La questione fondamentale, come
sempre, è chi comanda e decide. Che siano dei capitalisti o dei loro funzionari
a decidere la produzione, oppure che a comandare l’economia siano dei burocrati
di partito, per chi lavora non fa alcuna sostanziale differenza. E dunque
che a gestire il potere in tali termini sia la classe borghese o un partito in
nome del proletariato, non cambia molto le cose, e questo l'abbiamo
imparato tutti (*). E tuttavia, come ho scritto qui fin troppe volte, per quanto
riguarda la lotta di classe (che non l'ha inventata Marx), se non si vuole semplicemente subirla come avviene
ora, serve un’organizzazione politica adeguata al compito, poiché senza si può
fare una manifestazione di piazza o spedire qualche candidato a far chiacchiere
in parlamento, ma non si può contrastare seriamente l’attacco neoliberista e
tantomeno costruire un’alternativa a questo modello sociale.
Da questa premessa sorge la
domanda se sia possibile un sistema sociale diverso dall’attuale, ossia se c’è
ancora spazio per l’utopia concreta. Finché ci sarà conflitto tra capitale e
lavoro, tra padroni e schiavi, tra necessità e spreco, tra distruzione della
natura e la sua tutela, tra pace e minaccia di guerra, questa stessa domanda non perderà mai il suo valore
essenziale e cercherà inesausta una risposta.
Se dunque avvertiamo il bisogno di
una rottura radicale con il presente, e questa esigenza pare incominci a farsi
strada anche se ancora in termini abbastanza evasivi e contraddittori, la
questione dell’organizzazione va posta, e poi cercata in termini nuovi, senza deleghe in bianco, uscendo dai vecchi modelli inglobanti della
politica di partito e dai relativi schemi partecipativi. Né, per altro
verso, possiamo accettare di cadere dalla vecchia padella in una nuova brace, facendo
buone le forme di organizzazione e di rappresentanza con connotati dispotici e
plebiscitari fintamente mediati dalla sovranità di un ineffabile popolo della
“rete” (anche se quell’esperienza qualche spunto di riflessione lo offre).
Come che sia, un soggetto politico
di classe che non ricalchi la vecchia forma partito avrà la necessità di
ripartire da un progetto di società che non si riproponga di “regolamentare” il
modello di riproduzione capitalistico. E già con questa precondizione la vedo
molto dura, perché a dirsi e farsi anticapitalisti è facile, ma a proporre un percorso
alternativo al capitalismo, con delle priorità, è tutt’altro paio di maniche. E tuttavia solo su
tale premessa si può porre realmente l’urgenza di ricostruire il senso del
collettivo dopo la sbornia liberista e riprendere un’elaborazione teorica e
culturale che recuperi il socialismo scientifico liberandolo dalle
incrostazioni del passato. Solo su tale base teorica e culturale sarà possibile
un’analisi delle tendenze nello scontro tra gli imperialismi per la spartizione
del mondo in aree d’influenza con relativo bottino di risorse e forza-lavoro.
Non vedo però francamente come
tutto ciò possa inverarsi in una situazione di generale disincanto e apatia, di
spettacolarizzazione assoluta della politica, se non nel tempo lungo e come
esito di una crisi che non è congiunturale ma di sistema, e dalla quale,
inutile illudersi, non si uscirà semplicemente con misure tecniche e
finanziarie, e tantomeno la tecnocrazia ci consentirà di conservare i livelli
di vita raggiunti, ossia i famosi diritti acquisiti (**). Siamo entrati in una
nuova fase, dove dal punto di vista sociale e politico ha preso forma un nuovo
e strisciante bonapartismo dagli esiti imprevedibili.
(*) In realtà una differenza c’è
stata: nei sistemi cosiddetti del socialismo reale un posto di lavoro ti
spettava; in un sistema di mercato il lavoro lo devi cercare e conquistare, poi lo puoi perdere e non ritrovarlo
più.
(**) La questione degli ottanta
euro (ma anche molto meno) in busta è davvero una pagliacciata. Non perché non
facciano comodo sul momento a chi li riceve, creando peraltro delle disparità
con chi sta appena sopra le 1.400 euro nette (salario decoroso ma ancora assai
modesto per chi tiene famiglia), ma perché si tratta di una partita di giro, di
una elemosina discrezionale del principe, il classico pacco alla Achille Lauro
sotto elezioni, fatta per monetizzare il consenso e anche per dividere i
salariati. Ne riparleremo, appunto, dopo le europee. Intanto i sindacati
plaudono, non hanno nulla da eccepire, nemmeno sulla prossima invasione di
salariati ucraini a basso prezzo (i cinesi d’Europa, li chiamano), e sarà su
tale terreno che si combatterà – dopo che gli imperi si sono spartiti gli schiavi – la prossima ben più decisiva battaglia.
Sulla situazione ucraina di fine post, condivido al 100%, la situazione instabile non farà altro che creare nuova manovalanza a basso costo.........in casa nostra, invece, Renzi tra un po' andrà oltre gli 80 euro in busta paga, sono pronti i mini-jobs mutuati dal modello tedesco (riforma Hartz, o meglio Azz)
RispondiEliminaAG
Assolutamente d'accordo sul bonapartismo strisciante e sul fatto che questa crisi sia di sistema e non sono bastate né basteranno misure tecnico-finanziarie: mi capita spesso di scriverlo qui , ma nessuno fa ancora i conti col fiscal compact e sarà un bella tegola che ci pioverà addosso...
RispondiEliminaRotture radicali col presente tali da invertire la rotta a breve periodo non ne vedo ma delle possibili traiettorie si: ad esempio l'esperienza della fabbriche recuperate. In Italia non sono molte- una quarantina- e il modello più interessante è quello dello Ri/Maflow: un esempio di sperimentazione finora riuscita alla porti Milano di riconversione ecologica di una fabbrica defunta...In Argentina quello delle fabbriche recuperate è ormai una realtà: se da tante crisi aziendali invece che il nulla sindacale e le tante inutili processioni sindaco-regione- ministro a cui qualcuno almeno qui in Veneto- aggiunge sempre il vescovo- si provasse a ribaltare il tavolo e dimostrare che si può vivere e lavorare senza padroni il passo avanti sarebbe gigantesco....
interessante. che si possa lavorare senza padroni mi sembra dimostrato da tanto tempo
EliminaSenza dubbio... Però la sperimentazione delle fabbriche recuperate ci dice che la riappropriazione dei mezzi di produzione è possibile. Ora. Nelle condizioni in cui siamo non in un domani che non vedremo mai.
RispondiEliminaPrima della chiusura della fabbrica invece delle solite liturgie e dei soliti tavoli gli operai di Trezzano sul Naviglio si sono ripresi il capitale fisso della fabbrica- capannone e macchinari- e sono ripartiti allargando la loro produzione e in parte riconvertendola in chiave ecologica. Come? Autogestendosi, decidendo tutto in assemblea, decidendo per una uguale retribuzione per tutti. A lavorare ora sono in 100, il luogo è diventato un punto di riferimento e la loro sperimentazione ci descrive una traiettoria opposta all'autosfruttamento. Nell'Italia del 2014 non mi sembra proprio una esperienza banale.....
effettivamente
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