accanto? Del resto siamo assolutamente
indifferenti a follie ben più gravide di conseguenze e che possono portare in un’escalation
incontrollabile e a una guerra generalizzata.
È
chiaro e provato che gli Stati Uniti e la Germania hanno istigato la crisi in
Ucraina, con l'intenzione di provocare uno scontro con la Russia. La posizione
di Washington non viene mai determinata da principi del diritto internazionale,
ma dal calcolo degli interessi geopolitici ed economici degli Stati Uniti.
Nel
1992, dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti e la Germania
hanno premuto per la rottura della Jugoslavia. Gli Usa nel 1999 hanno fatto
guerra contro la Serbia per garantire la secessione della provincia del Kosovo.
In quel caso andava a fagiolo il referendum. Ora, invece, dopo il voto unanime
da parte del parlamento di Crimea a favore della secessione dall'Ucraina per
unirsi alla Federazione russa e la fissazione di un referendum sulla secessione
per il 16 marzo, il referendum non va più bene al presidente Obama il quale ha dichiarato che lo
svolgimento di una tale votazione sarebbe una violazione della costituzione ucraina e
della legge internazionale.
venerdì 7 marzo 2014
Pane al pane e vino al vino?
La notizia è questa:
Big Pharma pensa a incassare miliardi, non a guarire i malati. Due
colossi mondiali del farmaco, Roche e Novartis, si sono messi d'accordo per
spartirsi i miliardi dalla vendita di due farmaci identici ma con nomi diversi
(Avastin e Lucentis) e soprattutto a prezzi diversi. A danno dei malati, del
servizio sanitario pubblico, delle assicurazioni private. A danno di tutti gli
altri, insomma.
Chiedo: per quale motivo le
multinazionali farmaceutiche dovrebbero “pensare a guarire i malati”? Scopo
fondamentale di qualsiasi attività economica privata, non meno che per una
multinazionale del farmaco, è fare profitti. Dice l’articolo di Repubblica: “a danno dei malati”. È però
tutto da dimostrare l’eventuale danno a carico della salute dei malati. Sicuramente si tratta di un danno
economico cagionato ai singoli e soprattutto al servizio sanitario nazionale,
ossia a carico della collettività.
E allora far pagare una penale,
ancorché milionaria, a chi ha estorto fraudolentemente miliardi di euro, non basta.
E qui la questione, come diceva Mimmì Metallurgico, diventa politica.
Godetevi, se non l’avete letto, questo illuminante articolo.
*
giovedì 6 marzo 2014
Tra le fresche frasche
Ho letto con raro interesse questa
intervista a Carlo Formenti che mi è stata segnalata dapprima dal mio amico
Luca e poi anche da un lettore. In attesa di leggere il libro di Formenti e di
farmi un’idea spero più precisa delle sue tesi, passo a scribacchiare alcune
impressioni sull’immediato.
Anzitutto mi ha colpito nell'intervista la sua
premessa, laddove sancisce:
la natura eminentemente politica della crisi, il che vieta
di sperare in una “ripresa” che restituisca opportunità di lavoro, livelli di
reddito e servizi sociali dignitosi alle classi subalterne, e la irriformabilità
del regime politico/finanziario che è venuto consolidandosi negli ultimi
decenni, il che vieta di nutrire illusione in merito a un possibile ritorno
alla democrazia “normale” e al compromesso storico fra capitale e lavoro.
mercoledì 5 marzo 2014
L'Oscar al nulla
Ieri sera ho rivisto, fino alla
penultima interruzione pubblicitaria, il film capolavoro di Paolo Sorrentino.
La prima volta, il 28 luglio scorso, l’ho visto quasi distrattamente, non per mia
precisa volontà, ma perché durante la visione, in un cinema all’aperto, dovevo
combattere una guerra che infine ho abbondantemente perso nonostante l’ingente
impiego di armi chimiche, ossia mezzo litro di Autan.
Il film, come ormai sanno anche
coloro che non l’hanno visto, è un pedissequo omaggio a Fellini. Per rifarmi a
una battuta del film, l’omaggio al regista riminese sta come Ammaniti a Proust.
Basta confrontare il cammeo capolavoro di Fellini, quello della sfilata di moda
con religiosi ed ecclesiastici nel suo Roma,
e la scena sorrentiniana del baciamano alla “Santa”.
Quanto alla signora alto-borghese,
“de sinistra”, che con enfasi celebra il suo impegno sociale accettando di
sporcarsi le mani andando in televisione (solo le mani?), la stessa che ha
pubblicato undici suoi librini perché amica del “capo del partito”, la moglie
del marito con l’amichetto, la madre inesausta di premure per i figli,
coadiuvata da un nugolo di filippini, ebbene si tratta di un personaggio scaduto,
con un codice a barre degli anni Ottanta, un omaggio al viscerale padrone della Medusa
più che un’allusione a La terrazza di
Scola.
Sorrentino non racconta nulla, filosofizza
una certa realtà, marginale e geriatrica, un monologo del protagonista più
sarcastico che ironico, in fin dei conti un film elogiativo e feticistico del
nulla, con istantanee di promozione turistica di una città che non esiste. Perciò
piace al pubblico, perché non impegna un solo pensiero, è un film fatto
apposta.
Di là dal fiume e tra gli alberi
È il modo di concepire e misurare
la ricchezza che impedisce il suo estendersi all’intera società (*). Tuttavia
si tratta di un modo di concepire e misurare che dipende dalla stessa ragion
d’essere del modo di produzione capitalistico (che è di per sé un modo limitato di produrre la ricchezza), non
dunque dal mero capriccio dell’individuo. Perciò i riformatori del capitalismo
o sono dei velleitari oppure dei furboni, ivi compresi i teorici della
decrescita: non esiste una mezza via, un compromesso, se non nella loro
fantasia (**).
Il capitale è contraddizione in processo,
non ne vogliamo tenere conto? Per massimizzare il profitto è necessario ridurre
il rapporto tra lavoro e capitale costante, non si tratta di un capriccio bensì
di un fatto confermato dall’aritmetica. Dall’altro, questa riduzione del
capitale variabile determina tendenzialmente la caduta del saggio del profitto.
E anche qui siamo nel pieno effetto di una legge, sia pure dialetticamente contrastata
nel suo movimento da delle controtendenze.
Si dirà che si tratta di questioni
teoriche e astratte. Eh no, belli; non si può capire dove va il mondo se non se
ne comprendono le leggi che lo fanno muovere. Difficile da intendere? Proviamo
con le caramelle.
martedì 4 marzo 2014
Lo stato dell'arte
C’è chi (e non sono pochi) studia
e s’impegna con sacrificio per decenni e poi deve emigrare per mancanza di
adeguate opportunità di lavoro, e c’è chi invece guadagna milioni di euro per
presentare delle canzoni da un palco. C’è chi sputa la vita da mane a sera per
tirare a campare e chi senza arte né parte siede a far nulla negli scranni
della politica percependo stipendi ingiustificati (Scilipoti e Razzi non è
necessario citarli poiché ce n’è moltissimi altri).
C’è chi sfrutta il lavoro a 750
euro il mese facendo i milioni sulla pelle di poveri disgraziati. Insomma, era
poi questa la società che c’eravamo immaginati per il XXI secolo? Possibile che
in questo paese non vi siano persone migliori e più decenti di quelle che da
decenni sgovernano? Ci sono, eccome, ma appunto perché sono persone preparate e
decenti si guardano bene dal farsi coinvolgere dal mercato delle mafie
politiche.
lunedì 3 marzo 2014
La grande burla
Lo Stato paga gli stipendi
pubblici, in parte le pensioni e la cassa integrazione, i servizi sociali
(sanità, istruzione, trasporti, ecc.), le infrastrutture e tutto quanto serve
finanziandosi a debito. È una cosa molto nota, perciò perdonate la propedeutica.
Notorio è anche il fatto che il debito, di regola, viene emesso sul mercato
sottoforma di obbligazioni (bot, btp, cct, ecc.), ossia di titoli a scadenza
sui quali viene pagato un interesse a chi lo acquista. È risaputo che ad
acquistare questi titoli del debito statale sono le banche, i privati e i fondi
d’investimento. Ciò che vale per l’Italia, vale sostanzialmente anche per gli
altri Stati, chi più e chi meno. Tutto il sistema regge sul debito, e dunque
sul credito. Maggiore è il debito di uno Stato in rapporto alla propria
ricchezza prodotta, maggiore è il rischio d’insolvenza e perciò più alto il
tasso d’interesse che i creditori chiedono per acquistare i relativi titoli.
Ma non è di codeste cose fin
troppo note che voglio dire, ma di un film. Perciò, quanto in premessa serve
solo a creare l’ambientazione. Anche la trama del film non è inedita, specie
nei suoi tratti essenziali. Infatti, il tutto comincia così come iniziò con la seconda
banca tedesca nel 1931, la Danat-Bank, o come, nello stesso anno, con il Kredit
Anstalt, banca austriaca. Voci d’insolvenza e corsa agli sportelli. Oppure come
successe nel settembre del 2008 con la ormai ben nota Lehman Brothers. In tal
caso qualche voce d’insolvenza circolava almeno da mesi, e tuttavia le agenzie
di rating le assegnavano il massimo di affidabilità, fino al giorno stesso in
cui la banca fu dichiarata fallita.
La vittoria
Fa un certo effetto, di sorpresa
quasi, leggere nel maggiore quotidiano economico finanziario europeo, ossia sul
Sole 24 ore, queste parole:
«La vittoria in questa fase storica dell'economia finanziaria sul
diritto ha tolto centralità e sovranità alla politica, riversandole sul governo
della moneta. Intorno al denaro ruotano gli Stati, le democrazie e le
autocrazie, sicché è proprio questo governo della moneta a determinare in larga
misura il destino dei popoli nella nuova globalizzazione. È così che le Banche
centrali, che di quel governo hanno la leadership, costituiscono ormai il vero
e indiscusso potere delle nazioni e mai come in questo periodo le loro
decisioni ne hanno condizionato la vita. La rapidità con cui le Banche centrali
possono agire sull'andamento delle economie globalizzate, in continua
variabilità, è superiore a qualunque politica di Stati democratici o
autocratici».
Tradotto, significa anzitutto che
i governi e i parlamenti, anche laddove sussistono le democrazie, anziché
rappresentare almeno formalmente la volontà dei popoli essi ormai non sono
altro che la lunga mano degli interessi dell’economia finanziaria, delle
decisioni prese in luoghi distanti dai palazzi delle istituzioni statuali e da
personaggi prevalentemente occulti.
domenica 2 marzo 2014
I socialisti della Goldman Sachs
Chi vuole essere lieto sia, di doman non c’è certezza. Con
questo richiamo a Lorenzo di Pietro il Gottoso, apre e chiude in punta d’abisso
l’editoriale dell’Eugenio nazionale. E che l’incertezza percorra il globo
intero non v’è dubbio, e tuttavia finché la Federal Reserve continuerà a
drogare il mercato speculativo e la Bce a tenere in piedi le banche, tutto
procederà secondo quest’ordine per un certo tempo. Poi, inevitabilmente, come
sempre accade, il tempo finisce, tant’è che sanno bene di essere seduti su una
polveriera, ben più pericolosa di quella di Sebastopoli. Come ho scritto a noia
in questi anni di blog, il capitalismo non è morto, però è fallito. Prenderne
atto? Scherziamo? anzi, si balla e si canta, loro in omaggio e noi in ostaggio
al profitto e alla volontà di potenza.
Iscriviti a:
Post (Atom)