mercoledì 11 ottobre 2023

Quel cazzo che vi pare

 

La vicenda umana di Alan Turing, l’enigmatico precursore dell’informatica, nato a Londra nel 1912 e morto suicida con il cianuro nella sua piccola casa alla periferia di Manchester, non può che affascinare e il suo epilogo intristire. Com’è risaputo, dopo aver impressionato il mondo della matematica all’età di 20 anni, fu reclutato dai servizi segreti britannici, che non erano in grado di decifrare le comunicazioni militari tedesche. Costruendo un supercomputer in grado di decifrare il codice di Enigma, Turing aveva posto i computer all’apice dell’ideale di progresso e libertà. Da quel momento in poi, i computer avrebbero trovato posto in ogni angolo della nostra vita quotidiana.

Dopo la guerra, Turing lavorò all’Università di Manchester sul Mark I, uno dei primi veri computer; lì passava le notti a scrivere programmi in grado di risolvere problemi matematici complessi, fino alle prime ore del mattino, quando cedeva il posto a giovani ingegneri appena coniati. A quegli uomini entusiasti, pionieri di una scienza troppo giovane per avere un passato, appariva come un fantasma emergente da un passato per loro inesistente.

La nostra passione per la digitalizzazione offusca il mondo tagliandolo in piccoli pezzi che si frantumano ogni giorno. La nostra vita quotidiana arci-informatizzata, le macchine che siamo diventati tutti, ci porta a ripetere all’infinito gli stessi gesti: digitare e codificare, digitare e decodificare, e ancora digitare e cancellare. Ma un mondo costruito senza passato non può che vacillare pericolosamente.

Alan, un uomo così isolato e schivo, descritto come autistico con sindrome di Asperger, dev’essere stato in realtà molto più interessante del mito che gli è stato cucito addosso in seguito. Ebbe a scrivere: “Un uomo provvisto di carta, matita, gomma e sia capace di sottoporsi a una rigida disciplina è, da un punto di vista puramente pratico, una macchina universale”. Una frase che induce, alla luce di numerosi episodi storici e di quanto accade in questi giorni, a una riflessione.

La guerriglia, come forma di conflitto armato, se ben organizzata e diretta, può reggere il confronto con qualsiasi avversario in qualunque contesto operativo. Non deve rinunciare alla tecnologia, ma deve evitare di confrontarsi sul piano tecnologico con un avversario molto più potente; della tecnologia avanzata deve altresì conoscere bene le vulnerabilità, quindi saperle sfruttare a proprio vantaggio.

Il personaggio di un noto film, un colonnello dei marines, pronuncia questa frase: “Ho visto degli orrori che ha visto anche lei. Ma non ha il diritto di chiamarmi assassino. Ha il diritto di uccidermi, ha il diritto di far questo, però non ha il diritto di giudicarmi. È impossibile trovare le parole per descrivere a coloro che non sanno cosa significa l’orrore ciò che è necessario. L’orrore ha un volto e bisogna farsi amico l’orrore. Terrore morale e orrore sono i tuoi amici ma, se non lo sono, essi sono nemici da temere, sono dei veri nemici”.

Ecco, bisognerebbe ricordare alle tante belle anime che fingono di raccapricciarsi solo oggi a fronte dell’orrore della guerra, ai quei giudici mediatici ingrassati dalla certezza di essere migliori degli altri, che “Accusare un uomo di omicidio quaggiù era come fare contravvenzioni per eccesso di velocità alla 500 Miglia di Indianapolis”. Dove “quaggiù” stava allora per Vietnam, ma poi anche per Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, Ucraina, Cecenia, Ruanda, Nagorno-Karabakh, insomma quel cazzo che vi pare.


3 commenti:

  1. https://www.officinadeisaperi.it/agora/il-senso-delle-parole/chi-non-fa-terrorismo-scagli-la-prima-pietra-da-il-fatto/

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  2. Da Turing a Kurtz, bello. Ormai l'Impero Americano d'Occidente è diventato come i vittoriani che trovavano sconveniente pronunciare parole come ''braghe'', offendeva la loro morale, ma non trovavano niente di amorale nel vivere alle spalle (letteralmente mantenuti) dal lavoro di milioni di servi.
    Pietro

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