«Quando vidi che tutti tendevano la mano, misi sotto anche il mio
cappello».
Alla convocazione degli Stati
generali nel 1789, la questione più importante fu subito quella di decidere se
le votazioni dovessero svolgersi per testa o per ceto. Chiaro che i rappresentanti
del terzo stato si esprimessero per il primo tipo di votazione, essendo essi il
doppio di ognuno degli altri due stati. I nobili invece insistettero perché si
votasse per stato, ritenendo che con l’appoggio del clero avrebbe potuto
dominare gli Stati generali.
Sennonché il clero, nella sua
maggioranza, voltò le spalle alla nobiltà, nonostante esso fosse composto da 48
arcivescovi e vescovi, da 35 abati e decani, ma anche da ben 208 parroci che
nella stragrande maggioranza stavano dalla parte del terzo stato, da cui del
resto traevano origine e condizione. Nei momenti decisivi è l’imprevisto a fare
la storia, non perché imprevedibile, bensì perché sottovalutato o trascurato.
Un quinto della proprietà
fondiaria in Francia apparteneva al clero, senza dubbio i terreni più fertili e
meglio coltivati, il cui valore superava quello di tutti gli altri insieme,
calcolato in circa quattro miliardi di livres,
dieci volte le entrate erariali annuali dello Stato. La rendita ammontava a 100
milioni di livres l’anno, cui sommavano
123 milioni portati dalla decima (1).
Le cariche ecclesiastiche più alte
e lucrose, così come i seggi vescovili, erano in parte già riservate alla
nobiltà, per il resto erano di nomina regia e andavano ugualmente alla nobiltà.
I 131 arcivescovi e vescovi di Francia avevano insieme entrate annuali per più
di 14 milioni di livres, più di
100mila livres pro capite. Il
cardinale Rohan, arcivescovo di Strasburgo, percepiva, come principe della
Chiesa, più di un milione di livres
l’anno. Questo umile pastore di anime potè permettersi il lusso di acquistare
una collana di diamanti per 1,4 milioni di livres
nella speranza di conquistare in tal modo i favori della regina Maria
Antonietta. Per avere un’idea di questi abnormi redditi, si deve pensare che le numerose famiglie nobili della
piccola e bassa nobiltà delle province economicamente arretrate, non ricavavano dai propri possedimenti nemmeno 50 livres
l’anno!
I religiosi e il basso clero,
quindi anche i parroci, provenivano dal terzo stato, vivevano in povertà – e
qui va deluso un luogo comune –, alloggiavano in catapecchie, soffrendo spesso
quasi la fame, in mezzo a una popolazione misera, e non c’era nulla nella loro
condizione che li facesse sentire in qualche modo dei privilegiati (2).
A loro toccava il lavoro sporco, ossia favorire lo sfruttamento di un popolo al
quale veniva tolto tutto in cambio di pedate; intimare al gregge di ubbidire
ciecamente verso quegli inutili perdigiorno della nobiltà che scialacquavano
con le loro puttane la ricchezza prodotta. Insomma, di là
dell’apparenza, mutatis
mutandis, le cose camminavano come zoppicano oggi.
Ciò è eloquente della scelta del
basso clero quando decise di piantare in asso la nobiltà agli Stati generali. A
questo punto doveva essere l’esercito a rimediare alla sconfitta della nobiltà.
La corte adottò imponenti misure militari a Versailles e a Parigi che
preannunciavano un colpo di Stato. Se Parigi fosse stata battuta, allora si
poteva sperare di riportare le cose a posto, ossia di liberarsi dell’Assemblea
nazionale che nel frattempo s’era costituita. Quando il 12 luglio fu deciso il
licenziamento di Necker, ministro delle finanze favorevole alle riforme, fu
provocata senza sforzo un’insurrezione. E, contrariamente a quanto
preventivato, l’esercito passò dalla parte del popolo e si rifiutò di sparare e
gli ufficiali dovettero ritirarlo se non volevano assistere alla defezione di
sottufficiali e soldati. Fu allora che il 13 luglio il popolo si armò e il giorno
dopo passò alle vie di fatto.
Perché, al pari del basso clero, anche i soldati e i sottufficiali non appoggiarono la monarchia e la nobiltà? Anche nell'esercito, così come
nel clero, l’alta gerarchia era costituita dalla nobiltà, specie in
tempo di pace la categoria degli ufficiali era appannaggio dell’aristocrazia
(fino a Luigi XIV anche i borghesi potevano accedere alla carriera per merito,
poi l’editto del 1781 riservò i posti alla nobiltà che doveva dimostrare di non
avere meno di quattro avi nobili nella linea di discendenza maschile). Gli
ufficiali costavano 46 milioni di livres l’anno,
tutti i soldati e i sottufficiali dovevano accontentarsi di 44 milioni.
Il terzo stato forniva la truppa (la “canaglia”) e i sottufficiali, i quali costituivano l’ossatura
vera delle guardie e dell’esercito, erano loro, cinghia di trasmissione tra gli
ufficiali e la truppa, che avevano il compito di addestrare all’obbedienza i
loro sottoposti. Con un salario sempre malsicuro e scarso, senza alcuna
prospettiva di carriera, maltrattati da sbarbatelli e bellimbusti aristocratici
che non capivano nulla del servizio militare e non se ne curavano, dovevano
farsi carico del lavoro più faticoso e ingrato. Tanto più aumentava l’arroganza
e la cupidigia dei nobili, tanto più i sottufficiali venivano spinti dalla
parte del terzo stato. E quando l’aristocrazia, nel momento decisivo, ebbe
bisogno più che mai delle truppe ausiliarie, queste gli si rivoltarono contro.
La defezione dei parroci e delle
guardie – eccetto i soliti mercenari svizzeri che vivevano ben altra condizione
– sono due momenti decisivi della rivoluzione francese. Eppure, almeno sulla
carta, questa massa reazionaria costituita da nobiltà, clero ed esercito doveva
sembrare unita. Invece era disunita, spaccata, e anche una parte della nobiltà
era assolutamente inaffidabile, quella paradossalmente più ultrareazionaria,
ossia la piccola e media nobiltà di provincia, quella che viveva ancora probamente
e in termini feudali nei propri possedimenti, contrarissima allo sfarzo e allo
spreco della corte e dell’alta nobiltà, a dir poco infastidita da corruzione
e meretricio dilaganti.
La nobiltà nel suo complesso era
composta, secondo il Taine, da 25-30mila famiglie con 140mila membri. A corte
erano presenti circa 15.000 persone, la stragrande maggioranza solo per
riscuotere stipendio legato a qualsivoglia titolo. Erano i più retribuiti
nonostante gli impieghi ai quali erano adibiti richiedessero minime conoscenze
ma conducevano direttamente alla fonte di tutte le agevolazioni e di tutti i
divertimenti (così come oggi lo stipendio e i privilegi di casta sono legati a
qualsivoglia carica politico-amministrativa).
Un decimo delle entrate fiscale
dello Stato, più di 40 milioni di livres
(una somma con un potere d’acquisto enorme), serviva per mantenere questa massa
di esseri inutili, anzi dannosi alla società. La nobiltà che non era impiegata
negli ozi dissipativi della corte, puntava a ricoprire incarichi nello Stato con l'unico fine di svolgere un “lavoro” di rappresentanza che garantiva inoltre a chi lo
svolgeva il compito di divertirsi con i suoi consimili. Inutile
dire che questi posti erano lautamente remunerati (3).
La famiglia del monarca spese in
un breve arco di anni circa 80 milioni di livres, e altri 150 milioni furono spesi in regalie e rendite. Ognuno dei due
fratelli del re aveva intascato in questo modo 14 milioni. Il ministro delle
finanze Calonne, pochi anni prima del patatrac, a fronte dell’enorme debito del
bilancio statale, acquistò tuttavia il castello di campagna di St. Cloud per la
regina, per la modica somma di 15 milioni e per il re la famosa residenza di
Rambouillet per un’inezia, 14 milioni. Re e regina sollazzavano e si
accoppiavano in residenze diverse e distanti. Questi cani spesero bene i giorni che restavano loro da vivere.
La famiglia Polignac, che godeva
del particolare favore di Maria Antonietta (povera martire), percepiva da sola
pensioni per un ammontare di 700mila livres.
Il duca di Polignac riceveva inoltre una rendita vitalizia i 120mila livres e un dono straordinario di 1,2
milioni per acquistare una tenuta. Un saccheggio organizzato dalla classe
dominante sul popolo. Chiaro quindi che l’alto clero, l’aristocrazia di corte e
l’alta burocrazia e gli ufficiali dell’esercito avevano tutto l’interesse di
rafforzare il potere assoluto della monarchia, alla quale, per far fronte a
tutte le richieste e dissipazioni, non restava altro che aumentare la pressione
fiscale, un po’ come succede oggi in Italia con la famosa “casta” (4).
E tuttavia, come detto più sopra,
una parte della nobiltà, non soltanto non prendeva parte a questo saccheggio
(se non nei termini dell’economia feudale), ma ne era estremamente indignata,
come nel caso della piccola nobiltà della Bretagna e della Vandea che viveva
come nei secoli addietro nei suoi castelli in mezzo ai suoi contadini,
condividendone la rozzezza e l’incultura (nel senso della refrattarietà alla cultura “alta”), ma anche il vigore
e la sicurezza di sé, con un contenuto tenore di vita, limitandosi a mangiare e
bere ciò che riceveva in natura dai suoi valvassori. Questi nobili provinciali
non si sentivano dei cortigiani servili, non vivevano grazie alla magnanimità
del monarca dal quale non ricevevano nulla e non ne avevano bisogno. Non contraevano
debiti e non facevano spese elevate, per cui non dovevano strangolare i
contadini con esagerate pretese, come facevano invece gli inutili sfruttatori e parassiti delle
regioni progredite.
Per quanto riguarda
l’amministrazione statale, gli organismi della vecchia amministrazione feudale
si erano conservati, ma privi in genere di effettive funzioni. Accanto a questi
organi inutili ne furono creati degli altri, alle cui cariche si accedeva per
nomina reale, comprandole. Si arrivò a togliere autonomia alle città per
rendere statali gli incarichi nell’amministrazione locale, finché esse non
pagavano un riscatto per riaverla! Alla fine si arrivò a un vero e proprio
commercio delle cariche più assurde: come quella di sorvegliante delle
parrucche, controllori di suini, e pure quelli del fieno, conseiller du roi contrôleurs aux empilements des bois (controllori
dell’accatastamento della legna), non meno che conseiller du roi rouleur et courtier de vin, e via delirando.
All’inizio questi funzionari erano
quasi privi di stipendio, per cui il loro trattamento era assicurato da tasse e
gabelle, o da sportule con cui la popolazione pagava gli adempimenti
burocratici, che ovviamente andavano proliferando. Per quanto riguarda i
funzionari della giustizia e della polizia che esercitavano nelle tenute
agricole, anche essi si erano nel tempo sostituiti ai feudatari, non ricevevano
uno stipendio e al contrario dovevano pagare per ricevere i loro posti, perciò
va da sé che compravano in tal modo il permesso di spennare chi sudava per
campare.
Le cariche amministrative e
giudiziarie, godendo dell’esenzione delle tasse e di altri privilegi, potevano
anche diventare ereditarie in cambio di un determinato tributo, e si arrivò
così alla nobiltà di toga (noblesse de robe), rispetto alla vecchia nobiltà
feudale (noblesse de l’épée). La nuova nobiltà, una volta acquisita la carica e
il rango non aveva più bisogno del re, perciò diventò alquanto indisciplinata
pur essa.
Non dirò qui, perché le loro
vicende sono ben note fin dai banchi di scuola, della folta schiera di avvocati
e intellettuali a vario titolo che ebbero un ruolo davvero di primo piano nello
sviluppo delle vicende rivoluzionarie come già lo ebbero nelle premesse. Perciò
per ultimo, in questa panoramica necessariamente schematica, dirò solo qualche
parola su una frazione particolare della classe borghese: quella dei signori
dell’alta finanza.
A questi signori dell’alta
borghesia, veniva riservato un riguardo del tutto diverso rispetto ai
padroncini dell’artigianato e del commercio, tanto che il superbo Luigi XIV una
volta accolse il finanziere Samuel Bernard, al cospetto della corte, come un
principe. Il perché è intuibile: questi scialacquatori, dal re all’ultimo dei
suoi paggi, vivevano a debito e avevano sempre un bisogno famelico di contante.
Dipendeva perciò da questi personaggi dell’alta finanza se essi non finivano in
bancarotta, dipendeva da loro il prolungarsi della inutile esistenza di questi
cortigiani (prima che sopraggiungesse madame la guillotine, ovviamente).
Questi parvenu dell’economia
monetaria finivano per comprarsi pure i titoli nobiliari, e per condividere con
i nobili le stesse puttane e permettersi le stesse dimore. In tal modo le due
frazioni di classe, l’alta nobiltà e la finanza borghese, finirono per trovarsi
nello stesso fango. Succedeva pure che qualche riccastro sposasse una nobile ma
spiantata vedova acquisendone il titolo. Del resto la nobiltà di sangue,
schiava del denaro dei banchieri, doveva consolarsi col fatto che anche i migliori
campi ogni tanto devono essere concimati; ma da allora essa sprofondò anche in
questo nel letame.
Per chiudere, un’annotazione sul
ministro delle finanze Calonne, la cui vicenda, letta oggi in filigrana, mi
sembra molto istruttiva, almeno dal mio punto di vista. Questi era un
imbroglione superficiale, ma scaltro e sfacciato e che piaceva alla regina.
Sacrificava alla nobiltà e ai suoi sperperi non solo le entrate attuali ma
anche quelle future. Con un prestito dopo l’altro nei tre anni nei quali fu
ministro, arrivò a farsi prestare dal Tesoro 650 milioni, una somma enorme per
le condizioni di allora. Quasi tutto questo denaro fu intascato dal re, dalla
regina e dai favoriti. Il Colonne si fece pagare i suoi debiti privati, 230.000
livres, dal re. Tutti a corte si meravigliavano della facilità e della rapidità
con cui aveva risolto la questione sociale!
Sennonché dopo tre anni di artifici
finanziari, Calonne non sapeva più che pesci pigliare, essendo ormai il deficit
annuo salito a 140 milioni di livres.
Si vide perciò costretto a confessare che nessun prestito poteva più essere
contratto, e che l’unica soluzione era aumentare le entrate e diminuire le
uscite, e tutte e due le cose erano impossibili a spese della solita classe
sociale perché non c’era più nulla da depredare. Non restava che tagliare le
spese ai privilegiati. Quando lo comunicò ai notabili da lui convocati il 27
febbraio 1787, successe il finimondo. Rimosso il ministro, la questione rimase
e anzi s’aggravò.
Attenzione: fu allora che la
nobiltà s’accorse che la monarchia non era più in grado di assicurare il loro
futuro sfruttando la Francia nelle proporzioni fino ad allora garantite. Loro
malgrado i privilegiati non avevano ben chiaro, anzi non lo avevano affatto, di
come fossero cambiati i rapporti di forza sociali. Furono essi, per primi, a
passare sul terreno rivoluzionario. Il resto, anche il resto, è storia.
(1) Nel 1791 si valutarono i beni
della Chiesa venduti o in vendita, senza i boschi, a 3,7 miliardi di livres. 24 livres equivalevano a un Luigi d’oro, pari a grammi 8,16.
(2) Secondo H. Taine (Les origines del la France contemporaine,
Laffont, coll. Bouquins, I, i preti e i vicari erano 60.000, 23.000
i monaci e 37.000 le suore. Cfr. l'ediz. italiana del Taine, Le origini della Francia contemporanea. L'antico regime, Adelphi, 1986, cap. II.
(3) L’ordonnance de 1776 avait réduit ainsi ces diverses places: 18
gouvernements généraux à 60.000 livres, 21 à 30.000, 114 gouvernements
particuliers, dont 25 à 12.000 livres, 25 à 10.000, 64 à 8 000, 176 lieutenants
et commandants de villes, places, etc., dont 35 de 6.000 à 16.000, et 141 de
2.000 à 6.000. L’ordonnance de 1788 établit en outre 17 commandants en chef
ayant de 20.000 à 30.000 livres de fixe, et de 4.000 à 6.000 par mois de
résidence [sussidio per l’alloggio], et des commandants en second (Taine,
cit., p. 110, in nota; cfr. ed. Adelphi, nota 109 a p. 153).
(4) In rete si può scaricare il
lavoro di Luis Blanc, Histoire del la révolution
française, con dati particolareggiati sulle pensioni che venivano concesse
ai nobili (a prescindere dall’età, ovviamente). Mi è stato molto utile per
questo post il lavoro di sintesi di K. Kautsky, Die
Klassengegensätze von 1789: Zum hundertjährigen Gedenktag der großen Revolution, 1889.
Tutto vero, anche se i privilegiati di allora non facevano ribrezzo tanto quanto le mezze calzette calvinisti col culo degli altri di oggi (almeno commissionavano grandi opere d'arte). E anche se si trattò di una rivoluzione borghese, per cui i miserabili rimasero in buona parte tali. E per molto tempo.
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