Il film di Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore (1964), ha fatto
epoca ed è a ragione un cult della cinematografia. Per chi non avesse visto il film o non lo ricordasse, cerco di
riassumerne la trama a memoria.
Siamo in epoca di guerra fredda (anche se nella fase della "coesistenza competitiva"),
subito dopo la crisi di Cuba (1962), e c’è un generale a stelle e strisce,
comandante di una base aerea da dove decollano i famosi bombardieri che in caso
di conflitto nucleare hanno il compito di colpire l’Urss. Un brutto giorno il
generale, che come tutti i buoni americani è un fanatico anticomunista, decide di
dar corso alle sue fantasie di sterminio del pericolo rosso, inventandosi un
presunto e in realtà inesistente attacco nucleare sovietico. Perciò ordina ai
suoi 32 bombardieri in volo armati di ordigni nucleari di attaccare gli
obiettivi prefissati. Lo può fare in forza di una disposizione presidenziale da
poco emanata.
Una volta ricevuto l’ordine, i
bombardieri possono essere richiamati indietro solo se ricevono un determinato segnale
radio, un codice che manco a dirlo conosce solo il generale. Questo fatto non
deve stupire molto. Sapete nella realtà qual era il codice di lancio a otto
cifre dei missili Minutemen? Per
molto tempo è stato: 00000000. Ci vuole fantasia per un codice del genere.
Uno degli episodi più esilaranti
del film è quello che ha per protagonista un colonnello inglese della Raf
dislocato nella stessa base del generale folle. Egli si è accorto che da parte
dell’Urss non c’è stato alcun attacco nucleare e che il generale è più instabile
del solito. E per tale motivo il generale tiene il colonnello chiuso a chiave con sé
nel proprio ufficio, sotto minaccia armata.
A Washington si viene a sapere
dell’attacco ordinato dal generale e subito si riuniscono i vertici politici e
militari per le misure del caso. Lo chef delle forze armate dice al presidente:
preso atto che le comunicazioni con la base e quindi con il generale sono
interrotte, posto che i bombardieri non si possono richiamare, approfittiamo
dell’occasione per lanciare un attacco in grande stile e liquidare i
“comunisti”. Il tutto avviene in un’atmosfera parossistica.
Sennonché il presidente Usa, nelle
vesti molto più riflessive e bonarie di un Kennedy o di un Nixon, decide,
contro il parere dei generali, di informare i russi dell’accaduto, tramite
l’ambasciatore a Washington (*). E qui si scatenano i luoghi comuni, le gag sui
russi ubriaconi, puttanieri, spioni e altro. Il presidente decide anche di
mandare delle truppe ad occupare la base dove si trova il generale
“indisciplinato”.
Ad ogni buon conto, il presidente
segnala alle autorità russe le rotte degli aeri, in modo che possano essere
intercettati e abbattuti prima dello sgancio delle bombe. Anche perché il
presidente Usa viene informato che in una delle basi obiettivo dell’attacco è
dislocato un ordigno di rara potenza che esplode automaticamente in simili
casi. La potenza distruttiva dell’ordigno è indicata dal suo nome stesso:
“bomba fine del mondo”.
L’attacco dei marines alla base
comandata dal generale idiosincratico verso il rosso, ha come risultato il
suicidio dello stesso generale e la cattura del colonnello della Raf, il quale
fatica non poco a convincere il comandante dei marines che lui con le
iniziative del generale non c’entra per nulla. Anzi, lo informa di essere in
possesso del codice per il richiamo dei bombardieri, codice che va comunicato
al presidente.
Le linee di comunicazione con
Washington sono interrotte e funziona solo un telefono a monetine di una cabina
a uso pubblico. E qui il film dà una delle cose migliori: il colonnello inglese
chiede alla centralinista di poter parlare urgentemente con il presidente degli
Usa addebitando la telefonata al destinatario, un classico della cinematografia
americana. La centralinista risponde che non si può. Chissà, forse gli disse
anche: cascasse il mondo!
Al povero militare inglese (che si
chiama Lionel Mandrake, un nome che non si può dimenticare) non resta che
convincere il colonnello dei marines a prelevare delle monetine da una macchina
distributrice di bevande. Siamo matti, è un reato! Per farla breve, il marines
spara sul distributore da dove fuoriescono le monetine necessarie per
effettuare la fatidica telefonata “salva mondo”.
Il codice di rientro, comunicato
al presidente, è trasmesso ai bombardieri: 28 fanno marcia indietro e quattro
sono già stati abbattuti. In realtà solo tre sono stati abbattuti, il quarto,
sebbene intercettato e danneggiato da un missile russo, si sta dirigendo, con
il suo caparbio comandante, verso l’obiettivo designato, che guarda caso è
proprio la base dove è dislocata l’ormai famigerata “bomba fine del mondo”. Il
comandante, un texano con il cappello alla John Wayne, dati i danni subiti
dall’aereo, ha difficoltà a sganciare l’atomica, e ci riesce solo dopo alcune
comicissime manovre e salendo a cavalcioni sulla bomba. Il pilota precipita a
cavallo della bomba agitando il cappello come in un rodeo, felice del dovere
compiuto. Il film si chiude con una serie di pirotecnici “funghi”.
Raccontato in modo così didascalico,
il film potrebbe sembrare una parodia di qualcosa alla James Bond, ed invece
nonostante l’età è un film non solo molto godibile, data la sua impronta
irresistibilmente comica, ma conserva anche intatto il suo significato sui
rischi di una guerra nucleare, cosa che va da sé, e come questa possa
deflagrare per mera casualità laddove ne esistano le premesse (**).
*
Ieri, sul Domenicale del Sole 24 ore, si poteva leggere, in prima
pagina, un estratto del libro di Emilio Gentile (Storia illustrata della grande guerra), in cui l’autore dice: “Non fu inevitabile per fatalità, ma non
esplose neppure per caso, anche se il caso ebbe la sua parte”.
Giusto quanto scrivevo nel mio
post del giorno prima:
La casualità e l’imponderabilità
in queste faccende hanno il loro peso, non di rado decisivo. Ricordo ad esempio
che il primo colpo di pistola che portò alla grande guerra europea del 1914-’18
non fu sparato a Sarajevo, ma in Libia dagli italiani. Con tale aggressione,
nel 1911, essi dimostrarono ai popoli sottomessi alla monarchia ottomana la
debolezza, la decadenza e l’arrendevolezza dell’impero. Poco dopo, nel 1913,
scoppiarono le guerre balcaniche, prodromo di ciò che seguì nell’agosto
dell’anno dopo in un’escalation di ultimatum tra potenze nessuna delle quali
disposta a fare un passo indietro, come sempre accede in simili frangenti.
(*) Nel 1963, in fase di "coesistenza competitiva", tra Usa e Urss venne raggiunto un "accordo per un Canale di Comunicazione Diretto", poi nel settembre 1971 vi fu un altro accordo teso al "miglioramento del canale di comunicazione diretto", basato su due circuiti addizionali di comunicazione via satellite.
(**) Nell'agosto del 1963 fu stipulato un trattato tra Usa, Urss e GB sulla proibizione degli esperimenti nucleari nell'atmosfera, nello spazio extra-atmosferico e sottomarino; nel luglio 1968 seguì un trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari. Nel luglio 1991 George Bush senior e Michail Gorbaciov firmavano lo Strategic Arms Reduction Teatry (più noto con la sigla Start I, cui seguì nel 1993 lo Start II: per un aggiornamento dei dati, clicca QUI) che prevedeva che ciascuna delle due superpotenze non possedesse più di 6.000 testate nucleari montate su non più di 1.600 missili balistici intercontinentali. Insomma, una forza distruttiva che sommata farebbe ugualmente tabula rasa del pianeta. Il trattato obbligava le due nazioni a distruggere buona parte del loro arsenale. Un'impresa complicata e con costi elevatissimi. Thomas Neff, un esperto del Mit, propose un'idea semplice che chi è curioso può leggere QUI.
(*) Nel 1963, in fase di "coesistenza competitiva", tra Usa e Urss venne raggiunto un "accordo per un Canale di Comunicazione Diretto", poi nel settembre 1971 vi fu un altro accordo teso al "miglioramento del canale di comunicazione diretto", basato su due circuiti addizionali di comunicazione via satellite.
(**) Nell'agosto del 1963 fu stipulato un trattato tra Usa, Urss e GB sulla proibizione degli esperimenti nucleari nell'atmosfera, nello spazio extra-atmosferico e sottomarino; nel luglio 1968 seguì un trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari. Nel luglio 1991 George Bush senior e Michail Gorbaciov firmavano lo Strategic Arms Reduction Teatry (più noto con la sigla Start I, cui seguì nel 1993 lo Start II: per un aggiornamento dei dati, clicca QUI) che prevedeva che ciascuna delle due superpotenze non possedesse più di 6.000 testate nucleari montate su non più di 1.600 missili balistici intercontinentali. Insomma, una forza distruttiva che sommata farebbe ugualmente tabula rasa del pianeta. Il trattato obbligava le due nazioni a distruggere buona parte del loro arsenale. Un'impresa complicata e con costi elevatissimi. Thomas Neff, un esperto del Mit, propose un'idea semplice che chi è curioso può leggere QUI.
Film fantastico, che non mi pare abbia vinto l'Oscar
RispondiEliminaAG
malizioso
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