Prima di parlare della cena con Eugenio Scalfari, credo necessaria una premessa (se la trovata noiosa e troppo astratta – cosa che non mi stupirebbe – passate direttamente all'ultimo paragrafo).
Marx, nella sua analisi scientifica
del modo di produzione capitalistico, non ci ha detto semplicemente ciò che esso è – come fanno gli economisti borghesi –, ma perché; non ne ha dato conto secondo una mera descrizione
dei fenomeni contingenti e locali della sua epoca, ma ponendo in luce le leggi fondamentali del suo movimento.
È su tale presupposto teorico, su tali scoperte, che noi possiamo avanzare
delle ipotesi generali sul futuro, e anzi già osservare, in negativo, la tendenza,
necessariamente dialettica, dei fenomeni capitalistici nel loro sviluppo
(che è poi quello che ha fatto Lenin nella sua analisi dell’imperialismo).
Pertanto, che le contraddizioni in
sviluppo del capitalismo conducano a qualcos’ “altro”, non è l’effetto di una filosofia della storia ad hoc, di
un’idea ossessiva dei marxisti, e
nemmeno solo una possibilità reale che può verificarsi oppure no; questo processo di
trasformazione, come detto, è già in
atto e il fatto che diventi realtà non
dipende dal caso, bensì dalla necessità.
Tuttavia non possiamo predire in
anticipo le forme positive di dettaglio del passaggio da un modo di produzione
a un “altro”, tantomeno possiamo stabilire l’evoluzione delle forme politiche determinate di tale
trasformazione, anche perché in tal caso si tratterebbe di accreditare una
visione deterministica e idealistica della storia, tratto tipico di un certo “marxismo”
d’antan che accettava il materialismo storico ma non quello dialettico.
Con questo non voglio dire che
dobbiamo restare passivi, dal punto di vista teorico e pratico, in attesa
degli avvenimenti. E inoltre ci dobbiamo fare ragione del fatto che i vari
socialismi reali così come si sono realizzati nel corso del XX secolo, hanno
una grande responsabilità nell’impasse attuale. Ma posto questo fatto storico
indiscutibile, va anche rilevato come le categorie della politica tout court e
della rappresentanza soffrano della medesima malattia. E come in ogni malattia di questo tipo, sarà il tempo la miglior cura.
Credo con sempre maggior
convinzione, oggi che i più sono convinti il mondo sia cominciato con loro, che
bisogna riprendere il discorso da domande troppo presto liquidate come antiche e superate. E, del resto, ha ragione Scalfari nel suo
editoriale di oggi laddove scrive che quelli d'allora "erano altri tempi e altre
persone". Anche di quelle persone che non cenavano con lui. Ma questo, senza il
forse, non accetterebbe mai di dirlo in positivo.
Io penso che Marx ed Engels ti avrebbero invitato a cena tutte le sere.
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