Noi vediamo oggi come il mondo
nonostante i grandiosi progressi scientifici, tecnologici e della democrazia,
sia rimasto sostanzialmente un grande mercato della carne umana. Ogni giorno
possiamo verificare come sia offerta, venduta, acquistata e rifiutata come una
qualsiasi altra merce. Anzi, nelle condizioni peggiori di qualsiasi altra
merce, perché delle altre se non altro chi le possiede ha cura che si
mantengano in buono stato. La carne umana invece è l’unica merce che deve
occuparsi per se stessa della propria conservazione per avere chance di potersi
vendere a un acquirente.
Essa può essere acquistata al
minuto e dopo l’uso abbandonata al suo destino, prova ne siano le decine di
tipologie contrattuali alle quali è sottoposta per il proprio spaccio. E ciò
nella migliore delle ipotesi, che non è poi la situazione di molti luoghi del
mondo. L’unica vera condizione per il suo acquisto e il suo impiego – al pari
delle altre merci – è il suo prezzo, determinato anch’esso dal mercato, ossia
in base al necessario per riprodurre – secondo il paese – quella stessa merce
umana.
Diversamente dalle altre merci, per
le sue caratteristiche uniche, l’impiego della carne umana – ossia della
forza-lavoro umana – ha per scopo la produzione di altre merci. È questo il motivo,
l’unico, per il quale essa è acquistata. Infatti, non solo essa produce merci
per lo stesso valore per il quale è pagata, ma per un valore aggiuntivo più
grande. La ricchezza che essa in tal modo crea, le sta di fronte come misura
della sua miseria, poiché tanto è più grande il valore che essa produce oltre
il suo prezzo di produzione e tanto più quel valore, nella forma di un’enorme
quantità di merci, le è estraneo.
L’operaio può acquistare con il
prezzo ricevuto per il suo lavoro solo una piccola parte del valore che esso
produce, il resto, nella forma di merci, viene consumato dal capitalista e da
altri mediatori sociali attraverso le tasse, ma lo scopo fondamentale di questo
processo è l’accumulazione di tale valore, ossia della ricchezza espressa nelle
merci prodotte. Che poi questa ricchezza accumulata possa prendere le sembianze
di una merce particolare, e poi ancora di questa merce particolare prendere le
sembianze di un semplice titolo di carta che la rappresenta, ha poca
importanza. Se poi di tali titoli che nominalmente rappresentano dei valori si
farà commercio e speculazione, ciò significherà semplicemente che alla
contraddizione principale se ne aggiungeranno delle altre.
Va da sé, come detto, che una gran
quantità di quelle merci prodotte, infine, non sarà venduta, resterà d’un
canto. Questo fenomeno viene detto: sovrapproduzione. Non solo di merci, in
quanto tali, ma anche sotto forma di capitali che non possono essere impiegati per
saturazione del mercato. E tutto ciò appare
come crisi di mercato, paradossalmente anzitutto come crisi della circolazione,
ma in realtà questa è solo il portato della contraddizione in essere nel modo
di produzione.
Ci sarà bisogno di un certo periodo perché la situazione
ritorni a un certo e sempre precario equilibrio, non senza aver provocato
disastri sociali. L’andamento dell’economia diventa quindi ciclico. Fino al
punto che lo squilibrio, ossia la crisi, diventa permanente a causa,
paradossalmente, dell’enorme capacità produttiva raggiunta dal sistema e dall’impossibilità
di dare sbocco commerciale a tutte le merci prodotte.
Si dirà ingenuamente: ma perché
non produrre meno da un lato e distribuire meglio dall’altro? Ma lo scopo, s’era
detto, è quello di produrre non merci da distribuire, ma valore da accumulare.
E per accumulare sempre più valore è necessario produrre sempre più merci. Il
capitalista per risparmiare nell’acquisto di forza-lavoro, cioè sul prezzo
delle merci prodotte, tende a sviluppare con l’impiego della scienza i processi
produttivi, ma con ciò diminuisce anche il valore contenuto in ogni singola
merce. In tal modo, più aumenta l’impiego di macchine e di capitale costante, e
minore diventa in rapporto l’impiego di lavoro, e più tendenzialmente cala il
saggio del profitto. Sembra quasi un assurdo, ma si tratta di una legge di
evidenza aritmetica, la più importante legge dell’accumulazione capitalistica.
Queste contraddizioni non si
possono superare con degli aggiustamenti, e ciò appare evidente a ogni persona
di buon senso. Anche alle persone meno intelligenti, cioè agli economisti,
dovrebbe apparire evidente che per uscire da queste contraddizioni serve un
modo di produrre e distribuire diverso dall’attuale. Lo scoglio principale,
finora, per opporsi a un cambiamento del sistema è stato di ordine ideologico, e
dati gli interessi in campo ciò si comprende bene.
Anche da parte degli operai è però
sorta una disistima per qualsiasi proposta alternativa a questo sistema
economico, ossia a riguardo della forma politica che darebbe luogo un simile
sistema economico in cui si produce secondo un piano e si distribuisce secondo
i bisogni. E ciò è dipeso anzitutto dal fatto che nel secolo scorso c’è chi ha
creduto di poter passare da un’economia semi-feudale e capitalisticamente poco sviluppata, quindi da una situazione di arretratezza, di grave penuria e sotto la minaccia di altre priorità, a un’economia sviluppata e regolata secondo
un piano. Nella penuria e nella costrizione è facile imboccare la strada sbagliata, una strada senza ritorno. Nella penuria si può
pianificare solo la miseria, e con ciò si torna al punto di partenza della
storia. E difatti quegli esperimenti sono falliti sia sotto il profilo politico
che economico.
Solo a un determinato grado di
sviluppo tecnologico e sociale (*) – e dunque nell’abbondanza e nella cooperazione –
è possibile ripensare a come organizzare la società e il mondo su basi
completamente nuove, ossia non più sul tempo di lavoro comandato ma sul tempo
di vita liberato, non più sul profitto accumulato che sfrutta il bisogno, bensì
sulla ricchezza che asseconda i bisogni materiali, culturali e spirituali di
una nuova umanità. Perché questo fatto passi dal lato della possibilità a
quello della realtà, sarà inevitabile esservi condotti dalla necessità. Non ci
abbandoni la convinzione di poter almeno accelerare il percorso e, per quanto
possibile, alleviare il travaglio.
(*) Non fanno testo le piccole
comunità tribali al confine del mondo e della storia, con particolari
condizioni ambientali e con bisogni pochissimo sviluppati.
“Anche alle persone meno intelligenti, cioè agli economisti, dovrebbe apparire evidente che per uscire da queste contraddizioni serve un modo di produrre e distribuire diverso dall’attuale.”
RispondiEliminaUn po’ mi hai offeso. Ma, comunque, visto che sei così tanto più intelligente di noi economisti non hai saputo rispondere, MAI, all’unica domanda che ti avevo sempre fatto, ossia:
descrivi tecnicamente il nuovo modo di produrre e provalo con un modello da te elaborato.
Vista la tua intelligenza superiore non ti sarà difficile.
“Anche da parte degli operai è però sorta una disistima per qualsiasi proposta alternativa a questo sistema economico…”
Io proposte non ne ho viste da parte di NESSUNO. Ripeto, perché forse non si è capito: NESSUNO! E sono ancora in attesa, come anche il resto degli operai del paese e del mondo.
“…riguardo della forma politica che darebbe luogo un simile sistema economico in cui si produce secondo un piano e si distribuisce secondo i bisogni.”
I piani centrali li abbiamo conosciuti nella storia recente. E a nessuno di buon senso e con un minimo di intelligenza economica gli verrebbero in mente di riproporli. Comunque. Ma, non ti rendi conto, neanche un pochino, che distribuire secondo i bisogni E’ e RESTA soltanto uno slogan?!
Te lo dice uno “meno intelligente”, che con gli slogan non si governa un paese e gli slogan non sono teorie economiche, tanto meno potranno mai essere delle tecniche reali di implementazione dell'ingegneria sociale.
Svegliati Olympe, e, svegliatevi compagni!
Non so neanche perché ti/vi scrivo. Che forse hai ragione te, essendo “meno intelligente” sto perdendo il mio tempo inutilmente. Ti dirò comunque (tanto per ribadirlo per l’ennesima volta), QUANDO AVREMO IN MANO UN MODELLO TECNICO ALTERNATIVO DA PROPORRE ALLA SOCIETA’, vedrai che vinceremo anche le elezioni (ma anche senza candidarci) e cambieremo lo stato di cose presente. Perché l’operaio non aspetta altro. E perché fino ad oggi non abbiam fatto altro che produrre accuse e fuffa. Tanta fuffa. Quotidianamente.
Pensaci! Pensateci!
può capitare che uno tra i più intelligenti tra i cretini ti faccia delle domande alle quali non puoi rispondere con una frasetta e soprattutto alle quali non hai voglia di rispondere.
Eliminatu, per tua stessa ammissione, non sei nemmeno intelligente.