mercoledì 18 giugno 2014

In una tranquilla giornata d’estate, così come in qualsiasi altro giorno, i padroni dell'avvenire ...


«Parli come un borghese. La guerra è necessaria.
Moltke ha scritto che senza la guerra il mondo andrebbe in sfacelo»
[Joachim, in La montagna incantata].

Qual è il presupposto che fa ritenere che si possa uscire dalla crisi e ridare vigore all’economia delle vecchie potenze industriali e con ciò riassorbire la disoccupazione?

Si ritiene unanimemente che la grave crisi del capitalismo e i livelli osceni di disuguaglianza siano fenomeni transitori e causati semplicemente dalla cattiva gestione politica dell’economia e dai comportamenti sconsiderati dell'élite finanziaria, e dunque non siano un prodotto diretto dei processi oggettivi del capitalismo.

Gli stessi speculatori responsabili del disastro economico, i profittatori responsabili della sempre più diffusa miseria sociale, sarebbero in grado di auto-regolamentarsi nell'interesse della società nel suo complesso, o potrebbero esservi costretti con delle opportune leggi.



Non si è mai avuta una posizione scientifica a fronte di questi problemi, e ciò a ben vedere è semplicemente grottesco, e tuttavia quasi la totalità delle persone è convinta che sia possibile e realistico riformare il capitalismo e uscire dalla crisi pur nella vigenza dell’attuale sistema economico.

Della riformabilità del sistema si dicono convinte le burocrazie sindacali, le quali chiedono semplicemente alle grandi imprese di poter collaborare, e ciò testimonia il ruolo che i sindacati hanno giocato negli interessi della classe dominante.

E se ne dicono convinti pure gli economisti, i quali chiedono alle istituzioni politiche misure espansive. A loro volta i politici si stanno rendendo conto che il capitalismo ha bisogno di politiche di sostegno se si vuole uscire dalla crisi.

Ma è davvero così? Ai più alti livelli politici ed economici il pensiero sta cambiando, sanno bene che qualsiasi tentativo di riformare o regolare questo sistema con misure ordinarie è destinato al fallimento.

Dobbiamo aver presente, a un secolo esatto dalla prima carneficina mondiale, che i conflitti armati su scala globale scoppiano quando si diffonde la convinzione che la guerra possa presentarsi come una realistica e sostenibile opzione per risolvere questioni che appaiono altrimenti inestricabili.

Molti segnali vanno in tal senso, ossia nel convenire che la guerra si può fare e può essere uno strumento di governo e di risoluzione di problemi interni e internazionali (a livello locale non ha mai smesso di esserlo). Chi punta le sue carte pacifiste sulla deterrenza nucleare, s'illude.


Maturata questa convinzione, ossia che la guerra si può fare, il passo successivo, la decisione di farla, è più breve di quanto si creda. E peraltro non serve che siano in molti a dire pubblicamente di volerla e le motivazioni, poi si vedrà, non mancheranno.


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Il 9 maggio, con un'intrusione insolita nella politica da parte dei militari francesi, quattro generali, i capi di stato maggiore dell'esercito, dell'aviazione e della marina, e il capo di stato maggiore delle forze armate francesi, il generale Pierre de Villiers, avevano consegnato le proprie dimissioni contro i tagli di bilancio previsti dal presidente Hollande.

Risposta immediata del ministro della difesa Manuel Valls, quando il 22 maggio, tre giorni prima delle elezioni europee, la storia delle dimissioni è stata resa pubblica dal quotidiano Le Figaro: "Il bilancio militare sarà completamente mantenuto, le forze armate hanno già fatto molti di sacrifici per anni”.

La decisione di Valls, sostenuta poi da Hollande, è in linea con il richiamo del segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, alle potenze della NATO per un programma di riarmo, poste anche le crescenti tensioni militari con la Russia dopo il golpe fascista in Ucraina.

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Sabato scorso, il presidente tedesco Joachim Gauck ha ribadito ancora una volta il suo appello per una politica estera tedesca più aggressiva ed disposta a interventi militari.

Al termine di una visita di tre giorni in Norvegia, Gauck ha detto alla radio Deutschlandfunk che aveva “la sensazione che forse il nostro paese dovrebbe mettere da parte la moderazione che ha prevalso negli ultimi decenni a favore di una maggiore assunzione di responsabilità”.


In precedenza, aveva affermato, che per troppo tempo c'era stata "una riluttanza da parte dei tedeschi ... di impegnarsi a livello internazionale in conformità con le dimensioni e l'importanza economica della Germania". Gauck ha ripetutamente insistito sul maggiore utilizzo dei militari “poiché a volte è necessario ricorrere alle armi nella lotta per i diritti umani e per la sopravvivenza di persone innocenti”. Ciò significa, ha detto, che è necessario "non escludere l'uso di mezzi militari fin dall'inizio."

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