giovedì 12 ottobre 2023

Le vittime possono essere anche carnefici

 

La questione israelo-palestinese è semplice nella sua formulazione: c’è un popolo sotto occupazione. I palestinesi sono vittime di un’occupazione ai sensi del diritto internazionale. Nel XXI secolo questo è inaccettabile. Esiste il diritto internazionale, rispettiamolo.

La Legge del Ritorno, dal 1950 garantisce il diritto di ogni ebreo e della sua famiglia a immigrare in Israele, come se la Palestina non fosse abitata da altri che da ebrei. Chiaro che c’era il timore che la percentuale della popolazione araba aumentasse senza essere compensata da un equivalente afflusso di emigranti ebrei. Ma ciò ha dato la stura alle espropriazioni (illegali e fittiziamente legali) e agli insediamenti.

Il voto da parte della Knesset, il 19 luglio 2019, di una legge che definisce il Paese come quello del popolo ebraico, traduce l’essenza ideologica del sionismo politico e religioso. Nel testo c’è il passaggio che considera lo sviluppo degli “insediamenti ebraici”, cioè delle colonie nei territori occupati, vietati ai sensi del diritto internazionale, come valore nazionale, e rimuove lo status, in gran parte fittizio, degli arabi come nazione e dell’arabo come lingua. Quale leader politico occidentale ha preso posizione in proposito?

I leader politici israeliani fanno parte di un nazionalismo politico e religioso che non ha nulla da invidiare ad Hamas (per contro ci siamo dimenticati delle avventure bellicose dei commando del Palmach). Dall’arrivo di Sharon nel 2001 e poi con Netanyahu, le cose sono notevolmente peggiorate. In Israele non c’è più alcuna alternativa, tutte le elezioni hanno dato la vittoria alla destra, una destra alleata dell’estrema destra.

Non che le cose andassero molto meglio con Shimon Peres, l’“instancabile manipolatore”, come lo descriveva nelle sue memorie Yitzhak Rabin. Hamas e Fatah non sono solo due gruppi politici, hanno culture, visioni del mondo e conflittuali diverse. In che modo Fatah è diventata ciò che è oggi, ossia un’organizzazione senza alcun reale peso politico?

Vorrei ricordare, a tale proposito, il tradimento di Peres verso Yasser Arafat. Dopo averlo convinto a impegnarsi a pieno titolo nel processo di Oslo (1993), sabotò gli accordi sottoscritti dopo l’assassinio di Yitzhak Rabin (1995), non avendo il coraggio di affrontare i mandanti politici e morali dell’assassinio del premier, e dunque ponendo definitivamente fine al processo di pace.

Premio Nobel per la pace, ricevuto per il suo ruolo negli accordi di Oslo, traditi, come detto, tre anni dopo. Ma chi ha buona memoria non può dimenticare il massacro di Kana (o Quana) in Libano nel 1996 (Operation Grapes of Wrath), ossia il bombardamento israeliano di una base delle Nazioni Unite dove avevano trovato rifugio centinaia di civili.

La popolazione di Gaza, composta in gran parte da persone giovani, vorrebbe semplicemente poter vivere, muoversi, esistere. A causa del blocco israeliano, non le è permesso farlo. Come dovrebbero reagire questi milioni di prigionieri?

Ne ho fatto accenno in un post precedente, negli anni Cinquanta e Sessanta il mondo arabo era piuttosto laico. Soprattutto i palestinesi, ma non solo. In un video si vede il presidente egiziano Nasser, durante un incontro pubblico, raccontare il suo incontro con il leader dei Fratelli Musulmani. Quest’ultimo gli chiese che in Egitto le donne fossero velate. Tutti nella stanza scoppiano a ridere. Nasser continua: “Comincia col velare tua figlia che frequenta l’università americana!”.

C’è stato un tempo, oggi sembra incredibile, in cui in alcuni Paesi arabi solo l’idea di rendere obbligatorio il velo per le donne risultava ridicola.

Dunque, tra i tanti, chi ha avuto particolare interesse di trasformare la natura politica del conflitto israelo-palestinese in un confronto escatologico tra l’ebraismo e l’islam? Basterebbe leggere cosa diceva Netanyahu al Congresso sionista di Gerusalemme su chi avesse ispirato Hitler per la “soluzione finale”. Aggiungendo questo postulato: il mondo musulmano avrebbe come progetto costituente la realizzazione pratica di un nuovo genocidio.

Da parte dei governi occidentali, sostenere Israele è legittimo, ma non per qualsiasi politica e per qualsiasi governo. Chi sostiene il governo di Netanyahu, chi sostiene la politica degli insediamenti israeliani nei territori occupati, oppure non vi si oppone, paradossalmente non è solo anti-palestinese, ma anche molto anti-israeliano, perché va contro gli interessi di medio e lungo termine di Israele. Come i fatti di questi giorni dimostrano. Insomma, c’è una visione totalmente asimmetrica del conflitto, in cui non si tiene conto che le vittime possono essere anche carnefici.

4 commenti:

  1. Temo di essere stato frainteso, il mio commento al post precedente non auspicava il sollevamento del mondo arabo contro Israele, penso semplicemente che il terrorismo nulla può contro lo Stato sionista spalleggiato dalla potenza statunitense (la coda che scodinzola il cane).
    Il diritto internazionale è invocato da chi si oppone al "sistema basato sulle regole" (rules-based order) dei neocon americani, ovvero alla legge del più forte. Può esistere un diritto senza un'autorità suprema che la imponga? L'unica alternativa mi sembra l'equilibrio di forze, inevitabilmente instabile; in Occidente non ci sono purtroppo statisti che riconoscono i tempi nuovi in cui viviamo.
    (Peppe)

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  2. Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant. Non è la legge della giungla, è quella dell'Homo S(apiens)S(apiens).

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  3. Teorema dell'impunità

    Un qualsiasi popolo che ha subito, nel passato, persecuzioni e genocidi non può avere l'impunità eterna per i crimini futuri che commetterà.

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