martedì 18 novembre 2014

Purché il popolo non abbia ad alzare la testa


“La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi”. Così scrisse Karl Marx ne Il Manifesto del Partito Comunista. Ciò significa che la storia muove e si sviluppa in forza del carattere conflittuale dei rapporti sociali. Infatti precisò subito Marx:

“Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta”.



Scrisse al riguardo Engels nella Prefazione al Diciotto Brumaio:

Fu proprio Marx ad aver scoperto per primo la grande legge dell'evoluzione storica, la legge secondo la quale tutte le lotte della storia, si svolgano sul terreno politico, religioso, filosofico, o su un altro terreno ideologico, in realtà non sono altro che l'espressione più o meno chiara di lotte fra classi sociali; secondo la quale l'esistenza, e quindi anche le collisioni, di queste classi sono a loro volta condizionate dal grado di sviluppo della loro situazione economica, dal modo della loro produzione e dal modo di scambio che ne deriva. Questa legge […] ha per la storia la stessa importanza che per le scienze naturali la legge della trasformazione dell'energia […].

Ovviamente da allora ogni insulso borghese ebbe da obiettare ed eccepire con trovate più o meno intelligenti. Invece una delle tante conferme storiche all’assunto di Marx si può rintracciare nella Storia di Firenze (1200-1575) di John M. Najemy, laddove l’autore individua nei conflitti di classe, per contrapposti interessi economici e di potere, i moventi attraverso i quali si svilupparono le vicende e la cultura cittadina di quei secoli, andando oltre l’immagine stereotipata di una Firenze culla del Rinascimento abitata da numerosi ricchi illuminati e colti patrocinatori delle arti.

Sono sostanzialmente due le classi sociali che si fronteggiano, in costante evoluzione, anche se divise al loro interno in frazioni e fazioni. E non a caso Najemy parte dalle trasformazioni delle strutture sociali e di governo fiorentino tra il Due-Trecento, altrimenti il costituirsi del successivo sistema ottimatizio mediceo parrebbe quasi inspiegabile.

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Quando nel 1464 morì Cosimo de Medici, figlio del capostipite Giovanni di Bicci (amico e banchiere di Baldassare Cossa, poi Giovanni XXIII, di cui la grande tomba nel celebre battistero antistante Santa Maria del Fiore), gli sarebbe dovuto succedere il figlio maggiore, di nome Giovanni come il nonno, se non fosse prematuramente morto tre anni prima della scomparsa del padre. A succedere a Cosimo fu dunque il figlio minore, Piero, che sarà conosciuto come il Gottoso.  Fu in quel momento che le divisioni tra élite antimedicea e popolo si fecero più evidenti, sebbene ognuna di queste mirasse a recuperare forme di governo che considerava tradizionali.

Sia il popolo, che però non deve qui essere inteso semplicemente come il proletariato urbano, sia l’élite, tendevano a sostituire l’oligarchia mediacea con sistemi politici e di governo molto differenti tra loro. Il popolo voleva recuperare un sistema elettorale ad ampio scrutinio e sorteggio, scrive Najemy, originariamente escogitato dall’élite. L’élite, a sua volta, si stava orientando verso un modello politico oligarchico alla veneziana, sostenendo che “la libertà sarebbe stata meglio difesa da un’aristocrazia ereditaria o di merito”.

Questa spaccatura tra popolo ed élite si venne a ripetere anche in seguito, per decenni, tanto che tali prolungati contrasti, di cui peraltro i due schieramenti erano consapevoli, consentivano a Medici di imporre la propria soluzione. Per farla breve, anche nel caso di Piero il Gottoso, così come era avvenuto trent’anni prima, e cioè nel 1434 con Cosimo suo padre, l’antipatia per quella che veniva considerata come una tirannide, mosse l’élite e il popolo contro i Medici.

E però, come nel 1434, l’élite antimedicea, nel “timore che il popolo minuto”, vinto Piero, “non gli venissi voglia – come riporta un cronista del tempo (Marco Parenti) – di rivoltarsi agli altri benestanti, pensando a questo modo potere uscire dalle miserie loro et diventare di bisognosi agiati, et forse poi, crescendo loro l’animo, risentirsi dello stato, et pigliarlo per loro come fé nel 1378” (cioè con la rivolta dei Ciompi), tradì gli originali propositi di stabilire una nuova forma di governo, e, sebbene riluttante, si alleò con i Medici.

E non è forse ciò che successe poi nel 1871 con la Comune di Parigi, e non furono poi i socialdemocratici tedeschi a consegnare gli spartachisti ai loro assassini? E tutto ciò dimostra per l’ennesima volta che non bisogna fidarsi delle classi dominanti, che nessuna alleanza o compromesso è possibile pena la soccombenza. E inoltre dimostra che qualunque forma di governo è bene accetta alle classi dominanti, fosse pure la tirannia, purché il popolo non abbia ad alzare la testa.


3 commenti:

  1. Dell'omicidio della Luxemburg, ne ho ricordo. Ma per la Comune di Parigi, lei intende della mancata alleanza dei contadini con il proletariato parigino?

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    1. no. dell'alleanza della borghesia francese con i prussiani per abbattere la comune

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    2. Eh, la memoria!

      Grazie.

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