Striscia di Gaza, 360 kmq, lunga 41 km e larga da 6 a 12 dove sono ammassati oltre 2 milioni di abitanti. Da più di 15 anni Israele impone un embargo economico sulla regione palestinese, limitando la fornitura di camion e carburante. Gli abitanti di Gaza allora non avevano altra scelta se non quella di ricorrere ai carri trainati da asini per trasportare vari prodotti agricoli o per andare a scuola. Da due anni, Israele impedisce qualsiasi importazione dell’animale, rendendo il commercio molto più difficile all’interno del territorio palestinese (Washington Post, 2022). Per dire a quale livello può arrivare l’arbitrarietà più feroce.
Anche se raramente viste, a Gaza venivano allevate 4.000 mucche e 65.000 pecore, con quattro cliniche veterinarie. Tutto era fatto per migliorare la qualità del latte (e dello yogurt). Oltre all’allevamento, la coltivazione delle famose patatine e delle fragole, queste ultime solo in parte autorizzate per l’esportazione da parte israeliana.
La seconda attività produttiva, dopo l’agricoltura, è la pesca. Gli accordi di Oslo prevedevano una fascia costiera palestinese di poco più di 32 chilometri. La decisione non è mai stata attuata e tale fascia è stata ridotta unilateralmente molto rapidamente a circa 15 chilometri, poi a 9,6, quindi a 4,8 chilometri. Le motovedette israeliane sparano, uccidono i pescatori, arrestano, distruggono barche, sequestrano o rubano le reti.
Questi dati secondo Pierre Stambul e Sarah Katz, attivisti dell’Unione ebraica francese per la pace (UJFP) e la solidarietà internazionale.
Non solo Gaza. Nell’area oggi sconvolta dalla guerra vi sono circa 140.000 lavoratori immigrati, 30.000 di loro sono salariati agricoli thailandesi impiegati nelle fattorie e nei kibbutz, di cui 5.000 nella Striscia di Gaza (Le Monde del 15 ottobre). Di questi 24 sono stati uccisi e forse 16 presi in ostaggio lo scorso 7 ottobre. Tra le vittime del kibbutz Alumim ci sono anche dieci studenti nepalesi. Facevano parte di un programma di tirocinio retribuito della durata di undici mesi che ha coinvolto 269 studenti. La maggior parte dei 5.000 nepalesi che vivono in Israele sono impiegati nei servizi sanitari o di assistenza personale.
A questi immigrati si sommano circa 140.000 lavoratori palestinesi col permesso di lavoro in Israele, occupati nell’edilizia, agricoltura, sanità, manifattura.
Com’è composita la realtà, viene da dire a fronte di questi numeri. Quando si parla di mercato si deve intendere anzitutto un grande mercato dello sfruttamento. Senza lo sfruttamento di questi salariati il sistema non regge: la situazione sociale di Israele si accosta a quella di tutto il Medioriente e delle monarchie del Golfo in particolare, dove gli immigrati si contano in milioni.
Ecco a cosa servono i miti nazionali e religiosi, a tener diviso il proletariato. A rinfocolare endemiche crisi regionali intervengono poi le strategie geopolitiche delle grandi e medie potenze. Gli Stati Uniti puntavano di lasciarsi alle spalle le questioni che agitano il Medioriente per dedicarsi alla grande contesa con la Cina. Ecco il motivo dello storico accordo quasi raggiunto volto a normalizzare le relazioni tra Israele e l’Arabia Saudita, contro il comune avversario iraniano, ancorando i sauditi fuori dal perimetro strategico cinese (*).
Teheran ha reagito attivando le milizie di Hamas, sue clienti assieme a quelle di Hezbollah. La questione palestinese lascia spazio ad Hamas e a farne le spese migliaia di vittime innocenti, da una parte e dall’altra. È il pretesto afferrato dal regime dei mullah attraverso i suoi attori per procura.
Nel grande gioco geostrategico che riaccende punti di crisi e conflitti latenti nella ridefinizione degli equilibri, non tutte le guerre, le tragedie e le vittime sono uguali: per esempio, la crisi in Nagorno-Karabakh ha visto 100.000 armeni travolti dalla pulizia etnica nel silenzio generale dei governi occidentali.
La storia è giunta a un punto di svolta nella trasformazione dell’ordine seguito alla seconda guerra mondiale, e questo periodo sarà segnato sempre più da frequenti turbolenze. Gli Stati Uniti vedono la Cina come il maggior sfidate ai propri interessi, e il suo accanimento nel voler mantenere l’ordine esistente attraverso mezzi strategici tradizionali ci porta tutti su un terreno molto pericoloso.
Purtroppo sembra che non ci si voglia rendere conto di questo grave pericolo, e del resto la grande assente è proprio l’Europa, puntualmente impreparata e restia a svolgere qualsiasi ruolo effettivo di mediazione.
(*) Non solo il frettoloso abbandono dell’Afghanistan lasciato in mano ai talebani, ma in tal senso va inteso anche il tentativo, fallito, di Washington che cercava di smorzare le tensioni con l’Iran rianimando gli accordi di JCPOA sul nucleare denunciati da Donald Trump.
A proposito di Iran e Cina: se non sbaglio, grazie ai cinesi si è arrivati a un riavvicinamento diplomatico (che si può definire storico) tra Teheran e Riad. Quindi anche Pechino ha interessi, e più che concreti, nella zona.
RispondiEliminaPer il resto: forse lo spiegherò, ma per la prima volta la contesa mediorientale mi lascia piuttosto indifferente. Le nefandezze da Lei elencate certo no, ma non riesco a prendere posizione. Osservo e basta.
Saluti
Massimo
uno dei motivi della guerra del 2003 in Irak fu proprio quello d'impedire che la Cina mettesse piede nel Golfo. è una guerra Usa e dei suoi alleati contro tutti quelli che vogliono un cambiamento dell'ordine mondiale.
EliminaL'Europa è ormai solo un'espressione geografica, come disse quel tale.
RispondiEliminaPietro
L’Europa ha fatto scelte di assoluta idiozia negli ultimi anni - a iniziare dal covid - ha finito per raggrumare un nucleo “etico” clerico fascista che si è fatto nemici ovunque. dalla Russia agli arabi alla Cina ora pure Israele… Europa nemica di tutti ma soprattutto nemica della realtà.
RispondiEliminaIl pericolo in effetti è questa Europa, culturalmente, questa etica del politicamente corretto senza democrazia alcuna…
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