martedì 31 ottobre 2023

La disinibizione dell’odio

 

Nel maggio 1941, Hannah Arendt e suo marito arrivarono a New York con 25 dollari in tasca. Hannah esplora una domanda che dovremmo porci tutti, intimamente e collettivamente: qual è l’identità di un rifugiato? Questa domanda in realtà ne provoca un’altra, più ampia: cosa insegna il rifugiato sull’identità a chi ha la fortuna di non esserlo?

Come affronta l’esilio, l’abbandono, la solitudine, la memoria, l’eco della sua prima lingua (impara l’inglese), i paesi successivi attraverso i quali è passata? Qual è l’identità del rifugiato, che cos’è diventato? Coloro che credono di vivere un’identità felice, confortevole e sicura non sono interessati a questo genere di domande. Non hanno perso la loro casa, cioè la familiarità con la loro vita quotidiana. Né il lavoro, cioè la certezza del proprio sostentamento e di poter essere utili a questo mondo. Non hanno perso la loro lingua, vale a dire la naturalezza delle loro reazioni, la semplicità dei gesti, l’espressione spontanea dei propri sentimenti. Né hanno lasciato i genitori e i migliori amici. Insomma, la loro vita non è stata distrutta.

Di fronte a ciò che la Storia ha imposto agli ebrei, che cosa penserebbe oggi Hannah Arendt (di ciò che pensava nel 1948 lo sappiamo), profuga ebrea, di quanto è fatto ai palestinesi? Molti di questi profughi rifiutano di essere banderuole identitarie e cercano di cavarsela senza tante mistificazioni, pronti a tutto pur di essere accettati in una società dove regna la discriminazione, ossia quella formidabile arma sociale che permette di uccidere senza spargimento di sangue.

Il male nell’uomo è, come pensava il metafisico Pascal, consustanziale alla sua natura? Lo sento dire spesso, ma non mi ha mai convinto. Oppure è una conseguenza, come pensava Rousseau, dell’organizzazione politica e sociale? Anche questo si sente ripetere spesso, e la cosa mi persuade, ma fino a un certo punto.

Com’è strano quanto questo mondo irrazionale si appoggi sulla propria razionalità. La maggior parte delle persone vivono in bianco e nero. Sono sarcastici, sprezzanti e offensivi. In questo gioco di specchi deformanti sembra che consideriamo solo una categoria: il nemico. Va screditato e, se possibile, eliminato.

Vi sono, non pochi, anche gli indifferenti, o meglio, coloro che si mantengono “distanti”. Come spiegarlo? Forse, nei casi migliori, ciò che non possiamo sopportare costituisce una delle nostre difese contro il mondo e contro noi stessi. E però si tratta di una questione direttamente collegata all’attuale disinibizione politica dell’odio e delle posizioni identitarie. Il prossimo passo, in questo regno occidentale fantasticato, quale sarà?

6 commenti:

  1. Bla bla bla! Smettila con queste lamentazioni, geremiadi.
    A chi vuoi che interessino?

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    1. A imbecilli come questi non dovrebbe essere permesso di riprodursi. Sono già troppi sulla terra. Ci sono casi indiscutibili che giustificherebbero la sterilizzazione immediata. Pare che al momento sia impossibile l'aborto retroattivo, e dunque dovremmo legalmente poter rimuovere loro i testicoli. Non la testa però, il cazzo glielo lasciamo.

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    2. Olympe in versione scurrile... uno spasso!

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  2. Un post che è la versione laica della parabola del buon samaritano, accostamento che forse ti infastidisce ma mi pare così. Riguardo all'identità: sono gli altri a definirci o siamo noi? Ogni definizione ci costringe dentro un recinto più o meno angusto, che limita la nostra capacità di azione e di pensiero. Mi sembra che una parte del pensiero di KM sia dedicata all'abbattimento delle identità, delle sovrastrutture. Spero di non aver detto una bestialità.
    Pietro

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  3. Ignoranza-Credulità-Paura-Odio.
    Odi ergo sum? o Dubito ergo sum?
    "L’odio infatti ha un solo nemico: il dubbio. Chi odia non può farsi lacerare dalle domande, è per definizione dogmatico e integralista. Perché, come chiosava giustamente il filosofo Ortega y Gasset, l’uomo saggio è colui che è tormentato dal sospetto di essere un imbecille, mentre solo l’imbecille è sempre fiero di sé".

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