In attesa che fra due mesi
s’incominci a ricevere 76,9 euro nette
in più il mese (1.000 : 13) per chi guadagna fino a 1.499 euro, vado un po’ con
i ricordi prima che qualche acciacco senile cancelli del tutto i miei file in bianco
e nero.
Nel 1963 sentii parlare per la
prima volta di crisi e di “congiuntura”, termine quest’ultimo che non mi riusciva
molto chiaro e al quale gli adulti attribuivano un significato che poi scoprii
essere improprio. Di crisi, a dire il vero, s’era sentito dire con allarme
anche l’anno prima, ma si trattava di crisi dei rapporti internazionali, era
quello l’anno dei missili a Cuba e della Terza guerra mondiale sfiorata, l’anno
in cui lasciai il pennino per la biro; oggi a dirlo sembra preistoria.
Alla casa Bianca c’era Kennedy, fino
a novembre quand’ebbe un incidente in itinere, al Cremlino stava Krusciov e Fanfani
a palazzo Chigi. Ad Amintore successe nello stesso anno Giovanni Leone con un
governo detto “balneare”, e poi, prima di natale, s’insediò Aldo Moro. Tre
presidenti del consiglio in un anno. Ai nostri giorni abbiamo fatto progressi:
ci sono voluti ben 15 mesi per vedere
tre culi diversi seduti su quella stessa poltrona.
L’anno dopo fu crisi della lira per
attacchi speculativi. Il governatore Carli si rifiutò di svalutare e chiese e
ottenne dagli Usa un prestito cospicuo. Furoreggiava un leit-motiv che sarebbe
brillato per alcuni decenni: riforme.
A dar corpo alle riforme ci avrebbe pensato – almeno come proposito
programmatico del tirare a campare – una nuova formula politica: il centrosinistra.
Al Quirinale c’era Segni, che
aveva fatto le scarpe a Gronchi, candidato a un secondo mandato con l’appoggio
di Enrico Mattei, l’aspirante eminenza grigia. Il comandante dei carabinieri, ingegnere
e massone, era il generale De Lorenzo, già partigiano, personaggio
rilevantissimo e centrale di quegli anni, per sette anni addetto ai dossier del
Sifar e firmatario del Piano Demagnetize.
Pietro Nenni sentiva tintinnar le sciabole. Iniziava la carriera giornalistica
di Eugenio Scalfari, ex croupier, che da direttore amministrativo de L’Espresso (una rivista di modesta veste
tipografica) l’anno prima aveva assunto anche quella di direttore editoriale.
Impossibile districarsi in quell’intreccio di triplo giochisti.
Verso la fine dei Sessanta, da
più parti nel mondo s’innescò un imponente movimento di cambiamento sociale e
di costume. In Italia le istanze di cambiamento assunsero forti connotazioni
politiche, coinvolgendo masse di studenti di origine proletaria e piccolo
borghese che per la prima volta avevano accesso all’istruzione universitaria.
Al movimento contestativo studentesco si associò la protesta operaia che
divampò con scioperi e occupazioni delle fabbriche (i giovani d'oggi non potrebbero credere a vedere le piazze e le strade affollate di operai incazzati, del resto per ordine politico i filmati delle cineteche Rai relativi a quei fatti sono stati distrutti).
In una certa misura il vecchio
ordinamento sociale fu scosso fin dalle fondamenta, ma soprattutto occhi molto
attenti guardavano con allarme al pericolo rosso in chiave di alleanze
strategiche nel quadro dello scontro tra superpotenze. Sul piano
dell’iniziativa politica ufficiale dapprima si rispose con la “strategia
dell’attenzione di Moro”, ma segretamente si agiva con la “strategia della
tensione”, pianificata dalla Cia con l’appoggio logistico e operativo dei
servizi segreti nostrani e delle strutture militari Nato. La manovalanza era
veneta, foresti invece i “tecnici” e i timer.
Nell’autunno-inverno del 1973 scoppiò
la grana della cosiddetta crisi petrolifera, e si cominciò allora a parlare di austerità. Ricordo una domenica di
pioggia battente con le strade della capitale deserte. Nel 1976 ci fu un nuovo
attacco alla lira, l’inflazione cresceva in quegli anni in tutti i paesi, in
Italia i prezzi al consumo salirono del 21,2% nel 1974, del 16,6% l’anno dopo e
del 17,7 nel 1976. Difficile per i salari starci dietro, ma almeno c’era la
scala mobile e gli operai erano combattivi. Anche gli studenti lo erano,
infatti avevano organizzato una manifestazione a Bologna per il 12 marzo 1977.
Il giorno prima un carabiniere non trovò di meglio che sparare a uno studente. Uno
stalinista, certo Pecchioli, a sua volta giustificò l’assassinio. Il 13 marzo
Cossiga mandò i blindati. Il quotidiano il
manifesto scrisse allora di provocazioni e di minoranze avventuristiche.
Mah. Ricordo giornate grigie, ancora fredde.
Si varò il compromesso storico, poi, sotto l’incalzare delle tensioni sociali,
sortì da un lato la manovra keynesiana della spesa pubblica, e dall’altro i
tentativi di arginarla. Erano gli anni dello scontro aperto tra capitalismo
privato e quello pubblico. La grande inflazione proseguì fin dentro gli anni
1980. Anzi, si trattò di stagflazione,
ossia l’intreccio strettissimo tra rallentamento progressivo dell’attività
economica ed aumento del prezzo delle merci. Un fenomeno contraddittorio e in
un certo senso assurdo.
Fu varato il cosiddetto Piano Triennale (1979-81), nel quale si
potevano leggere cose che sentiamo dire anche oggi: “il disavanzo delle
amministrazioni pubbliche e del settore pubblico allargato è in crescita
continua”; si “mantiene basso il
tasso di crescita interna e soprattutto della domanda per gli investimenti”,
e perciò “Con questa visione è necessario
affrontare due determinati fattori d’instabilità strutturale: l’evoluzione
della finanza pubblica e l’andamento del costo del lavoro” (*). Il piano
rimase sostanzialmente lettera morta, si fece avanti l’Europa, il Sistema
monetario europeo e i suoi diktat. Allora come oggi il sistema politico è
incapace d’iniziativa economica autonoma, ora poi inibita da ogni genere di
vincoli.
Ho scritto queste note per far
memoria, un po’, su come a distanza di decenni si parli delle medesime cose:
sulla crisi, il costo del lavoro, la crescita e la competitività. Eppure il
mondo è cambiato assai: a Washington il presidente è un mulatto, in Russia non
c’è più il socialismo reale, Berlino è tornata ad essere la capitale del Reich,
Parigi non è più quella di una volta già da mezzo secolo, Pechino ha ospitato i
giochi olimpici, nella comunicazione sociale è arrivato internet, una rete
elettronica dove ognuno può collegarsi e dire la sua in faccia al mondo, sicuro
che nessuno ci farà caso.
È vero che a Roma il compromesso storico è roba di
modernariato, ma solo nella dizione; nella sostanza c’è di peggio, ci sono le
larghe intese, con l’ex DC e l’ex PCI insieme in uno stesso partito a fare i
governi con le destre e gli ex fascisti di Almirante (il suo delfino è
diventato addirittura presidente della camera). Inossidabile è rimasto Eugenio
Scalfari che parla di competitività e di austerità. Però ci sono stati anche da
noi cambiamenti sostanziali: la liretta non c’è più, sostituita dal marco, la struttura
produttiva è in liquidazione, la proprietà pubblica svenduta. I problemi da
politici sono diventati di natura antropologica, così almeno tendono a dire gli
esperti della strana cosa. E siamo portati, al punto in cui siamo, pure a
crederci.
(*) Atti Parlamentari (VII
Legislatura), Camera dei Deputati, doc. XXVI, n. 1, Programma Triennale
1979-81, presentato dal Presidente del consiglio dei ministri alla Presidenza
il 15 gennaio 1979, pp. 11-13.
Bello l'excursus storico, impossibile non avere un po' di nostalgia per i bei? tempi andati....
RispondiEliminaTante parole sono rimaste uguali ad allora- riforme, sviluppo- altre se ne sono aggiunte-competitività, semplificazione, mercato.
La sostanza è rimasta quella anche se è cambiato tutto: non c'è più la società ma solo gli individui, il pubblico è descritto praticamente come quello che "faceva anche il panettone", privatizzare è necessario...
Intanto la spesa più alta è quella per pagare il debito che negli ultimi anni grazie alle politiche di austerità bipartisan altro non ha fatto che aumentare. Non si sente più "tintinnar di sciabole" ma in compenso credo che sarà utile ripassarsi la lettera/manifesto politico spedita dalla Bce di due estati fa...
Se il compromesso storico di allora- di cui il Pecchioli citato era uno dei cani da guardia- oggi si chiama larghe intese c'è un altro numero a cui che chi governa difficilmente rinuncia: sgravi, soldi, briciole poco prima delle elezioni. Europee, in questo caso. Lo stile è cambiato, ma la sostanza è ancora quella vintage di mamma Dc che almeno non faceva televendite
Intanto-tra una slide e un'altra- qualche risposta c'è: nel piano casa si trova il divieto retroattivo alla residenza e all'allaccio alle utenze per chi occupa una casa, i contratti a termine vengono liberalizzati e chi è assunto deve dimenticarsi dell'art. 18, gli F35 saranno acquistati tutti...
ed elemosine prima delle elezioni, come con la vecchia DC. la camusso plaude
EliminaNel bignamino di Storia forse mancano due passaggi degni di nota:
RispondiElimina- per lo struggente fogazzariano : tra il pennino (intendendosi cannuccia&pennino) e la biro dovrebbe trovarsi la stilo (la più diffusa interclassista Pelikan di colore verde e nero con ricarica a pompetta)
- per l' economista : la separazione della Banca d'Italia dal Ministero del Tesoro a cura di Beniamino Andreatta
Rendendomi conto che sul lessico si possano innescare seri confronti ideologici, proporrei la formula 'problemi antro-politici' che potrebbe
garantire la sintesi per una felice e tranquilla coesistenza.
lr
cambiare tutto affinché nulla cambi [cit. Sciascia.........anzi no]
RispondiEliminaAG