domenica 23 dicembre 2012

Demografia e ideologia



In un commento ricevuto di recente da un’amica mi ha sorpreso un poco un’affermazione circa la sostenibilità del sistema in rapporto alla cosiddetta sovrappopolazione. Purtroppo, cara Amica, il sistema culturale vigente e i media hanno tutto l’interesse a far credere che uno dei più gravi problemi del prossimo avvenire sia costituito dalla cosiddetta sovrappopolazione. Se indubbiamente vi sono problemi di sostenibilità delle risorse e di rottura degli equilibri ecologici, non esiste invece un problema di sovrappopolazione se non nella misura in cui esso è prodotto e gestito dal capitalismo (*). In risposta vorrei quindi tentare di accennare a come la dinamica demografica risulti insita nel processo di riproduzione allargata e anzi necessaria a che lo sviluppo capitalistico, la sua accumulazione, possa avvenire (**).

Quando si parla di “problema demografico” il nostro pensiero corre subito ai “poveri”, soprattutto a quelli della fascia dei Tropici, come se fossero essi stessi il “problema”. Spesso non ci sfiora nemmeno il sospetto che il “problema” nelle sue cause riguardi proprio e per contro i ricchi (categoria sociologica alquanto generica, ma qui utile alla semplificazione). Ma anche quando si valuta il rapporto ricchi/poveri prendendo in esame le vistose sperequazioni e proponendo conseguentemente in alternativa criteri redistributivi più equi, non si va mai oltre l’affermazione di principi “moralistici” che esonerano in buona sostanza le contraddizioni di fondo prodotte dal modo di produzione capitalistico (***).

Posto che non ci sono troppe bocche per troppo poco cibo, ma sicuramente troppo cibo per alcune bocche, va rilevato come il “problema demografico” vada ricondotto al contesto storico nella misura in cui riflette le conseguenze sociali di un determinato modo di produzione. Tra il sistema capitalistico di produzione e la questione demografica esiste una profonda e irrisolvibile contraddizione. Laddove predomini il modo di produzione capitalistico è inesatto parlare genericamente di sovrappopolazione, poiché si tratta di sovrappopolazione relativa. Il capitale ha bisogno di forza-lavoro, non solo quella strettamente necessaria alla produzione, ma anche di forza-lavoro non occupata in modo da tenere i salari più bassi possibile (****).

Tale esercito industriale di riserva tende ad aumentare con la diminuzione della parte variabile del capitale; il capitale variabile diminuisce relativamente all’aumentare della grandezza del capitale. Osserva a tale proposito Marx: “Con l’aumentare del capitale complessivo cresce, è vero, anche la sua parte costitutiva variabile ossia la forza-lavoro incorporatale, ma cresce in proporzione costantemente decrescente”. Per quanto paradossale possa apparire è questo un effetto dello sviluppo della forza produttiva del lavoro che comporta il cambiamento della composizione organica del capitale, ossia il rapporto tra capitale costante (mezzi di produzione) e quello variabile (forza-lavoro).

Quindi la popolazione operaia produce in misura crescente, mediante l’accumulazione del capitale e l'eliminazione degli operai mediante le macchine, i mezzi per render se stessa relativamente eccedente. È questa la legge della popolazione peculiare del modo di produzione capitalistico, un’altra legge fondamentale scoperta di Marx. Tutte le altre congetture escogitate dal pensiero borghese in relazione al cosiddetto “problema demografico” sono di ordine ideologico comprese quelle che s'ammantano di un certo “materialismo” corredato statisticamente.

La sovrappopolazione relativa assume tre forme: fluida, stagnante, latente. Per quanto riguarda quella fluida e quella stagnante è intuitivo comprendere di cosa si tratti. Quella fluida è tipica di quei salariati che alternano periodi di occupazione ad altri di disoccupazione; quella stagnante interessa l’enorme massa di lavoro occasionale, precario, a domicilio, impiegata in particolari settori ove occorre stillare profitti o servizi senza vincoli dagli schiavi. Invece per quanto concerne la forma latente della sovrappopolazione relativa, non è possibile individuarne e comprenderne l’enorme sviluppo se non a partire dall’internazionalizzazione del mercato del lavoro (aspetto relativo alla cosiddetta globalizzazione).

Nei paesi di antica industrializzazione tale forma di sovrappopolazione relativa si annida ancora nelle “zone di sottosviluppo” e anche in alcune sacche regionali e razziali. A partire dall’internazionalizzazione del mercato del lavoro su scala planetaria, la parte latente dell’esercito industriale di riserva abbraccia interi continenti: anzitutto la “periferia”, ove masse sterminate di forza-lavoro vengono rese “libere” di morire di fame o costrette a dirigersi – con i mezzi e i rischi che sappiamo – verso i paesi e le zone industrializzate.

Posta così la questione, almeno preliminarmente e per cenni, credo si possa dare un’interpretazione meno soggettiva e ideologica al problema della presunta eccedenza di popolazione, individuando invece le cause non come maledizioni del cielo ma come il portato di precise determinazioni di ordine economico. Del resto, a ben considerare, noi bianchi dell’emisfero nord siamo portati a considerare eccedenti soprattutto gli altri.


(*) C’è invece chi analizza il “problema demografico” considerando la società umana grossomodo come una colonia di topi. Con tale espressione giudicavo, in un post del maggio 2011, i lavori di Jared Diamond, promotore di un materialismo largamente esposto al naturalismo, a misura che si concentra quasi esclusivamente sui fattori bio-geografici, senza tener conto adeguatamente dell’evoluzione dei rapporti sociali e la progressiva produzione di un "secondo" ambiente, "artificiale", da parte della società umana.

(**) Scrivevo il primo dicembre scorso: nel modo di produzione capitalistico, la crescita delle forze produttive si realizza per e attraverso l’accumulazione capitalistica, ed è perciò la razionalità del plusvalore che definisce, in ultima istanza, la forma delle modificazioni che vengono ad esse apportate. Inoltre, scrivevo, che il saggio del profitto costituisce la forza motrice della produzione capitalistica: viene prodotto solo quello che può essere prodotto con profitto e nella misura in cui tale profitto può essere ottenuto. Proprio nella determinazione del saggio del profitto nel processo di produzione capitalistico, quindi nell’accumulazione, sono insite una serie di contraddizioni che determinano non solo la possibilità della crisi, ma la sua necessità. La forma astratta della sua possibilità diventa realtà. Tanto è vero che lo sviluppo capitalistico, la sua accumulazione, può avvenire soltanto attraverso momenti successivi di crisi.

(***) Con ciò, lungi da me dal sottovalutare l’importanza delle lotte sociali per l’aumento dei salari e contro le sperequazioni.

(****) Non solo il salario reale, ma anche quello relativo, anche se periodi limitati, legati per lo più alle fasi di espansione del ciclo, quest’ultimo può aumentare.

4 commenti:

  1. Cara Olympe, alcuni giorni fa su Sollevazione, un certo Gengiss ha commentato: "La caduta del saggio di profitto è uno dei punti della teoria marxiana che non ho mai capito. Man mano che, a causa di avanzamenti tecnologici, i capitalisti investono in macchinari, che prendono il posto di lavoratori in carne e ossa, il tasso di profitto cala. Ma perchè?
    Si suppone che solo il lavoro vivo produca plusvalore, ma mi pare un'affermazione "metafisica", indimostrabile. Una macchina, un robot, può fare lo stesso lavoro di un uomo, e perdipiù senza pretendere un salario! (pensiamo a una lavanderia automatica, a un casello autostradale ecc.). Il profitto semmai dovrebbe aumentare".

    Io gli ho risposto, ma vorrei conoscere prima il tuo parere, e quindi la relativa risposta.
    Perchè, a distanza di giorni, ho dei dubbi, circa il fatto se sono stato all'altezza nel rispondere a Gengiss.


    Saluti da F.G

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    1. quando si arriva al terzo libro terza sezione de Il Capitale e non si capisce ciò che vi è scritto chiaramente, vuol dire che c'è qualche problema a monte

      è vero che un robot può fare lo stesso lavoro di un uomo, come tu dici, ma, come nel caso di ogni macchina del processo produttivo, chiediti chi ha costruito il robot, chi lo alimenta, controlla e sorveglia, gli dà assistenza e gli fornisce la materia con cui svolgere le sue funzioni. il robot non è altro che una forma più complessa di macchinario, di utensili.

      il lavoro in una lavanderia automatica si scambia con reddito non con salario perciò non produce plusvalore

      bisogna tornare sui libri e leggere bene, attentamente, soprattutto leggere
      ciao

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  2. Grazie del post: è mediante tali scritti che si percepisce e comprende la cogente attualità della teoria di Karl Marx.

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    1. è per lettori come te che si ha la soddisfazione di scrivere

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