lunedì 10 marzo 2014

American way


Il film di Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore (1964), ha fatto epoca ed è a ragione un cult della cinematografia. Per chi non avesse visto il film o non lo ricordasse, cerco di riassumerne la trama a memoria.

Siamo in epoca di guerra fredda (anche se nella fase della "coesistenza competitiva"), subito dopo la crisi di Cuba (1962), e c’è un generale a stelle e strisce, comandante di una base aerea da dove decollano i famosi bombardieri che in caso di conflitto nucleare hanno il compito di colpire l’Urss. Un brutto giorno il generale, che come tutti i buoni americani è un fanatico anticomunista, decide di dar corso alle sue fantasie di sterminio del pericolo rosso, inventandosi un presunto e in realtà inesistente attacco nucleare sovietico. Perciò ordina ai suoi 32 bombardieri in volo armati di ordigni nucleari di attaccare gli obiettivi prefissati. Lo può fare in forza di una disposizione presidenziale da poco emanata.



Una volta ricevuto l’ordine, i bombardieri possono essere richiamati indietro solo se ricevono un determinato segnale radio, un codice che manco a dirlo conosce solo il generale. Questo fatto non deve stupire molto. Sapete nella realtà qual era il codice di lancio a otto cifre dei missili Minutemen? Per molto tempo è stato: 00000000. Ci vuole fantasia per un codice del genere.

Uno degli episodi più esilaranti del film è quello che ha per protagonista un colonnello inglese della Raf dislocato nella stessa base del generale folle. Egli si è accorto che da parte dell’Urss non c’è stato alcun attacco nucleare e che il generale è più instabile del solito. E per tale motivo il generale tiene il colonnello chiuso a chiave con sé nel proprio ufficio, sotto minaccia armata.

A Washington si viene a sapere dell’attacco ordinato dal generale e subito si riuniscono i vertici politici e militari per le misure del caso. Lo chef delle forze armate dice al presidente: preso atto che le comunicazioni con la base e quindi con il generale sono interrotte, posto che i bombardieri non si possono richiamare, approfittiamo dell’occasione per lanciare un attacco in grande stile e liquidare i “comunisti”. Il tutto avviene in un’atmosfera parossistica.

Sennonché il presidente Usa, nelle vesti molto più riflessive e bonarie di un Kennedy o di un Nixon, decide, contro il parere dei generali, di informare i russi dell’accaduto, tramite l’ambasciatore a Washington (*). E qui si scatenano i luoghi comuni, le gag sui russi ubriaconi, puttanieri, spioni e altro. Il presidente decide anche di mandare delle truppe ad occupare la base dove si trova il generale “indisciplinato”.

Ad ogni buon conto, il presidente segnala alle autorità russe le rotte degli aeri, in modo che possano essere intercettati e abbattuti prima dello sgancio delle bombe. Anche perché il presidente Usa viene informato che in una delle basi obiettivo dell’attacco è dislocato un ordigno di rara potenza che esplode automaticamente in simili casi. La potenza distruttiva dell’ordigno è indicata dal suo nome stesso: “bomba fine del mondo”.

L’attacco dei marines alla base comandata dal generale idiosincratico verso il rosso, ha come risultato il suicidio dello stesso generale e la cattura del colonnello della Raf, il quale fatica non poco a convincere il comandante dei marines che lui con le iniziative del generale non c’entra per nulla. Anzi, lo informa di essere in possesso del codice per il richiamo dei bombardieri, codice che va comunicato al presidente.

Le linee di comunicazione con Washington sono interrotte e funziona solo un telefono a monetine di una cabina a uso pubblico. E qui il film dà una delle cose migliori: il colonnello inglese chiede alla centralinista di poter parlare urgentemente con il presidente degli Usa addebitando la telefonata al destinatario, un classico della cinematografia americana. La centralinista risponde che non si può. Chissà, forse gli disse anche: cascasse il mondo!

Al povero militare inglese (che si chiama Lionel Mandrake, un nome che non si può dimenticare) non resta che convincere il colonnello dei marines a prelevare delle monetine da una macchina distributrice di bevande. Siamo matti, è un reato! Per farla breve, il marines spara sul distributore da dove fuoriescono le monetine necessarie per effettuare la fatidica telefonata “salva mondo”.

Il codice di rientro, comunicato al presidente, è trasmesso ai bombardieri: 28 fanno marcia indietro e quattro sono già stati abbattuti. In realtà solo tre sono stati abbattuti, il quarto, sebbene intercettato e danneggiato da un missile russo, si sta dirigendo, con il suo caparbio comandante, verso l’obiettivo designato, che guarda caso è proprio la base dove è dislocata l’ormai famigerata “bomba fine del mondo”. Il comandante, un texano con il cappello alla John Wayne, dati i danni subiti dall’aereo, ha difficoltà a sganciare l’atomica, e ci riesce solo dopo alcune comicissime manovre e salendo a cavalcioni sulla bomba. Il pilota precipita a cavallo della bomba agitando il cappello come in un rodeo, felice del dovere compiuto. Il film si chiude con una serie di pirotecnici “funghi”.

Raccontato in modo così didascalico, il film potrebbe sembrare una parodia di qualcosa alla James Bond, ed invece nonostante l’età è un film non solo molto godibile, data la sua impronta irresistibilmente comica, ma conserva anche intatto il suo significato sui rischi di una guerra nucleare, cosa che va da sé, e come questa possa deflagrare per mera casualità laddove ne esistano le premesse (**).

*

Ieri, sul Domenicale del Sole 24 ore, si poteva leggere, in prima pagina, un estratto del libro di Emilio Gentile (Storia illustrata della grande guerra), in cui l’autore dice: “Non fu inevitabile per fatalità, ma non esplose neppure per caso, anche se il caso ebbe la sua parte”.

Giusto quanto scrivevo nel mio post del giorno prima:

La casualità e l’imponderabilità in queste faccende hanno il loro peso, non di rado decisivo. Ricordo ad esempio che il primo colpo di pistola che portò alla grande guerra europea del 1914-’18 non fu sparato a Sarajevo, ma in Libia dagli italiani. Con tale aggressione, nel 1911, essi dimostrarono ai popoli sottomessi alla monarchia ottomana la debolezza, la decadenza e l’arrendevolezza dell’impero. Poco dopo, nel 1913, scoppiarono le guerre balcaniche, prodromo di ciò che seguì nell’agosto dell’anno dopo in un’escalation di ultimatum tra potenze nessuna delle quali disposta a fare un passo indietro, come sempre accede in simili frangenti.


(*) Nel 1963, in fase di "coesistenza competitiva", tra Usa e Urss venne raggiunto un "accordo per un Canale di Comunicazione Diretto",  poi nel settembre 1971 vi fu un altro accordo teso al "miglioramento del canale di comunicazione diretto", basato su due circuiti addizionali di comunicazione via satellite.

(**) Nell'agosto del 1963 fu stipulato un trattato tra Usa, Urss e GB sulla proibizione degli esperimenti nucleari nell'atmosfera, nello spazio extra-atmosferico e sottomarino; nel luglio 1968 seguì un trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari. Nel luglio 1991 George Bush senior e Michail Gorbaciov firmavano lo Strategic Arms Reduction Teatry (più noto con la sigla Start I, cui seguì nel 1993 lo Start II: per un aggiornamento dei dati, clicca QUI) che prevedeva che ciascuna delle due superpotenze non possedesse più di 6.000 testate nucleari montate su non più di 1.600 missili balistici intercontinentali. Insomma, una forza distruttiva che sommata farebbe ugualmente tabula rasa del pianeta. Il trattato obbligava le due nazioni a distruggere buona parte del loro arsenale. Un'impresa complicata e con costi elevatissimi. Thomas Neff, un esperto del Mit, propose un'idea semplice che chi è curioso può leggere QUI.



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