giovedì 6 novembre 2014

Il Diciotto brumaio di Angela Kasner (e altro)


Domenica prossima ricorre il 215° anniversario del diciotto brumaio, il colpo di stato organizzato da quella che fu definita “la bisca di preti”, ossia Siéyes, Fouché, Talleyrand e che consegnò la Francia a Napoleone quale rappresentante degli interessi della borghesia nazionale, segnatamente quelli dei capitalisti immobiliari, cui era stato promesso l’abolizione del prestito forzoso e che finanziarono il colpo, e degli interessi dei fornitori governativi cui l’assemblea dei Cinquecento aveva posto la mozione per l’abolizione del loro diritto preferenziale ai pagamenti del Tesoro.



Circa 120 anni dopo, negli stessi giorni autunnali, successe la medesima cosa con il Fascismo a proposito della nominatività dei titoli di Stato, legge avversata strenuamente dai soliti gruppi industriali e finanziari, molto temuta dal Vaticano che aveva in Italia la quasi totalità dei suoi investimenti e possedeva a preferenza titoli al portatore. I preti inoltre temevano moltissimo la norma fiscale sulle trasmissioni ereditarie tra persone non legate da vincoli di sangue, una norma fiscale che gioverebbe molto alle casse dello Stato anche oggi. Fu questo il motivo dell’opposizione del Vaticano a un nuovo incarico a formare il governo da affidarsi a Giolitti, tanto che i giornali avevano accusato unanimi la Santa Sede di essere stata la principale responsabile della eccezionale lunghezza della crisi (*).

Ma torniamo in Francia, al fatidico diciotto brumaio. La scelta di Bonaparte fu più casuale di quanto non si creda, infatti dapprima si era pensato a Joubert, che cadde però nella battaglia di Novi, salvando in quell’occasione il culo e la carriera a Napoleone, e prima ancora ci si era rivolti a Moreau, uomo irresoluto che s’era tirato indietro. Due dei cinque membri del Direttorio, Siéyes e Roger-Ducos, organizzarono il colpo di Stato dall’interno. Delle due assemblee, l’una, il Consiglio degli Anziani, cioè il Senato, era d’accordo; l’altra, l’assemblea dei Cinquecento, fu manovrata dal presidente che era, com’è noto, Luciano, il fratello di Bonaparte.

Il fattaccio per la verità si compì il giorno successivo, ossia il 19 brumaio, quando Bonaparte fallì due volte, una prima agli Anziani dove pronunciò, farfugliando e perdendo il filo, un discorso in cui fu più volte interrotto, tanto è vero che in seguito riconobbe di aver detto delle bestialità. Andò ancora peggio ai Cinquecento, dove i deputati reagirono insorgendo violentemente e Bonaparte cadde semisvenuto tra le braccia dei suoi ufficiali. Provvide Luciano a salvare la situazione, facendo intervenire Murat con i suoi soldati a sgomberare l’aula.

Gli Anziani provvidero a nominare i tre consoli e la sera stessa cassarono la mozione sulla abolizione del diritto preferenziale ai pagamenti del Tesoro per i grandi fornitori governativi. Ah, se fosse raccontata per questi versi la storia quanto si annoierebbero di meno gli alunni, quali migliori e più decise coscienze si forgerebbero.

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Tuttavia il 9 novembre è oggi universalmente ricordato per essere l’anniversario della caduta del famoso Muro che attraversava Berlino e divideva la Germania Ovest da quella dell’Est. In Germania a questo motivo celebrativo se ne aggiunge un altro di molto importante, conseguenza del primo, cioè quello legato alla riunificazione della nazione. La riunificazione e il ritorno della capitale a Berlino segna la vittoria della Germania e l’inizio di una nuova epoca, quella di un’Europa unita sotto l’egemonia politica ed economica tedesca. Di questa vittoria l’élite germanica e il suo gregge nazionale hanno piena consapevolezza, perciò la nazione si appresta a celebrare l’evento con tre giorni di festa.

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L’opinione pubblica nella sua maggioranza ritiene, sulla scorta di quanto è ripetuto incessantemente, che la caduta del Muro abbia segnato in modo netto e definitivo la sconfitta del comunismo. Bisogna essere ingenui o in malafede per ritenere, tra le altre cose, che un sistema sociale il quale erige una cortina sorvegliata e invalicabile per limitare la libera circolazione di un popolo possa essere scambiato per una società comunista.

È vero che a Mosca e nell’Europa dell’Est ci si richiamava nominalmente a Marx, cioè all’uomo che pose su basi scientifiche la prospettiva comunista, e gli si sono intitolate piazze e navi da guerra. Tuttavia non è difficile dimostrare (ed è stato dimostrato con molto anticipo sulla “caduta”) che nulla era più lontano di quel sistema da tale prospettiva. Marx ed Engels avrebbero ritenuto un azzardo assoluto e perdente il tentativo di trasformare, in forza di un nesso casuale – la rivoluzione dell’ottobre – e non di una tendenza necessaria divenuta matura (quanto dovrò, dovremmo, insistere su questo punto?), una nazione con un bassissimo livello di sviluppo e isolata dal resto del mondo in una società socialista.

Indicare Marx ed Engels come i mandanti teorici e per giunta “morali” dello stalinismo e del “socialismo reale” è quanto di più ridicolo si potrebbe immaginare, salvo in un contesto storiografico dominato dall’ignoranza e fomentato dalla malafede. Basti pensare alla tormentata corrispondenza tra Marx e Vera Ivanovna Zasulič per rendersi conto della ridicola pretesa di collegarlo con gli esiti successivi della storia russa. E, sempre sullo stesso tema, sarebbe sufficiente considerare la lettera di Engels a Nikolaj Francevič Daniel’son del 24 febbraio 1893, della quale riporto solo un brano ma sarebbe oltremodo istruttivo leggerla integralmente (clicca qui):

Nel 1854 o intorno a quella data, la Russia  si mise in movimento con la comune rurale, da un lato, e la necessità della grande industria, dall’altro. Tenendo conto dello stato generale del Suo paese, così com’era a quel tempo, crede esistesse qualche possibilità di innestare la grande industria sulla comune rurale in una forma che, da un lato, rendesse possibile lo sviluppo di questa grande industria e, dall’altro, sollevasse la primitiva comune all’altezza di un’istituzione sociale superiore a tutto ciò che il mondo ha visto fino a oggi? E questo, mentre l’intero occidente stava ancora vivendo sotto il sistema capitalistico? A me pare che una simile evoluzione, che avrebbe superato ogni fatto noto della storia, avrebbe richiesto condizioni economiche, politiche e intellettuali, diverse da quelle presenti in quel tempo in Russia (MEOC, vol. L, p. 43).

Ma di che cosa e ancora stiamo parlando?

Che parte della sinistra europea e mondiale abbia coltivato tale illusione sia sul piano teorico e sia in quello pratico, cioè abbia guardato all’Urss e in minor misura alla Cina maoista come ad esempi di un genuino quanto fantomatico percorso verso il socialismo, è stato un errore fondamentale ed esiziale come altri mai nella storia politica moderna. Ed è questo uno dei principali motivi per cui quella sinistra si è trovata, alla caduta del Muro, dapprima spiazzata e poi travolta e sconfitta.

Del resto, per fare il caso italiano, i vertici della dirigenza politica del Pci raramente possedevano una visione che andasse oltre il più gretto pragmatismo e superasse la polarizzazione tra atlantismo e filosovietismo. A tale riguardo basti citare un esponente borghese come Eugenio Scalfari, che con l’ambiente aveva solidi e frequenti contatti, per comprendere cos’era quel tipo di sinistra italiana e segnatamente il PCI:

Il partito comunista italiano guidato da Berlinguer, e prima di lui da Longo e da Togliatti, era nato a Lione, liquidò Bordiga che l'aveva fondato nel 1921, e s’ispirò all'insegnamento di Gramsci. Tra le sue "sacre scritture" non c'erano soltanto Marx ed Engels ma Antonio Labriola, Giustino Fortunato e perfino Benedetto Croce.

Dal canto suo, Rossana Rossanda, dirigente che il Pci conosceva direttamente molto bene dell’interno, nella sua autobiografia (La ragazza del secolo scorso) ebbe a scrivere:

Il marxismo era, sicuro, una filosofia [sic!!] e se si vuole un umanesimo, ma non si poteva tirare in tutte le direzioni, fin fuori dalla sua origine, nella crudele estraneazione del modo di vivere e produrre nel capitale: né si poteva giocare allegramente Gramsci contro Marx, o addirittura Vico contro Gramsci. Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista (p. 301).

E del resto, scriveva sempre Rossanda, Marx “nessuno lo leggeva”.

Quella sinistra non esiste più, se non in lacerti che rotolano lungo il declivio della storia, o nelle sembianze degli apostati ex Pci che pentiti del loro passato hanno abbracciato con slancio convinto il neoliberismo. È a questi trasformisti che dobbiamo infine la schiusa della covata cattolica dell’attuale gruppo dirigente del Pd.

Di una sinistra s’avverte il bisogno, e però nei vari tentativi di mettere insieme tante capre e molti cavolfiori, si ripetono gli errori di sempre. Il primo consiste nel dare fiducia a elementi che coltivano le idee transgeniche di un certo tipo di borghesia “progressista”, quali il parlamentarismo e il capitalismo addolcito con il miele delle “riforme”. Insomma idee che possono attirare i ceti benestanti e però insofferenti per la stagnazione politica in cui versa il paese. Persone che possano cogliere nella contraddizione fondamentale null’altro che un motivo per politiche “migliorative” e compromissorie con un sistema in decomposizione.

Per contro non si vuole ripartire dall’antagonismo e dalla lotta di classe, paventando il timore di restare minoritari ma in realtà esorcizzando l’incubo di non avere seggi e poltrone da spartire. Non parliamo poi di Marx, considerato un cane morto cui sputare sopra. Perciò i fallimenti di questi miserabili sono divenuti realtà così come s’erano annunciati e lo saranno nuovamente e immancabilmente anche in futuro.

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(*) Sotto il titolo: La soddisfazione del Vaticano per la soluzione delle crisi, il Popolo d’Italia del 2 novembre del 1922 pubblicò:

«Durante i giorni del travaglio nazionale, che condussero all’avvento al potere dell’on. Mussolini, nessun allarme si ebbe nei circoli più vicini al Pontefice, il quale, quando gli avvenimenti si sono avviati verso il loro sbocco normale, non ha celato agli intimi il Suo compiacimento nel vedere l’Italia dirigersi verso una rivalorizzazione delle sue migliori energie».

Ed il 10 novembre, lo stesso giorno in cui Il Popolo d’Italia dava la notizia che il consiglio dei ministri avrebbe abrogato la legge sulla nominatività dei titoli, il suo corrispondente da Roma comunicava:


«Per quanto le sfere responsabili del Vaticano mantengano il loro tradizionale riserbo intorno alla politica del nuovo gabinetto italiano, negli ambienti dei Palazzi Apostolici non si nasconde la simpatia e il senso di fiducia determinato dai primi atti dell’on. Mussolini».

6 commenti:

  1. «Di una sinistra si avverte il bisogno [che possa] ripartire dall'antagonismo e dalla lotta di classe». Scusa se mi permetto tal contrazione della tua argomentazione, ma è per chiedere: la cosiddetta «galassia antagonista» mi sembra ancora così frammentata, animata da interessi particolari e locali, senza alcuno sguardo internazionalista - soprattutto per l'appunto far crollare definitivamente il "mito" delle nazioni (o delle macroregioni) e, in un certo senso, affratellare il - dico per approssimazione - 95% dell'umanità contro i cosiddetti padroni del mondo. Quindi chiedo: come coagulare l'umanità contro questo sistema economico e produttivo? Lo so che una risposta facile e univoca non c'è, a te domando soltanto - se possibile - di indicare quali tendenze potranno risvegliare finalmente una diffusa coscienza di classe globale.

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    1. la crisi del sistema, l'inasprirsi delle sue contraddizioni, è la tendenza necessaria che apre una finestra sul possibile, per cui si possa produrre un movimento volto a un radicale mutamento. a sua volta tale movimento non sarà privo di contraddizioni dilaceranti. ma nulla viene da sé e basta.

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  2. Ancora (sempre) ottimi spunti di riflessione, grazie.

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  3. Pensare che una seppur modesta quota di popolo, che non conosce neppure gli esiti delle guerre d'Indipendenza, possa essere interessata a considerare quelli del bolscevismo rispetto a ciò che pensavano Marx e il filantropo Engels è argomento ozioso e non deve suscitare sorprese di sorta.Non è necessario essere ingenui o in malafede, bastano due ore di 'Le vite degli altri' per scombinare sintetiche coordinate storiche e di pensiero proposte anche in modo elementare.
    'Dirigenti' a parte, anche la Rossanda sa perfettamente che già solo per lessico e sintassi gran parte della teoria rientra in competenze elitarie che si differenziano, forse, da quelle che potrebbero animare un radicale futuro mutamento.Vedremo, chi potrà.

    LB

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    1. prendo atto che lei lo ritiene un argomento ozioso proposto in modo elementare, e tuttavia il mio intento è proprio quello di rivolgermi a persone come lei che già solo per lessico e sintassi sono in grado d'intendere rettamente e abbastanza avveduti da non farsi scombinare nelle proprie ferme convinzioni

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  4. Tento di esprimere meglio il mio pensiero pur ritenendo quest'ultimo assolutamente ininfluente. Qui come da altre parti si sostiene, e forse a ragione,della quasi totale incapacità di una parte consistente del popolo nel comprendere le dinamiche dei fatti sia sotto il profilo sociale ma soprattutto quello economico. (Alcuni lettori si sono spinti sino a " popolo rintronato,inerme,indifeso,codardo,vigliacco,impaurito financo asservito" - penso possa bastare - , come risulta altrettanto chiaro che chi lo affermi sa di stare dalla parte giusta). E' la sola ragione per la quale giudico ozioso pensare che gli stessi debbano avere interesse e comprendere le motivazioni di una - diciamo errata - applicazione dei principi marxiani nel recente passato. Ognuno regredisce dove e come può,facendosi cullare beatamente dal conformismo del pensiero elementare.
    Mentre è tutt'altro che semplice l'operazione di tradurre in concetti elementari la complessa economia marxiana.
    Devo riconoscere che farei volentieri anche a meno di alcune 'scivolate' in narcisismi intellettuali sia espositivi che nello scambio con i lettori in alcuni blog, ma questo non sapendo esattamente la fascia di lettori ai quali si rivolgono.
    (Rossana Rossanda e il Manifesto tutto sanno bene sia il tema che la differenza tra dirigenti e i compagni stalinisti - di allora -.)

    L'età dove la sintesi dovrebbe costituire il modus vivendi e comunque reggere poche ma sufficientemente ferme convinzioni, mi fa osservare con grande attenzione chi dovrebbe attendere all'apertura della finestra sul possibile. Sarebbero da evitare i sentieri del passato.
    Vedremo.

    LB

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