Domenica prossima ricorre il 215°
anniversario del diciotto brumaio, il
colpo di stato organizzato da quella che fu definita “la bisca di preti”, ossia
Siéyes, Fouché, Talleyrand e che consegnò la Francia a Napoleone quale
rappresentante degli interessi della borghesia nazionale, segnatamente quelli
dei capitalisti immobiliari, cui era stato promesso l’abolizione del prestito
forzoso e che finanziarono il colpo, e degli interessi dei fornitori governativi
cui l’assemblea dei Cinquecento aveva posto la mozione per l’abolizione del
loro diritto preferenziale ai pagamenti del Tesoro.
Circa 120 anni dopo, negli stessi
giorni autunnali, successe la medesima cosa con il Fascismo a proposito della
nominatività dei titoli di Stato, legge avversata strenuamente dai soliti gruppi
industriali e finanziari, molto temuta dal Vaticano che aveva in Italia la
quasi totalità dei suoi investimenti e possedeva a preferenza titoli al
portatore. I preti inoltre temevano moltissimo la norma fiscale sulle
trasmissioni ereditarie tra persone non legate da vincoli di sangue, una norma
fiscale che gioverebbe molto alle casse dello Stato anche oggi. Fu questo il
motivo dell’opposizione del Vaticano a un nuovo incarico a formare il governo
da affidarsi a Giolitti, tanto che i giornali avevano accusato unanimi la Santa
Sede di essere stata la principale responsabile della eccezionale lunghezza
della crisi (*).
Ma torniamo in Francia, al
fatidico diciotto brumaio. La scelta di Bonaparte fu più casuale di quanto non
si creda, infatti dapprima si era pensato a Joubert, che cadde però nella
battaglia di Novi, salvando in quell’occasione il culo e la carriera a
Napoleone, e prima ancora ci si era rivolti a Moreau, uomo irresoluto che s’era
tirato indietro. Due dei cinque membri del Direttorio, Siéyes e Roger-Ducos,
organizzarono il colpo di Stato dall’interno. Delle due assemblee, l’una, il
Consiglio degli Anziani, cioè il Senato, era d’accordo; l’altra, l’assemblea
dei Cinquecento, fu manovrata dal presidente che era, com’è noto, Luciano, il
fratello di Bonaparte.
Il fattaccio per la verità si
compì il giorno successivo, ossia il 19 brumaio, quando Bonaparte fallì due
volte, una prima agli Anziani dove pronunciò, farfugliando e perdendo il filo,
un discorso in cui fu più volte interrotto, tanto è vero che in seguito
riconobbe di aver detto delle bestialità. Andò ancora peggio ai Cinquecento,
dove i deputati reagirono insorgendo violentemente e Bonaparte cadde
semisvenuto tra le braccia dei suoi ufficiali. Provvide Luciano a salvare la
situazione, facendo intervenire Murat con i suoi soldati a sgomberare l’aula.
Gli Anziani provvidero a nominare
i tre consoli e la sera stessa cassarono la mozione sulla abolizione del diritto
preferenziale ai pagamenti del Tesoro per i grandi fornitori governativi. Ah,
se fosse raccontata per questi versi la storia quanto si annoierebbero di meno
gli alunni, quali migliori e più decise coscienze si forgerebbero.
*
Tuttavia il 9 novembre è oggi universalmente
ricordato per essere l’anniversario della caduta del famoso Muro che
attraversava Berlino e divideva la Germania Ovest da quella dell’Est. In
Germania a questo motivo celebrativo se ne aggiunge un altro di molto
importante, conseguenza del primo, cioè quello legato alla riunificazione della
nazione. La riunificazione e il ritorno della capitale a Berlino segna la
vittoria della Germania e l’inizio di una nuova epoca, quella di un’Europa
unita sotto l’egemonia politica ed economica tedesca. Di questa vittoria l’élite
germanica e il suo gregge nazionale hanno piena consapevolezza, perciò la
nazione si appresta a celebrare l’evento con tre giorni di festa.
*
L’opinione pubblica nella sua
maggioranza ritiene, sulla scorta di quanto è ripetuto incessantemente, che la
caduta del Muro abbia segnato in modo netto e definitivo la sconfitta del
comunismo. Bisogna essere ingenui o in malafede per ritenere, tra le altre
cose, che un sistema sociale il quale erige una cortina sorvegliata e
invalicabile per limitare la libera circolazione di un popolo possa essere
scambiato per una società comunista.
È vero che a Mosca e nell’Europa
dell’Est ci si richiamava nominalmente a Marx, cioè all’uomo che pose su basi
scientifiche la prospettiva comunista, e gli si sono intitolate piazze e navi
da guerra. Tuttavia non è difficile dimostrare (ed è stato dimostrato con molto
anticipo sulla “caduta”) che nulla era più lontano di quel sistema da tale
prospettiva. Marx ed Engels avrebbero ritenuto un azzardo assoluto e perdente
il tentativo di trasformare, in forza di un nesso casuale – la rivoluzione dell’ottobre – e non di una tendenza necessaria divenuta matura (quanto
dovrò, dovremmo, insistere su questo punto?), una nazione con un bassissimo livello
di sviluppo e isolata dal resto del mondo in una società socialista.
Indicare Marx ed Engels come i
mandanti teorici e per giunta “morali” dello stalinismo e del “socialismo
reale” è quanto di più ridicolo si potrebbe immaginare, salvo in un contesto storiografico
dominato dall’ignoranza e fomentato dalla malafede. Basti pensare alla tormentata
corrispondenza tra Marx e Vera Ivanovna Zasulič per rendersi conto della
ridicola pretesa di collegarlo con gli esiti successivi della storia russa. E,
sempre sullo stesso tema, sarebbe sufficiente considerare la lettera di Engels
a Nikolaj Francevič Daniel’son del 24 febbraio 1893, della quale riporto solo
un brano ma sarebbe oltremodo istruttivo leggerla integralmente (clicca qui):
Nel 1854 o intorno a quella data, la Russia si mise in movimento con la comune rurale, da un lato, e la
necessità della grande industria, dall’altro. Tenendo conto dello stato
generale del Suo paese, così com’era a quel tempo, crede esistesse qualche
possibilità di innestare la grande industria sulla comune rurale in una forma
che, da un lato, rendesse possibile lo sviluppo di questa grande industria e,
dall’altro, sollevasse la primitiva comune all’altezza di un’istituzione
sociale superiore a tutto ciò che il mondo ha visto fino a oggi? E questo,
mentre l’intero occidente stava ancora vivendo sotto il sistema capitalistico?
A me pare che una simile evoluzione, che avrebbe superato ogni fatto noto della
storia, avrebbe richiesto condizioni economiche, politiche e intellettuali,
diverse da quelle presenti in quel tempo in Russia (MEOC,
vol. L, p. 43).
Ma di che cosa e ancora stiamo
parlando?
Che parte della sinistra europea e
mondiale abbia coltivato tale illusione sia sul piano teorico e sia in quello
pratico, cioè abbia guardato all’Urss e in minor misura alla Cina maoista come
ad esempi di un genuino quanto fantomatico percorso verso il socialismo, è
stato un errore fondamentale ed esiziale come altri mai nella storia politica
moderna. Ed è questo uno dei
principali motivi per cui quella sinistra si è trovata, alla caduta del Muro,
dapprima spiazzata e poi travolta e sconfitta.
Del resto, per fare il caso
italiano, i vertici della dirigenza politica del Pci raramente possedevano una visione
che andasse oltre il più gretto pragmatismo e superasse la polarizzazione tra
atlantismo e filosovietismo. A tale riguardo basti citare un esponente borghese
come Eugenio Scalfari, che con l’ambiente aveva solidi e frequenti contatti,
per comprendere cos’era quel tipo di sinistra italiana e segnatamente il PCI:
Il partito comunista italiano guidato da Berlinguer, e prima di lui da Longo
e da Togliatti, era nato a Lione, liquidò Bordiga che l'aveva fondato nel 1921,
e s’ispirò all'insegnamento di Gramsci. Tra le sue "sacre scritture"
non c'erano soltanto Marx ed Engels ma Antonio Labriola, Giustino Fortunato e
perfino Benedetto Croce.
Dal canto suo, Rossana Rossanda,
dirigente che il Pci conosceva direttamente molto bene dell’interno, nella sua
autobiografia (La ragazza del secolo
scorso) ebbe a scrivere:
Il marxismo era, sicuro, una filosofia [sic!!] e se si vuole un umanesimo, ma non si
poteva tirare in tutte le direzioni, fin fuori dalla sua origine, nella
crudele estraneazione del modo di vivere e produrre nel capitale: né si poteva
giocare allegramente Gramsci contro Marx, o addirittura Vico contro Gramsci.
Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo
dirigente comunista (p. 301).
E del resto, scriveva sempre
Rossanda, Marx “nessuno lo leggeva”.
Quella sinistra non esiste più, se
non in lacerti che rotolano lungo il declivio della storia, o nelle sembianze
degli apostati ex Pci che pentiti del loro passato hanno abbracciato con
slancio convinto il neoliberismo. È a questi trasformisti che dobbiamo infine la
schiusa della covata cattolica dell’attuale gruppo dirigente del Pd.
Di una sinistra s’avverte il
bisogno, e però nei vari tentativi di mettere insieme tante capre e molti cavolfiori,
si ripetono gli errori di sempre. Il primo consiste nel dare fiducia a elementi
che coltivano le idee transgeniche di un certo tipo di borghesia “progressista”,
quali il parlamentarismo e il capitalismo addolcito con il miele delle
“riforme”. Insomma idee che possono attirare i ceti benestanti e però
insofferenti per la stagnazione politica in cui versa il paese. Persone che possano cogliere nella contraddizione fondamentale null’altro che
un motivo per politiche “migliorative” e compromissorie con un sistema in
decomposizione.
Per contro non si vuole ripartire dall’antagonismo
e dalla lotta di classe, paventando il timore di restare minoritari ma in
realtà esorcizzando l’incubo di non avere seggi e poltrone da spartire. Non
parliamo poi di Marx, considerato un cane morto cui sputare sopra. Perciò i fallimenti
di questi miserabili sono divenuti realtà così come s’erano annunciati e lo
saranno nuovamente e immancabilmente anche in futuro.
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(*) Sotto il titolo: La soddisfazione del Vaticano per la
soluzione delle crisi, il Popolo
d’Italia del 2 novembre del 1922 pubblicò:
«Durante i giorni del travaglio nazionale, che condussero all’avvento al
potere dell’on. Mussolini, nessun allarme si ebbe nei circoli più vicini al
Pontefice, il quale, quando gli avvenimenti si sono avviati verso il loro
sbocco normale, non ha celato agli intimi il Suo compiacimento nel vedere
l’Italia dirigersi verso una rivalorizzazione delle sue migliori energie».
Ed il 10 novembre, lo stesso
giorno in cui Il Popolo d’Italia dava
la notizia che il consiglio dei ministri avrebbe abrogato la legge sulla
nominatività dei titoli, il suo corrispondente da Roma comunicava:
«Per quanto le sfere responsabili del Vaticano mantengano il loro
tradizionale riserbo intorno alla politica del nuovo gabinetto italiano, negli
ambienti dei Palazzi Apostolici non si nasconde la simpatia e il senso di
fiducia determinato dai primi atti dell’on. Mussolini».
«Di una sinistra si avverte il bisogno [che possa] ripartire dall'antagonismo e dalla lotta di classe». Scusa se mi permetto tal contrazione della tua argomentazione, ma è per chiedere: la cosiddetta «galassia antagonista» mi sembra ancora così frammentata, animata da interessi particolari e locali, senza alcuno sguardo internazionalista - soprattutto per l'appunto far crollare definitivamente il "mito" delle nazioni (o delle macroregioni) e, in un certo senso, affratellare il - dico per approssimazione - 95% dell'umanità contro i cosiddetti padroni del mondo. Quindi chiedo: come coagulare l'umanità contro questo sistema economico e produttivo? Lo so che una risposta facile e univoca non c'è, a te domando soltanto - se possibile - di indicare quali tendenze potranno risvegliare finalmente una diffusa coscienza di classe globale.
RispondiEliminala crisi del sistema, l'inasprirsi delle sue contraddizioni, è la tendenza necessaria che apre una finestra sul possibile, per cui si possa produrre un movimento volto a un radicale mutamento. a sua volta tale movimento non sarà privo di contraddizioni dilaceranti. ma nulla viene da sé e basta.
EliminaAncora (sempre) ottimi spunti di riflessione, grazie.
RispondiEliminaPensare che una seppur modesta quota di popolo, che non conosce neppure gli esiti delle guerre d'Indipendenza, possa essere interessata a considerare quelli del bolscevismo rispetto a ciò che pensavano Marx e il filantropo Engels è argomento ozioso e non deve suscitare sorprese di sorta.Non è necessario essere ingenui o in malafede, bastano due ore di 'Le vite degli altri' per scombinare sintetiche coordinate storiche e di pensiero proposte anche in modo elementare.
RispondiElimina'Dirigenti' a parte, anche la Rossanda sa perfettamente che già solo per lessico e sintassi gran parte della teoria rientra in competenze elitarie che si differenziano, forse, da quelle che potrebbero animare un radicale futuro mutamento.Vedremo, chi potrà.
LB
prendo atto che lei lo ritiene un argomento ozioso proposto in modo elementare, e tuttavia il mio intento è proprio quello di rivolgermi a persone come lei che già solo per lessico e sintassi sono in grado d'intendere rettamente e abbastanza avveduti da non farsi scombinare nelle proprie ferme convinzioni
EliminaTento di esprimere meglio il mio pensiero pur ritenendo quest'ultimo assolutamente ininfluente. Qui come da altre parti si sostiene, e forse a ragione,della quasi totale incapacità di una parte consistente del popolo nel comprendere le dinamiche dei fatti sia sotto il profilo sociale ma soprattutto quello economico. (Alcuni lettori si sono spinti sino a " popolo rintronato,inerme,indifeso,codardo,vigliacco,impaurito financo asservito" - penso possa bastare - , come risulta altrettanto chiaro che chi lo affermi sa di stare dalla parte giusta). E' la sola ragione per la quale giudico ozioso pensare che gli stessi debbano avere interesse e comprendere le motivazioni di una - diciamo errata - applicazione dei principi marxiani nel recente passato. Ognuno regredisce dove e come può,facendosi cullare beatamente dal conformismo del pensiero elementare.
RispondiEliminaMentre è tutt'altro che semplice l'operazione di tradurre in concetti elementari la complessa economia marxiana.
Devo riconoscere che farei volentieri anche a meno di alcune 'scivolate' in narcisismi intellettuali sia espositivi che nello scambio con i lettori in alcuni blog, ma questo non sapendo esattamente la fascia di lettori ai quali si rivolgono.
(Rossana Rossanda e il Manifesto tutto sanno bene sia il tema che la differenza tra dirigenti e i compagni stalinisti - di allora -.)
L'età dove la sintesi dovrebbe costituire il modus vivendi e comunque reggere poche ma sufficientemente ferme convinzioni, mi fa osservare con grande attenzione chi dovrebbe attendere all'apertura della finestra sul possibile. Sarebbero da evitare i sentieri del passato.
Vedremo.
LB